Essere sempre disponibili ha un prezzo: 5 cose da ricordare per non perderti

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

C’è una forma di dolcezza che non si nota, perché non urla. Non chiede nulla, non si impone. C’è una gentilezza che si annida nei gesti quotidiani: chi si alza per ultimo da tavola, chi ascolta tutti ma non viene mai ascoltato, chi dice sempre “va bene” anche quando non va bene per niente. Sono le persone disponibili. Quelle che ci sono sempre. Quelle che non dicono di no.

Essere disponibili è una qualità preziosa. Ma come ogni qualità, se esercitata in modo eccessivo, può diventare una trappola. Spesso, dietro la disponibilità senza limiti si nasconde un’antica paura: quella di non essere amati se non si è utili, accomodanti, silenziosi. E così, giorno dopo giorno, chi è sempre disponibile finisce per cancellare sé stesso, per diventare il tappeto su cui gli altri camminano, spesso senza nemmeno rendersene conto.

Molte persone che vivono questa dinamica arrivano in terapia con una sensazione sfocata: “Non so più chi sono”, “Mi sento esausto”, “Sento che do tanto, ma non ricevo mai nulla indietro”. Queste frasi nascondono un nodo profondo: la perdita del confine tra amore e annullamento, tra generosità e bisogno di approvazione.

In questo articolo esploriamo, con uno sguardo psicodinamico e affettuoso, le 5 cose fondamentali che chi è sempre disponibile dovrebbe ricordare per non perdersi. Perché l’amore, anche quello per gli altri, non può mai valere più di quello per sé stessi.

1. La tua disponibilità non deve essere il prezzo del tuo valore

In psicoanalisi, la tendenza a compiacere l’altro può essere letta come un tentativo inconscio di ottenere amore attraverso la rinuncia a sé. È come se, in profondità, si fosse convinti che per meritare affetto si debba sempre dare qualcosa in cambio: tempo, attenzione, ascolto, sacrificio.

Spesso, queste dinamiche affondano le radici nell’infanzia, in famiglie dove l’amore era condizionato. Dove per essere visti bisognava “comportarsi bene”, “essere bravi”, “non dare problemi”. Così si sviluppa la convinzione che l’amore si guadagni, non si riceva.

A livello neurologico, il sistema di ricompensa dopaminergico si abitua a ricevere gratificazione solo quando si è approvati dagli altri. Ma è un equilibrio instabile: l’autostima non può poggiare sul giudizio esterno. Essere disponibili non può diventare una valuta per comprare affetto.

Ricorda: il tuo valore esiste a prescindere da quanto riesci ad aiutare, sostenere o compiacere chi ti sta intorno.

2. Dire “no” non ti rende cattivo, ti rende integro

Molte persone temono di deludere, di essere rifiutate o abbandonate se dicono “no”. Ma un “no” detto con sincerità è infinitamente più sano di un “sì” pronunciato con fatica, rabbia o senso di colpa.

In ottica psicodinamica, il “no” rappresenta l’emersione dell’identità separata: è il momento in cui si esce dalla fusione emotiva con l’altro e si riconosce il proprio diritto ad avere desideri, bisogni e limiti. È il confine che preserva il Sé.

Il cervello, quando si trova a dover dire “no”, attiva le aree dell’amigdala e della corteccia prefrontale: si tratta di una risposta di stress legata alla paura della rottura del legame. Ma questa reazione non significa che tu stia sbagliando: significa solo che stai abituando il tuo sistema nervoso a una nuova forma di autenticità.

Ricorda: ogni “no” che dici agli altri è un “sì” che dici a te stesso. Non temere di deludere chi ti ama davvero: l’amore autentico non si nutre di sacrifici, ma di verità.

3. Se non ti ascolti, nessuno potrà farlo al posto tuo

Chi è sempre disponibile spesso sviluppa una forma di sordità verso i propri bisogni. È abituato a captare ogni piccola variazione emotiva negli altri, a intuire i bisogni altrui, ma ha un contatto flebile con il proprio mondo interno.

