Amore e rapporti di coppia: perché ripetiamo gli stessi errori?

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Psicoterapeuta cognitivo comportamentale, dottore di Ricerca in Neuropsicologia ed esperta in Mindfulness.
“L’amore non deve implorare e nemmeno pretendere, l’amore deve avere la forza di diventare certezza dentro di sé. Allora non è più trascinato, ma trascina.” Hermann Hesse

E’ di fatto che non sempre gli amori sono semplici e genuini! Esistono anche gli amori difficili, quelli sbagliati caratterizzati da una grande intensità emotiva che manca di solito nelle relazioni più normali. Le relazioni possono assumere una connotazione patologica, diventando frequentemente problematica e tormentata.  Queste relazioni danno vita a un malessere crescente; spesso, infatti, terminano in maniera molto dolorosa, lasciandosi alle spalle rancore, domande senza risposta, silenzio o uno strascico difficile da gestire.

Si tratta di un argomento che suscita curiosità ed interesse poiché riguarda un aspetto molto importante della vita e della salute psicologica di ogni individuo: la capacità cioè di costruire legami sani e gratificanti. L’importanza delle relazioni interpersonali – e di quelle sentimentali in particolare – è grande: Maslow infatti, nella sua piramide dei bisogni (1954), colloca i bisogni che possono essere soddisfatti nell’ambito della vita relazionale e di coppia (definendoli bisogni di Sicurezza, di Appartenenza e di Stima) subito al di sopra di quelli fisiologici.

J. Bowlby (Bowlby, 1989) fu il primo ad occuparsi sistematicamente dell’indissolubile legame che esiste tra relazioni di affetto e amore e dipendenza, studiando la prima e più importante relazione amorosa che gli esseri umani sperimentano: il legame del bambino con le figure di riferimento (la madre in particolar modo), che sviluppa dalla nascita ai primi anni di vita.

Questo legame è di fondamentale importanza (Guidano, 1987; 1991), (Simpson, 1990), (Bretherton & Munholland, 1999), poiché struttura il sistema di riferimento cognitivo, emotivo e comportamentale (definito Modello Operativo Interno– MOI) che guiderà l’individuo adulto nelle interazioni e negli scambi affettivi e relazionali con le altre persone.

Esso inoltre, è in grado di influenzare lo sviluppo della personalità futura dell’individuo. Molte ricerche infatti, hanno mostrato una correlazione significativa tra condizioni sfavorevoli di accudimento genitoriale, stili di attaccamento disfunzionali e successivo sviluppo di disturbi della personalità.

In particolare, i dati confermano (Cois A., Congia P., 2004; Shaver & Brennan, 1992; Dutton et Al., 1994; Congia, Melis & Piselli, 2003) che la carenza di supporto ed accudimento predispone allo sviluppo di stili di attaccamento caratterizzati dalla dimensione dell’ “evitamento” (ritiro sociale, difficoltà a stabilire rapporti di fiducia e ad allacciare relazioni significative con l’altro) e allo sviluppo di disturbi di personalità, particolarmente quelli appartenenti al Cluster A “Eccentrico” (Schizotipico, Schizoide e Paranoide) e al Cluster C “Ansioso”  (Evitante, Dipendente; Ossessivo-Compulsivo) del DSM-IV.

Se le prime esperienze con le figure di riferimento sono state positive ed il bambino si è sentito riconosciuto ed accolto, questi svilupperà un sano senso di sé ed una fondamentale fiducia negli altri e nelle relazioni interpersonali.

Viceversa, se il bambino ha sperimentato un vissuto doloroso di rifiuto o abbandono nelle sue prime esperienze di attaccamento (Stili di Attaccamento Ambivalente, Insicuro, Disorganizzato), si troverà a provare emozioni ambivalenti di amore/dolore/rabbia per l’amore non ricevuto e la sensazione di non valere abbastanza da essere amato, che porta con sé la convinzione di dover dimostrare sempre in ogni modo, di essere meritevole di amore e accoglimento. In quest’ultimo caso si andranno a creare i presupposti affinché l’individuo sviluppi una modalità relazionale contraddistinta da dipendenza affettiva.

