Perché alcune donne, consapevolmente o no, accettano di amare una persona affetta da una dipendenza?
La coppia è una combinazione precisa e la scelta del partner avviene con molta oculatezza: è l’avvio di un fenomeno di transfert, un processo da inconscio ad inconscio.
È la relazione genitoriale a costituire il bagaglio culturale che l’individuo porta con sé e che diventa un termine di confronto molto importante nelle successive relazioni interpersonali.
Quanto più le relazioni nella famiglia di origine sono prive di elementi conflittuali irrisolti, tanto più la scelta del partner è “libera” nel senso che i vincoli, le preclusioni, la necessità di legarsi ad un particolare tipo di partner sono molto meno pressanti.
Elementi conflittuali nella relazione tra i genitori, invece, diventano il sistema di misura che i figli utilizzano per costruire la propria relazione e portano con sé gli aspetti problematici di partenza in attesa di definizione e soluzione.
La coppia “io ti salverò”: voglia di salvare e desiderio di essere salvato
In tale premessa, uno degli esempi che meglio incarnano dinamiche disfunzionali, ad esempio nell’ambito delle dipendenze da sostanza, è rappresentato dalle coppie in cui il partner non dipendente (solitamente la donna per fattori culturali) cerca di redimere a tutti i costi il compagno “malato”.
La coppia si può costituire in una forma casuale, ma il legame forte proviene dalla “voglia di salvare” e dal “desiderio di essere salvato”.
L’evoluzione del rapporto prevede che, abitualmente, la vita di coppia si faccia molto intensa ed esclusiva finché la “salvatrice” si adopera per “salvare” il suo uomo. Ma se ciò realmente si verifica, viene meno la ratio della coppia e i due si separano.
Rapporto di dipendenza tra vittimismo, dominio e “gioco delle parti”
Sia chiaro che non si propone una classifica di gravità tra droga e alcool, poiché a livello di dinamiche familiari la distinzione tra le sostanze è poco rilevante per ciò che concerne il rapporto di coppia contraddistinto dalla dipendenza di uno dei due.
L’alcool o qualsiasi altra sostanza che porti dipendenza può innescare dinamiche di coppia multiformi, a causa delle quali il membro sobrio appare di volta in volta come vittima impotente di fronte al decadimento etico ed intellettivo del coniuge consumatore; oppure, al contrario, la figura autoritaria, dominatrice e punitiva che relega irrimediabilmente il compagno debole in una posizione di assoluta subalternità.
A ben vedere, queste dinamiche sono meno “strane” di quanto possa sembrare a prima vista. È stato osservato che la tolleranza del coniuge “sobrio” rispetto a quello “consumatore” sembra giustificarsi all’interno di un “gioco delle parti”o di una sorta di “ritualizzazione” che trova verosimilmente il suo movente nel soddisfacimento reciproco dei bisogni inconsci.
Ne sia prova, anche se non sempre in modo evidente, che l’ostacolo maggiore alla guarigione o alla remissione della dipendenza viene proprio dal coniuge sobrio che nella malattia del partner trova soddisfatte esigenze profonde di dominio sull’altro membro di coppia.
È da notare, comunque, che siamo quasi sempre di fronte ad una coppia sostanzialmente stabile: come è statisticamente dimostrato, le separazioni spesso considerate o minacciate come estremo rimedio, sono in realtà piuttosto infrequenti.
Al bisogno “malato” corrisponde amore “malato”
Ogni condotta tossicomanica, dunque, è connessa a distorti giochi relazionali che si attivano e si mantengono all’interno di un sistema familiare. Ogni forma di organizzazione presenta e struttura particolari caratteristiche all’interno della relazione e permette a ciascuno dei componenti di assumere un ruolo e una funzione specifica. Ciò accade inevitabilmente anche in quei sistemi coniugali all’interno dei quali si sviluppa una condotta di abuso di sostanze: in tali contesti il gioco si presenta spesso come drammatico e mantiene il circolo vizioso delle comunicazioni disfunzionali tra i componenti del nucleo in crisi.
Entrano in gioco processi inconsci, come si è detto probabilmente dettati da esperienze traumatiche passate o da altre dinamiche, che spesso sfuggono al controllo dei singoli e che sono comunque deputate a mantenere equilibri dolorosamente necessari anche se apparentemente antieconomici. Esplorando l’intimo di queste coppie si evince una complementarietà di fondo dettata da un bisogno comune.
Persino i rapporti d’amore più clamorosamente infelici, penosi e distruttivi, sono in realtà più un adattamento che una psicopatologia; più un’evoluzione psicologica che un disturbo.
Ciascuno di essi ci insegna che il nostro scegliere partners con determinate caratteristiche è il segno più visibile e oggettivo di nostri bisogni inconsci che si vanno ad incastrare con i bisogni dell’altro. Ne consegue che se i nostri sono bisogni “malati” non faremo altro che scegliere un partner malato; questo è il segno visibile e oggettivo del nostro bisogno emotivo.
Quindi…????
Finché continueremo a voler dirigere e controllare, a fare da madri o padri, da infermieri e da assistenti, non potremo mai investigare su noi stessi e sui nostri bisogni, sulle nostre fragilità camuffate dietro le fragilità del partner “malato”. Non potremo mai cambiare per liberarci dalle nostre sofferenze, troppo impegnati a cambiare chi ci sta accanto.
Rita Maria Turone, psicoterapeuta sistemico-relazionale
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