In psicoanalisi, questa dinamica si collega alla funzione del Falso Sé, teorizzata da Winnicott: una personalità costruita per rispondere alle attese dell’ambiente, che lascia però il Vero Sé inascoltato e silente.

Sul piano neurologico, questa disconnessione può portare a una disregolazione interocettiva: si fatica a sentire segnali come stanchezza, fame, disagio, rabbia. Il corpo parla, ma non viene ascoltato.

Ricorda: imparare ad ascoltarti è un atto rivoluzionario. Non aspettare che qualcuno venga a salvarti: la tua salvezza inizia nel momento in cui scegli di ascoltarti davvero.

4. L’amore non dovrebbe mai chiederti di rinunciare a te stesso

Ci sono legami che sembrano amore ma sono dipendenza. Relazioni in cui si è amati solo nella misura in cui si è utili, presenti, accondiscendenti. In cui non si può mai essere stanchi, arrabbiati, fragili. In cui ogni cedimento è visto come un tradimento.

In questi contesti, chi è sempre disponibile diventa il contenitore delle emozioni altrui, ma non ha mai uno spazio dove poggiare le proprie. È un dare continuo che svuota. È una presenza che non riceve mai una vera reciprocità.

A livello psicoanalitico, questi legami attivano il complesso di “madre salvifica”: la fantasia inconscia di poter essere indispensabili, necessari, insostituibili per l’altro. Ma l’amore non è salvezza. L’amore autentico permette lo scambio, la pausa, il ritiro. Non ti chiede mai di sacrificare te stesso sull’altare del bisogno altrui.

Ricorda: se per essere amato devi smettere di esistere, non è amore. È un ricatto emotivo travestito da bisogno.

5. La rabbia repressa non sparisce: si trasforma

Chi è sempre disponibile tende a reprimere la rabbia. Per non disturbare. Per non sembrare ingrato. Per non deludere. Ma la rabbia non scompare: si trasforma in stanchezza cronica, apatia, insonnia, somatizzazioni, scatti di nervosismo ingiustificato.

Il sistema limbico, quando non può esprimere la rabbia, la immagazzina. La corteccia prefrontale cerca di “razionalizzarla”, ma il corpo la trattiene: nelle tensioni muscolari, nei dolori psicosomatici, nelle crisi di pianto improvvise.

In psicoanalisi, la rabbia repressa è un sintomo del Sé ferito: un’espressione negata che implora ascolto. Non esprimere rabbia per paura di perdere l’altro significa, in fondo, perdere sé stessi per non perdere nessuno.

Ricorda: la tua rabbia è una bussola. Non va repressa, ma ascoltata. Ti sta dicendo che qualcosa non ti nutre più.

Ritrovarti non è egoismo, è guarigione

Essere gentili, presenti, affidabili: sono qualità meravigliose. Ma quando diventano un obbligo interiore, una dipendenza dall’approvazione, una corazza per non affrontare la paura di non valere… allora rischiano di diventare una prigione dorata.

Non sei venuto al mondo per piacere a tutti. Non sei nato per dire sempre “sì”. Non devi salvare nessuno per meritarti amore.

La verità è che ti meriti amore anche quando sei stanco. Anche quando dici “no”. Anche quando non hai le forze per esserci. Ti meriti qualcuno che resti, anche quando non puoi dare nulla in cambio.

Ritrovare sé stessi dopo una vita passata a compiacere è un atto di coraggio. Significa uscire dalla logica della performance e rientrare in quella dell’autenticità. Significa smettere di chiedere “Cosa si aspettano da me?” e iniziare a chiedersi “Cosa desidero io?”.

Nel mio libro “Il mondo con i tuoi occhi” accompagno proprio chi, come te, ha vissuto troppo tempo dentro gabbie invisibili. Quelle fatte di “bravura”, di “doveri”, di ruoli appresi per non sentire il vuoto dell’amore condizionato. È un invito a guardarti con occhi nuovi. A riscrivere la tua storia, non partendo da ciò che gli altri vogliono da te, ma da ciò che tu finalmente riconosci come autentico e tuo. Perché la disponibilità è un dono, ma solo quando nasce dalla libertà, e non dalla paura. E tu sei libero. Anche se non te l’hanno mai detto.