I segnali sottili dell’immaturità emotiva nelle relazioni

Non è l’assenza di amore a ferire, ma l’incapacità di sostenerne il peso.” Ana Maria Sepe

A volte, non sono le grandi crisi a minare una relazione, ma piccoli segnali che si insinuano nel quotidiano. Un tono di voce che si alza senza motivo, una fuga improvvisa di fronte a un confronto, il bisogno costante di avere ragione anche sulle questioni più banali. L’immaturità emotiva raramente si presenta in forme eclatanti: si manifesta piuttosto come una sottile incoerenza tra ciò che si dice e ciò che si fa, come un’incapacità di reggere il peso delle emozioni proprie e dell’altro.

Molti confondono l’immaturità emotiva con la mancanza di amore, ma non è così. Si può amare profondamente e, allo stesso tempo, non essere in grado di sostenere le dinamiche di una relazione adulta. Perché l’amore non basta se non è accompagnato da strumenti emotivi adeguati: consapevolezza, responsabilità, capacità di gestire conflitti e vulnerabilità.

Segnali tipici dell’immaturità emotiva in coppia

In psicoanalisi, l’immaturità emotiva è spesso la conseguenza di un’infanzia in cui il bambino non ha ricevuto modelli coerenti di contenimento emotivo. Dal punto di vista neuroscientifico, essa riflette circuiti cerebrali che hanno appreso a reagire in modo difensivo o impulsivo, senza sviluppare la necessaria integrazione tra sistema limbico (emozioni) e corteccia prefrontale (regolazione). In altre parole: il corpo sente, esplode o si ritrae, ma la mente non sempre riesce a trasformare l’impulso in pensiero e dialogo. Ecco allora alcuni segnali sottili che, se reiterati, rivelano immaturità emotiva nelle relazioni.

1. Difficoltà a sostenere il conflitto

Un primo segnale si manifesta quando il partner non riesce a reggere un confronto senza trasformarlo in scontro, fuga o silenzio punitivo. L’immaturità emotiva qui si mostra nell’incapacità di “stare” dentro la tensione senza cercare soluzioni immediate o vie di fuga.

Psicoanaliticamente, questo atteggiamento richiama meccanismi di difesa primitivi: proiezione, scissione, negazione. Invece di integrare emozioni contraddittorie, la persona le espelle o le evita. Dal punto di vista neuroscientifico, si può parlare di iperattivazione dell’amigdala, che innesca risposte di attacco-fuga prima che la corteccia prefrontale possa regolare.

Un adulto emotivamente maturo sa che un conflitto non è la fine dell’amore, ma un passaggio necessario per crescere insieme. Chi invece è immaturo vive il conflitto come una minaccia insopportabile.

2. Bisogno eccessivo di conferme

Un altro segnale sottile è il bisogno continuo di rassicurazioni: “Mi ami ancora?”, “Sei sicuro di volere stare con me?”, “Non mi lascerai, vero?”. Dietro queste domande, apparentemente innocue, si cela spesso una ferita infantile legata all’attaccamento.

Il bambino che non ha ricevuto uno sguardo stabile e confermante interiorizza un senso di precarietà affettiva: da adulto, cercherà nell’altro la garanzia di un amore che non si sente mai sicuro. Questo non significa che chiedere attenzioni sia sbagliato, ma quando diventa un bisogno costante, logora la relazione e soffoca l’altro. Dal punto di vista neurobiologico, entrano in gioco due circuiti distinti ma intrecciati:

  • La dopamina, che regola il piacere momentaneo: ogni conferma ricevuta genera un piccolo picco di benessere, ma è di breve durata e induce a cercarne subito un’altra, alimentando un ciclo di dipendenza.
  • L’ossitocina, che in condizioni sane promuove fiducia e stabilità nel legame, in un contesto di immaturità emotiva può essere “distorta”: la spinta naturale alla connessione diventa paura costante di perderla. Invece di creare sicurezza, si trasforma in ansia di abbandono.

È proprio questo squilibrio a rendere il partner “prigioniero” di conferme continue: il cervello ricerca il piacere immediato della dopamina e, contemporaneamente, teme di perdere il legame che l’ossitocina rende vitale.

3. Paura della responsabilità affettiva

Molti partner immaturi mostrano un’incapacità a prendersi responsabilità nei momenti cruciali. Non sanno decidere, rimandano, restano ambigui. Promettono senza mantenere, oppure delegano sempre le scelte.

Questo atteggiamento deriva spesso da un’infanzia in cui responsabilità eccessive sono state imposte troppo presto, oppure, al contrario, da un contesto in cui il bambino non è mai stato educato a gestire conseguenze. Entrambi gli estremi creano adulti che vivono la responsabilità come minaccia e non come parte naturale della vita relazionale.

Dal punto di vista psicoanalitico, si tratta di un arresto nello sviluppo della funzione genitoriale interna: la parte adulta del sé non riesce a contenere né a guidare la parte infantile. Sul piano neurologico, la scarsa integrazione tra corteccia dorsolaterale prefrontale (decision making) e aree limbiche mantiene il soggetto in una sorta di adolescenza emotiva prolungata.

