Il dialogo interiore che guarisce

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor

Nell’affrontare le nostre giornate siamo accompagnati da un costante flusso di pensieri. Si tratta per lo più di pensieri automatici che costituiscono un dialogo interno molto complesso e difficile da ricostruire. Buona parte dei nostri pensieri automatici è data da frasi frammentate che nell’insieme solo raramente svolgono un discorso coerente e si interfacciano in modo puntuale con la realtà che ci circonda.

Ognuno di noi ha un caratteristico flusso di pensieri, queste concezioni automatiche possono dirci tanto sul nostro modo di essere e di stare al mondo. L’inconveniente è che trattandosi di pensieri automatici riescono ad attraversare la nostra mente, a forgiare le nostre percezioni e… a passare completamente inosservati. In pratica non sappiamo di essere profondamente condizionati dal nostro dialogo interiore. I pensieri automatici meritano la nostra concentrazione. Nello scenario delle scienze psicologiche, a prestare attenzione ai pensieri automatici è stato Aaron Beck, psichiatra e psicologo statunitense considerato il fondatore degli approcci classici in psicoterapia cognitiva.

I pensieri automatici che fanno male

Il flusso di pensieri che caratterizza la nostra mente è:

  • Automatico
  • Involontario
  • Frammentato
  • Composto da immagini

La teoria cognitiva sostiene che noi siamo continuamente impegnati nella costruzione del significato degli eventi. I pensieri automatici servono a questo: a dare un significato alle esperienze che viviamo su base quotidiana. L’attribuzione di un significato è estremamente soggettiva, quindi la realtà si presta a diverse letture… tutte guidate dai pensieri automatici.

Senza addentrarmi troppo nel modello teorico cognitivista, riporterò solo le nozioni di base che possono essere utili ai fini auto-riflessivi. I pensieri automatici, secondo Beck, diventano negativi quando tendono ad affrontare sempre gli stessi temi (fallimento, autocritica, indegnità, incapacità, perdita, non amabilità…) e ad attivare una ruminazione. Nel lasciarci dominare dai pensieri automatici negativi incorriamo in molteplici errori, così come evidenziato dal modello cognitivo di Beck.

Aaron Beck, parlando dei pensieri automatici negativi della triade cognitiva fa riferimento a quei pensieri che tendono a restituire sempre un’immagine sfavorevole di sé, della realtà circostante (l’altro e gli eventi) e del futuro (prospettato con frustrazione e difficoltà). Per necessità di sintesi, riporterò solo alcuni degli errori che sono ben radicati nella vita di molti.

1. Ingigantire e minimizzare

Quante volte ti è capitato di ridurre o esaltare la rilevanza di un episodio o un evento? Direi tutte le volte che hai sminuito il gesto d’affetto di un amico o che hai condannato pesantemente una piccola disattenzione!

Spiego meglio. Per molte persone, una telefonata mancata può essere letta come un segnale di totale disaffezione. Una piccola mancanza può essere vissuta come un affronto, un qualcosa di inaccettabile. D’altro canto, quando riceviamo una telefonata non reagiamo con la stessa intensità e in senso opposto: non ci sentiamo grati e ricoperti di attenzioni ma la reputeremo una “banalissima telefonata”. Quindi, sulla guida dei nostri pensieri automatici negativi, la stessa identica esperienza può avere connotazioni diametralmente opposte. Analogamente, se hai la tendenza a essere troppo severa con te stessa, tenderai a banalizzare i tuoi successi e condannarti per ogni minimo errore.

2. Ipergeneralizzazione

I nostri pensieri automatici negativi ci conducono a conclusioni sulla base di un evento isolato, senza tenere conto del contesto e delle altre situazioni vissute. Prendo l’esempio di Concetta che, se per un giorno non riceve la telefonata di sua figlia ne deduce di aver tirato su una figlia inaffidabile, assente e che si disinteressa pienamente dei bisogni di sua madre.

I pensieri automatici non hanno concesso a Concetta di fare inferenze sulle possibili implicazioni del caso (forse sua figlia era impegnata) e soprattutto non le hanno concesso di apprezzare tutte le altre telefonate ricevute in passato. Così, Concetta continuerà a pensare di avere una figlia ingrata e sguazzerà nella sua infelicità. E’ chiaro che gli effetti della generalizzazione congiunti alla minimizzazione e all’esagerazione possono dare vita a grosse valanghe emotive. Ma gli errori cognitivi non finiscono qui.

3. Pensiero dicotomico

Per effetto della minimizzazione e di un forte pensiero assolutistico, tutti i parziali segnali positivi che riceviamo vengono ignorati. Dal partner o da un affetto ci aspettiamo una dedizione totale senza considerare sfumature differenti. Questi errori cognitivi possono assumere la connotazione di ruminazione mentale. La ruminazione è la tendenza a ritornare di continui su esperienze o pensieri tristi, allarmanti, vergognosi… finendo per iper-interrogarsi sull’accaduto.

La matrice del pensiero automatico negativo

I nostri pensieri automatici seguono degli schemi e tendono a essere costanti nel tempo. Gli schemi seguiti sono generalmente appresi nell’infanzia (spostandoci nella teoria psicoanalitica, per certi aspetti, gli schemi di Beck ricordano un po’ i modelli operativi interni di Bowlby) ed è intuibile che alla base di pensieri automatici negativi vi è una storia di rifiuto, sconforto, mancate attenzioni, trascuratezza emotiva (emotional neglet) e accudimento inadeguato. Questi schemi innescano una reazione a catena in cui la visione negativa di sé e degli altri predomina e ci guida.

