Se ti senti sbagliato dopo una critica, leggi questo

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Ci sono parole che non sembrano poi così gravi. Frasi dette “per il tuo bene”, magari pronunciate con tono pacato, che però si infilano sotto pelle e restano lì. Magari qualcun altro al tuo posto non ci avrebbe fatto caso, ma tu sì. Tu l’hai sentita come un colpo al petto, come se, in un attimo, qualcosa dentro si fosse incrinato. Non ti hanno semplicemente detto che hai sbagliato: ti sei sentito tu, sbagliato.

In quel momento, non è solo il contenuto della critica a farti male, ma il modo in cui l’hai ricevuta. E soprattutto ciò che ha risvegliato in te.

Questo articolo è per chi si porta addosso un’ipersensibilità alle critiche. Per chi, anche dopo una frase apparentemente neutra, si ritrova a dubitare di sé, a rimuginare per ore, a cercare conferme di valore. Non è debolezza: è una ferita emotiva che ha una storia, una struttura e — fortunatamente — anche una via di guarigione.

Quando la critica risveglia antiche ferite

Le critiche non colpiscono tutti allo stesso modo. C’è chi riesce a prenderle come informazioni utili, chi le filtra, chi le analizza con freddezza. E poi ci sono le persone per cui ogni critica, anche la più tenue, ha il potere di far crollare la sicurezza interiore. È come se ogni parola si agganciasse a qualcosa di più antico, sedimentato nel profondo.

In psicologia, questo fenomeno si spiega con la riattivazione del dolore arcaico: quando riceviamo una critica, il nostro sistema nervoso confronta istintivamente l’esperienza presente con quelle passate. Se da piccoli siamo cresciuti in ambienti critici, svalutanti o iper-esigenti, ogni nuovo giudizio riaccende quella sensazione primitiva di essere “inadatti”, “non abbastanza”, “troppo” o “sbagliati”.

In particolare, se le figure di riferimento (genitori, insegnanti, fratelli maggiori) erano più focalizzate sulla performance che sull’amore incondizionato, si è strutturata una vulnerabilità profonda al giudizio esterno. Da adulti, quella vulnerabilità può diventare iperreattività. E ogni critica è sentita come una minaccia all’identità.

Cosa accade nel cervello quando vieni criticato

Dal punto di vista neurobiologico, una critica attiva le stesse aree del cervello coinvolte nel dolore fisico. Studi di neuroimmagine hanno dimostrato che essere esclusi, giudicati o svalutati attiva la corteccia cingolata anteriore, un’area connessa alla percezione del dolore corporeo. Non a caso si parla di dolore sociale.

Ma non è tutto. Una critica percepita come minacciosa può attivare l’amigdala, la centralina della paura, e innescare una risposta di tipo fight, flight or freeze (attacco, fuga o blocco). In queste condizioni, la corteccia prefrontale — responsabile della riflessione e dell’autoregolazione — si disattiva parzialmente, rendendoci meno lucidi e più inclini a interpretare la realtà in modo catastrofico.

Il corpo entra in uno stato di allarme, anche se la minaccia non è reale. Ma per la psiche emotiva, il disamore percepito è una minaccia reale quanto la fame o il freddo. Essere criticati, per chi porta una vecchia ferita di inadeguatezza, è come essere rifiutati dal branco: è sopravvivenza emotiva.

La differenza tra critica e umiliazione

Non tutte le critiche sono tossiche. Alcune possono essere strumenti di crescita, se formulate in modo empatico, se accompagnate da rispetto e se ricevute da chi ha un senso di sé abbastanza stabile da non confondere l’errore con l’identità. Il problema nasce quando la critica non corregge un comportamento, ma attacca la persona. Frasi come:

  • “Sei sempre il solito!”
  • “Non capisci niente”
  • “Deludi sempre”

non sono feedback. Sono umiliazioni travestite da opinioni.

In psicoanalisi, si parla di introiezione svalutante: la tendenza a fare propria una voce critica, che viene interiorizzata come verità. Il bambino che ha sentito di “non andare bene” sviluppa una voce interna che glielo ricorda anche da adulto. Non ha bisogno che qualcuno lo critichi: lo fa da solo, ogni volta che sente di aver sbagliato.

L’effetto delle critiche croniche sull’identità

Quando cresci in un ambiente in cui la critica è frequente, esplicita o sottile, si forma una struttura interiore chiamata sé falsificato. È quel modo di essere costruito per piacere, per non deludere, per non essere esclusi. È l’abito che indossi per non essere criticato. Questo falso sé:

  • evita conflitti,
  • cerca di essere sempre all’altezza,
  • si scusa anche quando non serve,
  • si sforza di piacere a tutti.

Ma sotto questo adattamento c’è un prezzo: la perdita di autenticità. Quando le critiche hanno modellato la tua autostima fin da piccolo, impari a vivere in funzione dell’approvazione altrui. E ogni critica è un terremoto, perché mette in discussione la “maschera” con cui ti sei sentito al sicuro.

