Ci sono esperienze che sembrano scolpite nella nostra carne, parole che continuano a risuonare nella mente come un’eco lontana, sguardi che ci hanno fatto sentire sbagliati, fragili, inadeguati. Accade, senza nemmeno accorgercene, che quel passato continui a muovere i fili del nostro presente. Non serve che sia stato traumatico nel senso più drammatico del termine. A volte basta un’infanzia in cui si è ricevuto amore “a intermittenza”, o una relazione in cui abbiamo imparato che per essere visti dovevamo sempre compiacere, o ancora quei piccoli ripetuti gesti di svalutazione che ci hanno fatto credere di non meritare abbastanza.
“Non è successo niente di grave”, ci diciamo. Ma intanto ci scopriamo a dire sempre sì anche quando vorremmo dire no, a scegliere sempre persone che ci fanno sentire poco, a metterci da parte, a vivere una vita che non ci assomiglia. Oppure, al contrario, diventiamo ipercontrollanti, ansiosi, diffidenti, convinti che se non teniamo tutto sotto controllo potremmo soffrire ancora.
Quello che facciamo fatica a vedere è che il passato non è solo un ricordo nella nostra mente. È un’esperienza impressa nel nostro corpo, nella nostra memoria emotiva, nel nostro sistema nervoso. E continua a condizionarci finché non impariamo a guardarlo negli occhi. Finché non impariamo a prenderci cura di quella parte di noi che è rimasta lì, ferma, inchiodata a un momento in cui non ha ricevuto ciò di cui aveva bisogno.
Non si tratta di “dimenticare” o di “lasciare andare” con la forza di volontà. Si tratta di riconoscere, accogliere, rielaborare. Di dare spazio a quella parte di noi che ha imparato a sopravvivere adattandosi, reprimendo, anestetizzandosi. Ma che adesso ha bisogno di tornare a vivere.
Il passato non si dimentica: si trasforma
Il nostro cervello non funziona come una semplice macchina fotografica che archivia immagini. Ogni esperienza che viviamo si intreccia con il nostro sistema emotivo, lasciando tracce profonde nelle reti neurali, nella memoria implicita, nella regolazione ormonale e nel funzionamento del sistema nervoso autonomo.
Le emozioni associate alle esperienze del passato non restano confinate “là e allora”. Al contrario, tendono a riattivarsi ogni volta che nel presente incontriamo situazioni che, anche lontanamente, somigliano a quelle esperienze. Ecco perché certe parole, certe dinamiche, certi atteggiamenti degli altri ci scatenano reazioni sproporzionate, rabbia, ansia, paura, o al contrario ci bloccano, ci fanno sentire piccoli, senza voce.
Non si tratta solo di “ricordare” razionalmente quello che ci è successo. Spesso la mente conscia non ha accesso a tutti i dettagli. Ma il corpo ricorda. Il nostro sistema nervoso si allarma, attiva risposte di difesa apprese. Così continuiamo a vivere il presente con le lenti del passato.
Le catene invisibili del passato: come si formano
Le “catene” di cui parliamo non sono visibili a occhio nudo. Sono modelli relazionali interiorizzati, schemi di pensiero, credenze su noi stessi e sul mondo che abbiamo imparato da piccoli per adattarci al contesto in cui siamo cresciuti. Ecco alcuni esempi di queste catene invisibili:
- La convinzione di dover sempre dimostrare il proprio valore per essere amati.
- La paura di dire ciò che si pensa per non rischiare il rifiuto.
- Il bisogno di compiacere, di non deludere mai gli altri, anche a costo di tradire sé stessi.
- La tendenza a scegliere relazioni che confermano la nostra insicurezza o la nostra paura dell’abbandono.
- La difficoltà a fidarsi, a lasciarsi andare, a mostrare vulnerabilità.
- Il terrore del fallimento, vissuto come una minaccia alla propria identità.
Queste catene nascono spesso da esperienze precoci, ma non sempre ce ne rendiamo conto. A volte basta un genitore ipercritico, altre volte un’assenza emotiva, altre ancora un’infanzia in cui si è stati “troppo visti” solo quando si era perfetti o utili.
Perché continuiamo a ripetere gli stessi schemi
Freud parlava di “coazione a ripetere”: la tendenza a riproporre, anche inconsapevolmente, le stesse dinamiche che ci hanno ferito, nel tentativo di riscriverle, di trovare un esito diverso, di avere finalmente quella riparazione che allora ci è mancata.
Così, senza accorgercene, possiamo cercare partner che ci fanno sentire sempre “di troppo” o “non abbastanza”, oppure diventare noi stessi iperesigenti verso chi ci sta accanto. Non perché vogliamo farci del male, ma perché quella dinamica ci è familiare. È il nostro “copione interno”, quel terreno conosciuto che, paradossalmente, ci dà un senso di sicurezza anche se ci fa soffrire.