4. Incapacità di empatia profonda

L’empatia matura non è solo “capire come ti senti”, ma sentire davvero il peso delle emozioni dell’altro senza scivolare nell’egocentrismo. L’immaturità emotiva si rivela in frasi come: “Non esagerare”, “Dai, non è niente”, “Ma anche io sto peggio”.

Chi non ha sviluppato empatia matura fatica a sospendere il proprio punto di vista per accogliere quello altrui. Non si tratta necessariamente di egoismo: spesso è una carenza di strumenti interiori. Da bambino, la persona potrebbe non aver ricevuto un ascolto autentico e quindi non aver appreso come offrirlo.

Le neuroscienze hanno individuato il ruolo dei neuroni specchio e dell’insula anteriore nell’empatia. In soggetti emotivamente immaturi, tali aree possono attivarsi, ma non vengono integrate in processi più ampi di regolazione, generando empatia superficiale o instabile.

5. Idealizzazione e svalutazione ciclica

Un segnale spesso invisibile ma molto logorante è l’alternanza tra idealizzazione e svalutazione. In un momento, il partner è “tutto”, perfetto, speciale; poco dopo diventa deludente, inadeguato, colpevole.

Questo andamento altalenante è tipico delle strutture emotive non ancora consolidate. È il riflesso di una mente che non tollera l’ambivalenza: amare e, allo stesso tempo, percepire difetti nell’altro. Nei casi più marcati, si parla di meccanismo scissionale, in cui l’altro viene diviso in “buono” o “cattivo”.

Neurobiologicamente, questa dinamica può essere legata a una regolazione instabile dei sistemi dopaminergici: l’euforia dell’idealizzazione è seguita da un calo, percepito come tradimento o perdita di valore.

6. La difficoltà a contenere emozioni intense

Un segnale sottile ma evidente è l’incapacità di modulare emozioni come rabbia, gelosia, paura. L’immaturo emotivo può esplodere per un dettaglio insignificante o trattenere rabbia fino a farla uscire in modo passivo-aggressivo.

Dal punto di vista psicoanalitico, qui emerge la mancata interiorizzazione di un contenitore affettivo: da bambini, le emozioni intense non sono state accolte, elaborate, restituite in forma digeribile. Il risultato è che, da adulti, queste emozioni non vengono simbolizzate, ma agite.

Neurobiologicamente, si osserva una scarsa comunicazione tra amigdala e corteccia orbitofrontale: le emozioni vengono percepite con forza, ma non trovano un linguaggio né una regolazione.

7. Dipendenza dai modelli esterni

Un altro segnale sottile è il bisogno di rifarsi continuamente a ciò che fanno gli altri, alle mode, alle opinioni esterne. Questo atteggiamento rivela una scarsa costruzione di un Sé autentico.

In coppia, ciò si traduce in confronti costanti: “Gli altri viaggiano, noi no”, “Loro sono felici, noi siamo sempre in crisi”. Questo non solo mina la relazione, ma rende impossibile costruire un progetto condiviso basato su desideri autentici.

Psicoanaliticamente, è l’effetto di un Io fragile, che non riesce a differenziarsi. Neuroscientificamente, si può parlare di una prevalenza della rete del default mode (legata all’immaginazione e al confronto sociale) a scapito della rete esecutiva centrale, che invece guida scelte autonome.

Perché è così difficile crescere emotivamente?

L’immaturità emotiva non è un marchio di condanna: è un arresto in un processo di sviluppo che può riprendere in qualsiasi momento della vita. La difficoltà sta nel fatto che ciò che non è stato appreso nell’infanzia — contenimento, empatia, tolleranza alla frustrazione — deve essere costruito consapevolmente da adulti.

Il cervello possiede una straordinaria plasticità, ma richiede esperienze ripetute di sicurezza per integrare nuove modalità. In altre parole: non basta “capire” di essere immaturi, occorre vivere esperienze nuove, relazioni sane, percorsi terapeutici che offrano strumenti concreti di regolazione emotiva.

L’amore come palestra di crescita

Riconoscere i segnali sottili dell’immaturità emotiva non significa condannare una relazione, ma aprire la possibilità di trasformarla. Ogni coppia, inevitabilmente, si trova a fare i conti con limiti e fragilità. La vera differenza sta nella volontà di guardarsi dentro, di nominare ciò che spesso resta taciuto, di crescere insieme senza la paura di scoprire parti più vulnerabili.

L’amore, dopotutto, non è mai un traguardo: è un laboratorio vivo, un terreno di esperimenti, cadute e rinascite. È lì che impariamo ad abbracciare le nostre zone più fragili e a dare loro un posto sicuro.

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Perché la vera maturità emotiva non è l’assenza di fragilità: è la capacità di attraversarle senza paura. E la felicità non è mai qualcosa da conquistare con forza: è un varco che si apre quando scegli di permetterle di accadere.

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