Non sei tu il problema. È il dolore antico che parla

Se una critica ti ha fatto male, non significa che sei fragile. Significa che il tuo corpo emotivo custodisce una memoria antica, e sta solo cercando di proteggerti da qualcosa che somiglia al dolore che hai già vissuto. Quel sentire “sono sbagliato” non è la verità. È una frase antica, ascoltata (o non detta ma sentita) nei primi anni di vita. Il cervello, nella sua capacità predittiva, riconosce schemi e li ripropone. Non è realtà, è risonanza.

Riconoscere questo meccanismo è già un atto di guarigione. Significa iniziare a distinguere tra ciò che succede oggi e ciò che è rimasto impigliato dentro di te. E fare pace con la parte di te che, davanti a una critica, ancora cerca disperatamente amore.

Come guarire: 5 passi per uscire dal dolore da critica

Guarire dal dolore che una critica può scatenare non significa diventare impermeabili o indifferenti. Significa, piuttosto, imparare a proteggere quella parte di te che per troppo tempo ha confuso l’approvazione con il valore personale. Non si tratta di diventare forti nel senso comune del termine, ma di diventare integri: capaci di restare in piedi anche quando qualcuno ci guarda con occhi severi. Ecco cinque passi che possono aiutarti a farlo, un passo alla volta, con gentilezza.

1. Impara a distinguere il contenuto dal tono

Non tutte le critiche sono uguali. Inizia a chiederti: “Cosa mi sta dicendo davvero questa persona?” Se il contenuto è utile ma il tono è duro, puoi trattenere l’informazione e lasciare andare il veleno.

2. Coltiva una voce interiore più compassionevole

Ogni volta che ti senti ferito da una critica, chiediti: “Come parlerei a un bambino che ha commesso lo stesso errore?” Probabilmente useresti dolcezza. Ecco: meriti lo stesso trattamento.

3. Riconosci la tua storia

Fermati e chiediti: “A chi somiglia questa sensazione?” Spesso, ciò che sentiamo oggi è una eco. Dare un nome a quella memoria antica aiuta a ridarle un contesto. Non sei più quel bambino, oggi puoi difenderti.

4. Dai voce alla rabbia buona

Molti di noi reprimono la rabbia per paura di perdere l’amore. Ma c’è una rabbia sana, assertiva, che difende il proprio valore. Dire “questa frase mi ha fatto male” è un atto di dignità.

5. Circondati di relazioni nutrienti

Cerca chi ti guarda con occhi buoni anche quando sbagli. Chi sa distinguere l’errore dalla tua essenza. Le relazioni sicure sono il miglior balsamo contro il veleno delle critiche interiorizzate.

E se fossi tu il tuo peggior critico?

A volte la persona più severa con noi… siamo noi stessi. Abbiamo assorbito così tante voci giudicanti che, anche in solitudine, continuiamo a ripeterci:

  • “Non è abbastanza”
  • “Potevi fare meglio”
  • “È tutta colpa tua”

In questi casi, il primo passo non è cambiare comportamento. È cambiare sguardo. Allenare la mente a guardarsi con occhi più umani. Ogni volta che ti critichi, chiediti: “Questo giudizio mi aiuta o mi punisce?” La guarigione avviene quando smettiamo di cercare approvazione e iniziamo a coltivare comprensione. Quando la voce dentro di noi comincia a parlare come un alleato, non come un carnefice.

Sei nato per essere intero, non perfetto

Se ti senti sbagliato dopo una critica, sappi che non sei solo. È il segnale che c’è una parte di te che ha bisogno di essere vista, amata, tenuta. Non per essere cambiata, ma per essere riconosciuta. In fondo, la guarigione comincia quando smettiamo di misurarci con l’idea di perfezione e iniziamo a chiederci: “Che tipo di vita sarebbe giusta per me, anche con le mie imperfezioni?”

Ogni critica che ti ha ferito ha parlato a una ferita antica. Ma tu oggi hai qualcosa che il bambino di allora non aveva: consapevolezza. E la consapevolezza può diventare scelta. Puoi scegliere di proteggerti, di parlarti con dolcezza, di circondarti di sguardi nuovi.

Nel mio libro “Il mondo con i tuoi occhi”, accompagno il lettore proprio in questo viaggio: riconoscere le maschere costruite per difendersi, smascherare le voci critiche interiorizzate, e ricominciare a vivere secondo i propri bisogni più veri. Non secondo ciò che gli altri si aspettano da te.

Perché la libertà non è non ricevere mai critiche. È non sentirti più sbagliato ogni volta che le ricevi. Il mio libro è disponibile in libreria e qui su Amazon

E se ti va, seguimi sul mio profilo Instagram: @anamaria.sepe.
Ti aspetto lì per continuare il viaggio.