Comportamenti che non devi mai tollerare in una relazione di qualsiasi tipo

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Ci sono momenti nella vita in cui sentiamo che qualcosa non va. Non sappiamo bene cosa, ma ci accorgiamo che in una relazione cominciamo a sentirci svuotati, giudicati, meno autentici. Eppure, continuiamo a giustificare l’altro. “Sta passando un momento difficile”, “Forse sono io che esagero”, “Non è sempre così”. E così, scivoliamo lentamente in uno spazio in cui perdiamo contatto con noi stessi.

La verità è che alcune forme di relazione – che siano sentimentali, familiari, amicali o professionali – non solo non ci nutrono, ma ci svuotano. E ci disorientano. Non tutte le relazioni ci fanno bene, e riconoscere i comportamenti che non dovremmo mai tollerare è un atto di profondo rispetto per noi stessi. Significa dire: “Io valgo abbastanza da non meritare questo”.

10 Comportamenti che non devi mai tollerare in una relazione di qualsiasi tipo

In questo articolo vogliamo esplorare i comportamenti che, a prescindere dal tipo di relazione, non dovremmo mai accettare. Non perché siamo rigidi, ma perché la nostra salute emotiva dipende anche da ciò che scegliamo di permettere.

1. La manipolazione affettiva: l’amore non si conquista con la colpa

La manipolazione affettiva è un meccanismo sottile e insidioso. Consiste nell’usare le emozioni per ottenere controllo sull’altro. Frasi come: “Se mi amassi davvero, lo faresti per me” o “Dopo tutto quello che ho fatto per te…” non sono manifestazioni d’amore, ma strumenti di colpevolizzazione.

Dal punto di vista psicoanalitico, chi manipola tende a collocarsi in una posizione di potere che maschera una profonda insicurezza narcisistica. L’altro viene investito di un ruolo riparativo, come se dovesse sanare una ferita antica che non gli appartiene. Questo tipo di relazione non è una danza a due, ma una recita unilaterale in cui uno dirige e l’altro si adegua per paura di “ferire”.

2. Il silenzio punitivo: la crudeltà dell’assenza

Quando qualcuno ci punisce con il silenzio, non stiamo assistendo a una semplice pausa comunicativa. Stiamo subendo una forma di ritorsione emotiva. Il silenzio diventa una punizione, un modo per dire: “Mi vendico della tua espressione di libertà”.

In psicoanalisi, il silenzio punitivo è spesso il sintomo di un funzionamento passivo-aggressivo. L’individuo non riesce ad accedere a un conflitto maturo, e preferisce sottrarsi per generare angoscia nell’altro. Questo comportamento infantilizza la relazione e spinge l’altro a “chiedere scusa” anche quando non ha sbagliato, pur di ricucire.

3. La svalutazione costante: l’annientamento dell’identità

“Non capisci niente”, “Non sei all’altezza”, “Sembri sempre esagerata”. Queste frasi sono armi di svalutazione. Non sono semplici opinioni, ma coltellate all’autostima. Chi le pronuncia spesso vuole mantenere il controllo riducendo l’altro a una posizione infantile e dipendente.

La svalutazione costante è un segnale di grave immaturità affettiva. In chi la esercita, agisce una pulsione sadica camuffata da verità. In chi la subisce, si attivano meccanismi regressivi: si cerca approvazione, si rinuncia all’autonomia, si rimane intrappolati nella logica: “Se mi ama, mi vedrà diversamente”.

4. L’inversione della colpa: una trappola per la mente

Ogni volta che esprimi un disagio, l’altro ti dice: “Se ti senti così, è perché sei troppo sensibile”. Questa è l’inversione della colpa: un meccanismo difensivo che proietta sull’altro la responsabilità di tutto ciò che non si vuole affrontare.

Nella logica psicoanalitica, questo è un esempio classico di “Proiezione Svalutativa Egodifensiva”: l’altro ti fa sentire inadeguato per non dover riconoscere le proprie mancanze. La tua legittima emozione viene squalificata, e tu inizi a dubitare della tua percezione. Questo è il terreno ideale per la gaslighting: un lento smantellamento della tua fiducia interna.

5. Il controllo camuffato da premura

“Voglio solo sapere dove sei, perché mi preoccupo”. Il controllo è spesso travestito da premura. Ma quando ogni tua azione deve essere giustificata, ogni tuo spostamento comunicato, non sei più libero: sei monitorato.

Dal punto di vista psicoanalitico, chi esercita questo tipo di controllo spesso agisce per colmare un senso di vuoto interno. L’altro diventa un oggetto transizionale, un feticcio di sicurezza. Il problema è che nessuna persona può colmare una voragine identitaria. E chi viene controllato finisce per sentirsi in colpa anche per desiderare libertà.

6. L’indifferenza al dolore dell’altro: il fallimento dell’empatia

Quando racconti un momento difficile e ti senti ignorato, quando l’altro cambia discorso, minimizza o si mostra infastidito, stai vivendo una relazione priva di empatia.

Questo è uno dei segnali più pericolosi. L’indifferenza al dolore altrui è indice di una struttura narcisistica o, nei casi più gravi, antisociale. La relazione si svuota di reciprocità e diventa unilaterale. Non è solo che non ti sente: è che non vuole sentirti, perché la tua emotività interferisce con la sua autoreferenzialità.

7. Il bisogno costante di avere ragione: il dominio sull’altro

In una relazione sana, si può litigare e poi capirsi. Ma se ogni discussione finisce con l’altro che “vince” e tu che ti senti sbagliato, qualcosa non va. Il bisogno costante di avere ragione è una forma di dominio psichico.

In termini psicoanalitici, questo comportamento rivela una fissazione narcisistica allo stadio onnipotente: il soggetto non tollera il conflitto come spazio di crescita, ma lo vive come minaccia alla propria identità. Chi ha bisogno di avere sempre ragione, non ha costruito un sé abbastanza solido da tollerare la differenza.

8. Il disprezzo mascherato da ironia

Sembra una battuta, ma ti lascia il cuore amaro. L’ironia costante che prende di mira i tuoi punti fragili non è divertente: è una forma sottile di aggressione.

Freud ci ha insegnato che l’umorismo può essere una forma di sublimazione, ma quando diventa uno strumento per ridicolizzare l’altro, è un’aggressione travestita. Il disprezzo ironico è una strategia per mantenere superiorità e distanza, per umiliare senza prendersi la responsabilità dell’umiliazione

Il diritto a relazioni che nutrono

Tollerare certi comportamenti non è segno di bontà: è spesso il riflesso di antiche ferite che ci spingono a credere che l’amore debba far male, o che la comprensione significhi annullarsi. Ma ogni volta che diciamo “non importa” a un comportamento che ci ferisce, insegniamo agli altri come trattarci.

Siamo abituati a pensare che scegliere di andarsene sia egoismo. Ma c’è un amore che salva, e parte da noi: è l’amore per la nostra integrità emotiva.

Nel mio libro Il mondo con i tuoi occhi, accompagno il lettore in un percorso di risveglio interiore: un invito a costruire relazioni in cui non serva rinunciare a sé stessi per sentirsi accettati. Relazioni dove la cura è reciproca, il rispetto è reale, e la libertà non fa paura. Perché la felicità non si costruisce adattandosi al dolore, ma scegliendo ogni giorno ciò che ci fa fiorire. Per immergerti nella lettura e farne tesoro, puoi ordinarlo qui su Amazon oppure in qualsiasi libreria

A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
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