Quando si è coinvolti in una relazione caratterizzata da dipendenza affettiva, si verificano alcuni sintomi inconfondibili:

  • Forte AMBIVALENZA nei confronti del partner: rancore e rabbia si susseguono e sovrappongono ad amore e desiderio
  • SENSO DI COLPA
  • PAURA DI ESSERE LASCIATI dal partner, abbandonati
  • Si vivono ALLONTANAMENTO E DISTANZA CON PAURA, dolore ed disagio soverchianti
  • Si teme di mostrare le proprie debolezze per PAURA DI NON ESSERE ACCETTATI
  • SENSO DI INFERIORITÀ nei confronti del partner: ci si sente meno validi, interessanti, belli ecc.
  • Sensazione di non valere molto, SCARSA AUTOSTIMA
  • Profonda GELOSIA (legata da una parte alla scarsa autostima e dall’altra al timore dell’abbandono)
  • ANNULLAMENTO DI SÉ e dei propri bisogni per favorire ed accondiscendere il partner
  • VERGOGNA di sé

Appare quindi chiaramente quanto sia importante ed influente il legame esistente tra gli stili di attaccamento ed il modo in cui si vivono i rapporti di coppia: infatti, una volta appreso e stabilizzato, il MOI tende a definire le caratteristiche e lo stile delle future relazioni interpersonali.

Ci si ritroverà a scegliere ripetutamente partner con caratteristiche simili, a vivere dinamiche di coppia che si replicano con partner diversi, a veder finire le storie per le stesse ragioni, a provare gli stessi sentimenti di fondo (insicurezza, scarsa autostima, eccessiva accondiscendenza, paura dell’abbandono, sentimento di bisogno, gelosia, rabbia ed ambivalenza, scarsa fiducia nell’altro ecc.) con partner diversi e così via.

Ad esempio, un bambino cresciuto con una figura di riferimento (es. la madre) incapace di accoglimento, accudimento e cure costanti ed amorevoli, penserà di no valere l’amore degli altri. Imparerà a non fidarsi, a dover fare tutto da solo, a non mostrare i propri bisogni nel tentativo di negarne la portata, oppure a darsi da fare il più possibile nella convinzione di poter essere amato soltanto se farà il meglio e se darà il minor fastidio possibile.

Con ogni probabilità, questo bambino diventerà un adulto caratterizzato da uno stile di attaccamento disfunzionale di tipo Insicuro-Evitante o Insicuro-Ambivalente. Nel primo caso, la distanza emotiva, la scarsa fiducia nell’altro, la  paura della fusione e della perdita di autonomia caratterizzeranno le sue relazioni.

Nel secondo caso le relazioni saranno invece contrassegnate dalla dipendenza affettiva: controllo, tendenza alla simbiosi, abnegazione o eccessiva accondiscendenza per timore di essere abbandonati, scarsa autostima, sensazione di dover fare di tutto per essere amati, di non potersi prendere cura di sé autonomamente.

Si tende insomma a rivivere, in momenti e con partner differenti, uno stesso copione relazionale, caratterizzato da precisi e ripetitivi aspetti cognitivi (il modo in cui si considera ed interpreta se stessi, l’altro e la relazione), aspetti emotivi (le emozioni prevalenti che si vivono nella relazione: spesso si tratta di paura, insicurezza, ambivalenza ecc) ed aspetti comportamentali (le reazioni ed i comportamenti che si mettono in atto all’interno della coppia), senza riuscire a modificarlo.

IL CAMBIAMENTO POSSIBILE

Per modificare uno schema relazionale che si è rivelato fonte di sofferenza, disequilibrio e relazioni tormentate, occorre innanzitutto rendersi consapevoli del proprio disagio. In questi casi è consigliabile ricorrere al sostegno di uno Psicologo.

Un professionista, infatti, sarà in grado di aiutare la persona a riconoscere con chiarezza il proprio copione relazionale (MOI) nelle sue diverse manifestazioni (pensieri, emozioni, comportamenti e conseguenze di questi), ed il proprio stile di attaccamento prevalente. Soprattutto, un professionista preparato a cui affidarsi, permetterà di scoprire come si sono formati e strutturati gli stili di attaccamento ed i relativi schemi relazionali disfunzionali; risolvere i conflitti che ne sono alla base e creare quindi le condizioni perché si possa introdurre gradualmente il necessario cambiamento, al fine di crescere, divenire più consapevoli ed equilibrati e costruire infine,  relazioni sane e gratificanti.

A cura di Annalisa Barbier, psicoterapeuta
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