Questa ripetizione ha radici profonde nel nostro sistema limbico, nella memoria implicita che non distingue tra passato e presente. Ogni volta che ci troviamo in una situazione simile a quella del passato, il corpo reagisce come se stessimo ancora lì. È il cervello emozionale a prendere il comando.
Non basta capire: serve sentire
Spesso pensiamo che capire razionalmente cosa ci è successo sia sufficiente per guarire. Certo, la consapevolezza è il primo passo fondamentale. Ma non basta.
Le nostre ferite non sono solo mentali. Sono emotive, corporee, viscerali. Per questo non possiamo liberarci delle catene del passato solo con la logica. Serve dare voce a quella parte di noi che ha imparato a stare zitta, a non sentire, a sopravvivere.
Serve un lavoro di integrazione tra mente e corpo, tra consapevolezza e sentire. Solo così possiamo permettere a quelle memorie di trovare un altro posto dentro di noi: non più catene che ci imprigionano, ma pezzi della nostra storia che possiamo finalmente guardare senza paura.
Come iniziare a liberarti dalle catene del passato
Serve un lavoro di integrazione tra mente e corpo, tra consapevolezza e sentire. Solo così possiamo permettere a quelle memorie di trovare un altro posto dentro di noi: non più catene che ci imprigionano, ma pezzi della nostra storia che possiamo finalmente guardare senza paura.
1. Riconosci gli schemi che si ripetono
Quali sono le situazioni in cui senti che perdi il controllo delle tue emozioni? Quando ti senti piccolo, impotente, inadeguato? Quali sono le relazioni che ti fanno sentire sempre nello stesso ruolo? Annota questi schemi, senza giudicarti. Osserva. Il primo passo per rompere le catene è vederle.
2. Ascolta il corpo, non solo la mente
Impara a fermarti e a sentire cosa succede nel tuo corpo quando sei in difficoltà. Il battito accelera? Il respiro si blocca? Le spalle si irrigidiscono? Queste sono tracce preziose che ti aiutano a capire dove si attivano le vecchie ferite.
Tecniche come la respirazione consapevole, il grounding, il body scan possono aiutarti a rimanere presente e a dare spazio a ciò che senti senza esserne travolto.
3. Dai voce al bambino che sei stato
Spesso le catene del passato sono legate a parti di noi rimaste ferme a un’età in cui non avevamo strumenti per difenderci. Chiediti: di cosa avrebbe avuto bisogno quel bambino? Cosa gli è mancato? Di quale parola, di quale abbraccio aveva bisogno? Puoi scrivere una lettera a quella parte di te. Oppure immaginare di parlarle, da adulto, con amore e comprensione.
4. Smetti di cercare il risarcimento nelle relazioni sbagliate
Molti di noi, inconsciamente, cercano di ottenere dagli altri ciò che non hanno ricevuto in passato. Ma il passato non si riscrive chiedendo all’altro di riempire i nostri vuoti. La vera liberazione arriva quando smetti di cercare fuori quella riparazione e inizi a occuparti tu di quelle parti ferite. Solo allora potrai costruire relazioni basate sulla scelta e non sul bisogno.
5. Coltiva nuove esperienze emotive
Il cervello cambia attraverso l’esperienza. Ogni volta che vivi una relazione sicura, ogni volta che riesci a dire no senza sentirti in colpa, ogni volta che accogli una tua fragilità senza giudicarti, stai creando nuove connessioni neurali. Non si tratta di cancellare il passato, ma di permettere al presente di diventare più forte, più ricco, più libero.
6. Se necessario, chiedi aiuto
Alcune catene sono troppo pesanti per essere spezzate da soli. E non c’è niente di sbagliato nel chiedere supporto. Un percorso terapeutico può aiutarti a riconoscere le dinamiche che ti tengono imprigionato e offrirti nuovi strumenti per liberarti. Non si tratta di tornare indietro, ma di andare avanti con consapevolezza. Con gentilezza verso te stesso.
Non si guarisce cancellando, si guarisce integrando
Liberarsi dalle catene del passato non significa dimenticare o fare finta che non sia successo nulla. Significa, piuttosto, imparare a convivere con quelle ferite senza permettere che continuino a guidare le tue scelte.
Significa diventare adulti non perché si è forti, ma perché si è capaci di guardare in faccia le proprie fragilità senza vergogna. Perché si è capaci di dare a sé stessi quello che un tempo è mancato.
E quando inizi a farlo, scopri che non sei più quel bambino in attesa di essere scelto, ma l’adulto che può finalmente scegliersi ogni giorno.
Il passato smette di condizionarti quando smetti di combatterlo e inizi ad accoglierlo come parte della tua storia, ma non più come il padrone della tua vita.
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A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondce della rivista Psicoasvisor
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