Perché una donna accetta relazione con un tossicodipendente? Analizziamo insieme alla dott.ssa Rita Maria Turone (psicoterapeuta sistemico-relazionale) scelte, dinamiche e differenze di genere.
Differenze di genere nella relazione di coppia tossicomanica
Di base le ragioni di tale scelta risiedono in orientamenti vagamente umanitari, dall’istinto materno fino al profondo desiderio di salvare. Quando poi decide di provare anche lei la droga, la ragazza si giustifica dicendo che lo fa “per restare unita a lui” o “per obbligarlo a smettere”. Ma eliminati gli effetti illusori della sostanza, spesso la relazione entra in crisi.
Generalmente non sono tante le donne tossicodipendenti in coppia con ragazzi che non hanno niente a che vedere con le sostanze. Ai maschi, per diverse ragioni, fa paura una relazione del genere. Nelle ragazze invece, forse anche per definiti e tradizionali motivi culturali, il discorso cambia…
Se una ragazza accetta la condizione di essere una “cosa”, valutabile sul mercato, se a sua volta deve competere con l’altra “passione” del suo ragazzo, cioè la droga, presto si troverà coinvolta in un sistema di vita segnato dalla violenza, sostenuto da pretese ed esigenze senza limiti, sconvolto da notti insonni, ricatti e menzogne: la vita in comune le risulta invivibile ma nemmeno può tollerare l’idea di una separazione.
La personalità del tossicodipendente
Essa si manifesta attraverso l’ intolleranza rispetto agli errori degli altri; la sua qualità è labile; ha scarsa capacità di accettare le critiche e infine non riesce facilmente a mantenere legami affettivi duraturi e impegni di lavoro.
Si entusiasma con estrema facilità: dimostra una prolifica attività fantastica, con idee di onnipotenza nell’immaginare il suo futuro; tutto per lui deve essere realizzabile in breve tempo, senza una valutazione seria delle possibilità reali di esecuzione; vive progettando grandi viaggi, immaginando di intraprendere magari affascinanti carriere, universitarie o di alto livello sociale e credendo di realizzarle facilmente.
Una volta manifestate le sue fantasie sopravvengono lo sconforto e la disillusione, perché il mondo gli risulta piccolo; tutte le cose svaniscono come castelli in aria, con la conseguente colpevolizzazione degli altri, della vita e della società che non hanno capito i suoi buoni propositi.
Il ciclo delle illusioni si conclude con la caduta nell’apatia, nella noia e nella successiva assunzione della droga come speranza di soluzione. I rapporti del tossicomane con gli altri durano sino a che questi credono nelle sue promesse. Quelli che gli vogliono bene e non riescono/possono prendere le distanze, nonostante il mancato adempimento delle promesse, continuano a farsi coinvolgere nelle sue avventure e a partecipare ai suoi entusiasmi; presi dalla sua capacità di affascinare, tutti alla fine si abituano alle sue bolle di sapone.
Come si spiega quindi che una ragazza decida di seguire un tossicodipendente fino all’inferno?
Nelle storie familiari delle ragazze che scelgono un tossicomane come compagno si trova spesso la presenza di madri forti e dominanti, in perenne contrasto con le figlie. Per queste ultime la scelta del tossicodipendente corrisponde probabilmente al desiderio inconsapevole di essere a loro volta dominanti nel rapporto. Avere un compagno bisognoso le fa sentire indispensabili, il che permette loro di tollerare le frustrazioni affettive e le insoddisfazioni sessuali frequenti in queste unioni.
Inconsciamente esse ostacolano i tentativi terapeutici del partner e non è insolito che lo abbandonino proprio mentre inizia un trattamento di recupero serio.
Per la scelta salvifica di un partner tossicodipendente sono solitamente apprezzate dagli amici, che riservano loro solidarietà e compassione, oltre che accolte entusiasticamente dalla famiglia del fidanzato, che spera in una loro buona influenza sul figlio, mentre dalla propria famiglia ricavano soltanto ulteriore disapprovazione e disprezzo.
L’esito dell’unione non può evidentemente essere previsto se non illuminando anche le relazioni interne alle famiglie di queste fidanzate contro le quali esse “giocano” il tossicodipendente, talvolta come merce di scambio – in una sorta di trattativa inespressa, carica di rivendicazioni e risentimenti e mirante a ottenere benefici sul piano affettivo – talaltra come un più chiaro messaggio relazionale; in particolare alla madre (guarda come sono buona io, non come te!).
Quindi, in questi casi, il ragazzo tossicodipendente serve spesso come arma da brandire contro entrambi i propri genitori, in un sordo scontro di rivendicazioni e proteste inespresse verbalmente.
È materia teorizzata che all’apparente sentimento materno, al desiderio di svolgere il ruolo di assistente sociale, di infermiera o psicologa personale, corrisponda un sistema psichico molto fragile.
Le ragazze restano affascinate dall’immagine del “duro” e dello “strano”. Desiderano partecipare ad una vita più emozionante di quella vissuta fino ad allora, anelano di seguire le folli avventure del loro “eroe” da telefilm.
Quanto piacere offre loro questo personaggio che vive sempre in pericolo?
Quanta emozione inconfessabile provano davanti a colui che fugge dai poliziotti che a sirene spiegate inondano la città?
Quanta paura le invade se l’eroe deve lottare con i trafficanti?
Il gioco quotidiano con la morte può provocare il massimo grado dell’estasi. C’è sempre lei, disposta a soccorrerlo, a curargli le ferite, a sopportare i suoi umori.
Con quanta ingenuità esse cadono più volte nella rete di menzogne tese dal ragazzo tossicodipendente?
Nonostante l’evidenza di essere state ingannate, truffate moralmente e materialmente, continuano a credergli.
Dobbiamo cercare uno dei motivi di tale atteggiamento nella fragilità emotiva che caratterizza queste ragazze, mogli o amiche intime; ma si deve anche indagare sulla loro dipendenza rispetto all’immagine del ragazzo.
Il loro uomo, come un Ercole moderno, dovrà affrontare le prove degli dei: lei sentirà le battaglie come proprie e nel ruolo di eroina immaginaria curerà le sue ferite, proteggerà la sua immagine dalle calunnie della madre, che accuserà il loro compagno di essere un drogato e di aver indotto la figlia alla perdizione.
La ragazza che ha scelto di vivere con questo tipo di uomo vivrà in unmondo quasi magico; il giorno e la notte per lei non saranno il giorno e la notte degli altri mortali e la morte sarà una figura che si potrà sfidare e vincere. In questo mondo – quasi magico però dissacrato – l’eroe di cartone da lei adorato crederà di controllare e sfidare il destino, di anticipare il futuro e di sapere quindi come “andrà a finire la storia”.
Qualunque genere di dolore sparisce per lui, grazie all’effetto della droga: piange e ride senza motivo, non si è mai sicuri delle cose che lo rallegrano o che lo rattristano.
Eliminata la sostanza dopo un certo periodo, come ci ricorda F. Mele nel testo “ La violenza incarnata, dal malessere familiare e sociale alla tossicodipendenza”, “la vita si prende la sua vendetta con tutta una serie di dolori, rendendolo vecchio prima del tempo a cominciare dai denti, con il fegato distrutto da mille epatiti, con le ossa decalcificate; sembra che gli anni gli crollino addosso o che il diavolo, come Mefisto fedele al patto anche con questo Faust di cartone, batta alla sua porta più volte e prima del tempo”.