Le relazioni “tappabuchi esistenziali”

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L \\\'Autore di questo articolo è uno psicologo o psicoterapeuta.

relazione tappabuchi
Ognuno/a di noi sogna il principe/ssa azzurro/a o per lo meno una relazione affettiva stabile, qualcuno con cui condividere il proprio temo, un progetto di vita, serate sul divano a guardare un film o più semplicemente, la domenica pomeriggio.

Ma ecco che questo desiderio assume i connotanti della dipendenza affettiva, della relazione tossica quando i sentimenti prevalenti non sono l’amore, la serenità, la stima ma la paura, la sofferenza e l’insofferenza, la rabbia, l’insoddisfazione e la frustrazione.

Per quale motivo avviene questo?  Quali sono le condizioni che conducono ad una così grave disattesa delle promesse, delle aspettative dei primi incontri?

Qualcosa di troppo e il Cavalier Niente

Chiara Gamberale nel suo romanzo “Qualcosa” racconta la storia di una fantomatica principessa chiamata Qualcosa di Troppo che sente di non essere e avere abbastanza, di volere sempre di più, pertanto trova la sua ipotetica soluzione nella ricerca un marito.

Durante tale “caccia” incontra tanti pretendenti: Qualcosa di Buffo sempre allegro e pronto a divertirsi, un autentico edonista, Qualcosa di Blu profondo ma triste e noioso, Qualcosa di Giusto perfetto… forse troppo perfetto, Qualcosa di Speciale artista, poeta, bohemien troppo astratto per la vita concreta. E in mezzo a tutte queste conoscenze, si alterna la presenza del Cavalier Niente… che rappresenta la solitudine creativa e proattiva, la capacità di stare con se stessi, di non cercare, di non affannarsi, ma semplicemente vivere godendosi il momento.

Quando Qualcosa di Troppo riesce a fare pace con il Cavalier Niente, si trasformerà in Qualcosa, una persona che non ha più bisogno di fare ed essere per riempire un vuoto, ma è in pace con quel vuoto, e solo allora riuscirà ad incontrare un amore che non è troppo…, ma, solo ..adatto a lei..

Libro consigliato: “Qualcosa” di Chiara Gamberale

Questo romanzo illustra, in maniera allegorica e fantasmatica, come, molto spesso, capita di dover “baciare molti rospi” per trovare il nostro principe/ssa o per meglio dire, in termini più analitici superare molti ideali dell’Altro/a prima di raggiungere la conoscenza dell’Alterità in quanto tale complessa e reale, cioè incontrare un compagno/a che sia “sufficientemente buono/a” che ci corrisponda in termini di obiettivi, progetti di vita e interessi, contemplando e accettando anche la diversità, le diverse opinioni, le idiosincrasie, le piccole nevrosi o difetti che ci caratterizzano tutti in quanto esseri umani fallibili ma senzienti.

L’altro ideale

Quando questo non avviene, infatti, l’ideale Altro/a può apparire come completamente rispondente ad una fantasia salvifica, capace di portarci via, farci fuggire da una realtà asfittica, noiosa e insignificante, un po’ come Richard Gere nell’ultima scena di “Ufficiale gentiluomo”.

Questo genere di fantasia, molto spesso, si risolve in una realtà in cui l’Altro/a, identificato nel ruolo di salvatore e protettore si rivela invasivo, possessivo e inetto, per lo meno nella funzione proiettata di riparazione di una precedente condizione insoddisfacente.

Il lato forte e direttivo, anche risolutore, può con l’andare del tempo e l’intensificarsi della confidenza nella relazione, divenire impositivo, volitivo, autoritario e dittatoriale, privo di tolleranza per il pensiero altrui, squalificante e svalutante. Si aprono per tante situazioni le porte di una relazione tossica, a volte apertamente violenta verbalmente, psicologicamente e/o fisicamente.

Quando ciò avviene è necessario allontanarsi, senza se e senza ma e in fretta.

Ma il punto più importante, credo, sia favorire, permettere e permettersi la riflessione su di sé, sui bisogni, le fantasie ma anche le distorsioni emozionali e cognitive che ci hanno indotto a tollerare, sopportare, vivere una relazione tossica.

Alla base c’è un’immagine di Sè negativa

Alla base c’è spesso un’immagine di Sé definita in senso negativo, con bassa autostima, senso di non meritare di meglio, o la paura di non riuscire a trovare di meglio, che poi è la stessa cosa, timore di non riuscire a farcela da soli (a pagare l’affitto, a crescere un figlio, a trascorrere le vacanze o la domenica pomeriggio).

E’ allora necessario lavorare prima di tutto su questa immagine: siamo tutti/e meritevoli, tutti/e capaci di affrontare le situazioni della vita e se non lo siamo possiamo imparare a partire dalle risorse in nostro possesso, che possiamo in qualsiasi momento implementare e rio-orientare.

Compiere questo lavoro su di sé significa elaborare, innanzitutto, le ferite e gli schemi disfunzionali del passato che ci hanno plasmato e convinto di aver bisogno di qualcuno che sancisca e convalidi la nostra esistenza; non c’è niente di più sbagliato, non c’è niente di più distruttivo: il valore di ognuno/a di noi è ineluttabile, inestimabile in quanto esseri umani unici e irripetibili. Questo valore va conosciuto e avvalorato prima di ogni cosa individualmente e soggettivamente.

Riconoscere una relazione tossica che si presenta con le macro caratteristiche sopra elencate declinandosi poi in vari modi è importante, anche se doloroso e sfiancante; uscirne è vitale, uscirne è possibile, partendo, non dall’accusa all’altro/a, non dalla distorsione dell’altro/a ma dal ri-conoscimento di Sé, dal rafforzamento di Sé e dalla valorizzazione di Sé.

A cura di: Morena Romano, Psicologa-Psicoterapeuta
Specializzata in Psicoterapia Analitica Junghiana
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