Il dialogo interiore che guarisce

Con le nozioni teoriche appena esposte avrai capito che i pensieri automatici disfunzionali, se lasciati allo sbaraglio, possono conferirti un’attitudine negativa verso esperienze negative! Capirai anche che la carrellata di frasi motivazionali in stile “se ci credi, ce la fai…” non nasce per caso ed ha qualcosa di intrinsecamente vero.

In premessa ho descritto il flusso di pensieri come un qualcosa di automatico e involontario, allora come è possibile cambiarlo? Per fortuna è possibile allenarsi a un dialogo interiore più costruttivo. Possiamo tentare di essere i migliori interlocutori di noi stessi. Il pensiero interiorizzato, caratteristico della nostra vita mentale, può essere utile oppure causa di molta sofferenza a seconda che prenda la via del dialogo interiore (più vigile e guidato) o della ruminazione mentale.

Esercizi di auto accudimento

Per avere un dialogo interiore positivo puoi iniziare a lavorare sulla tua autostima cercando di percepire un senso di sé come auto-efficace e in grado di auto-consolarsi. I pensieri viaggiano alla velocità di un impulso elettrico e questo rende tutto più difficile.

  • Prova monitorare i tuoi pensieri. Cosa ti stanno dicendo?
  • Intercetta i pensieri che innescano stati d’animo depressivi o demotivanti, sei sicura della fondatezza di quel pensiero? Prova a metterlo in discussione impiegando tutto il tuo intelletto.
  • Durante il tuo dialogo interiore, chiediti quali sono le tue paure.
  • Cerca di individuare i giudizi che dai a te stessa e confutali ricercando esperienze passate positive.

Primo esercizio

Il primo esercizio che ti propongo è più semplice dei consigli generici appena visti.

Crea una riflessione di salvataggio. Scorgi nella tua memoria e afferra un ricordo di un’esperienza in cui ti sei sentita capace. Durante la giornata, cerca di rievocare più volte quell’esperienza senza inciampare nell’errore di sminuirla. Cerca di fare leva sui ricordi in cui hai dato vita a un’immagine positiva di te stessa. Nei momenti fermi della tua giornata (soprattutto mentre sei a letto) prova a familiarizzarci, a rievocarli… ricordando che tu sei esattamente la stessa persona.

Se hai difficoltà in questo esercizio e non riesci a evocare alcun ricordo in cui ti sei sentita soddisfatta di te stessa, non scoraggiarti. Si tratta di una difficoltà comune tra chi ha una tendenza auto-rifiutante. Prima ancora di poterti accettare dovrai imparare a validare i tuoi vissuti.

Se non riesci a rievocare ricordi soddisfacenti non vuol dire che “sei una buona a nulla”, significa che tendenzialmente ignori e banalizzi le tue imprese (ingigantisci gli errori commessi e minimizzi i successi ottenuti), è un effetto dei pensieri automatici negativi.

Secondo esercizio

Nel fare inferenze su un tuo vissuto, prova a essere un interlocutore benevolo: rivolgiti a te stessa come se fossi la tua migliore amica! Prima di tentare questo esperimento su vissuti difficili, affrontalo per eventi da basso carico emotivo: i pensieri viaggiano alla velocità di un impulso elettrico e scivolare nel vortice degli automatismi fortemente radicati è semplice quando il volume emotivo è alto! Il dialogo interiore è qualcosa di realistico, è per questo che si distingue dal mero “pensiero positivo”. E’ nel realismo delle tue risorse che potrai diventare la tua migliore alleata.

Cacciamo il nemico che è dentro noi, guardiamoci con gli occhi di chi ci apprezza

Quando siamo chiamati a mostrare le nostre qualità, cerchiamo di concentrarci sulle capacità di cui siamo più fieri. E poi facciamo un esperimento: chiediamo a un’amica di descriverci. Rendiamoci conto di come ci vedono gli altri (nella maggior parte dei casi, molto meglio di ciò che credia di essere), daremo una spinta al nostro amor proprio. E metteremo a tacere il nemico che è dentro di noi.

Allenarsi alla felicità

Nel nostro cranio custodiamo una formidabile macchina del buonumore. Il nostro cervello  trabocca di energia, basta che impariamo a lavorare bene con lui e ad allenarlo per stare sempre meglio. Spesso pensiamo al nostro corpo come una “macchina” da allenare e tenere in esercizio. Ma non pensiamo nello stesso modo alla nostra mente e al nostro spirito. Invece possiamo agire anche là allo stesso modo, fare degli esercizi per… fortificarci. E’ l’unico modo per riuscire a superare le esperienze negative o per avere una piena consapevolezza di quello che sappiamo fare e quello che non sappiamo fare.

Le neuroscienze hanno dimostrato che, in qualche maniera, è il nostro cervello che si abitua a “difendersi” dalle delusioni e dalle disillusioni. È un’abitudine come un’altra e può essere cambiata. Così come le lamentele, l’ansia, i brutti pensieri e la tendenza alla depressione sono risposte “automatiche” che il nostro cervello dà alle situazioni quotidiane, la felicità dovrebbe diventare un’abitudine che può essere costruita. Facile? Tutt’altro. Cambiare, reagire, provare a fare qualcosa è molto faticoso e richiede energie e costanza com’è per ogni esercizio fisico, ma in questo caso il premio è più grande di qualche muscolo in più: una vita più felice e serena.

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Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in neuropsicobiologia
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