La parola mito deriva dal greco “mithos” e significa letteralmente favola, narrazione favolosa delle qualità e delle gesta di esseri ideati come divini, o più che umani: di dei o di eroi. Il primo ad usare questo vocabolo fu Platone che lo considerava come un mezzo per esprimere delle profonde verità individuali e collettive.
La mitologia dunque è lo studio delle antiche favole proprie d’una etnia, di una nazione e di una cultura. Le raccoglie, le collega, cerca di interpretarle e di capire, nello studio delle loro origini, dei loro significati e dei loro sviluppi, l’animo degli uomini che le immaginarono.
Lo studio della mitologia di Jung
Jung si è avvicinato allo studio della mitologia in modo sistematico: nel 1911 in “Psicologia dell’inconscio” porta a termine il suo studio della mitologia in riferimento alla malattia mentale, in particolare la schizofrenia. La teoria del mito apre la strada alla teoria junghiana della libido, alla teoria dell’inconscio collettivo, alla teoria dell’energetica psichica. Jung sostiene che nei miti affondano le radici della personalità e che essi invitano l’umanità a contemplare la realtà spirituale insita nella nostra natura.
L’archetipo e le immagini archetipiche
La mitologia sarebbe alla base dell’interpretazione dei sogni e delle immagini simboliche dell’uomo moderno. Jung nella sua ricerca individua due concetti principali: quello di archetipo e quello di immagini archetipiche.
Gli archetipi si trovano nell’inconscio collettivo, mentre le immagini archetipiche sono immagini che si sviluppano a partire dagli archetipi e si collocano nell’inconscio personale, andando a strutturare il mondo interiore dell’individuo che ovviamente guida il suo approccio con la realtà esterna.
Pertanto, gli archetipi per Jung sono di per sé irrapresentabili, i loro effetti si ripercuotono nella coscienza come immagini archetipiche consistenti in schemi o temi dominanti universali, che originano dall’inconscio collettivo e costituiscono i contenuti fondamentali delle religioni, dei miti, delle leggende e delle favole, e come dicevamo sopra, del mondo interiore dell’individuo.
Il mito non è l’archetipo in sé, ma ha origine da questo, è il prodotto del suo operare.
Nell’opera ”Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia” Jung sostenne che la degradazione di intensità della coscienza e del livello di attenzione corrisponde allo stato di coscienza primitivo in cui dobbiamo cercare la fonte di formazione dei miti. E’ probabile che gli archetipi mitologici siano sorti in maniera simile a quella in cui oggi si producono le manifestazioni archetipiche nei sogni, nelle fantasie psicotiche.
La mitologia come espressione dell’inconscio
Per l’uomo primitivo, coscienza e inconscio si sovrappongono, e i fenomeni naturali mitizzati, non sono allegorie di quegli avvenimenti oggettivi, ma piuttosto espressioni simboliche dell’intenso e inconscio dramma dell’anima il quale diventa accessibile alla coscienza umana per mezzo della proiezione sui fenomeni naturali.
E questo processo di proiezione è visibile nella schizofrenia dove i contenuti inconsci varcano la soglia della coscienza, e assumono un carattere arcaico mitologico e quindi una “numinosità”. La numinosità, dice Jung, è sottratta alla volontà cosciente, perché traspone il soggetto in uno stato di emotività, cioè di abbandono privo di volontà.
I miti sono inestricabilmente legati alle sensazioni, alle emozioni, ai comportamenti, ai sogni. Se compaiono delle forme mitiche, in uno di questi ambiti, ne veniamo attratti e hanno un enorme potere sulla coscienza, motivo per cui vanno ascoltati, compresi ed elaborati, nel senso di resi coscienti e risolti. Lasciati nel passato dove originano, poiché molto spesso sono miti, schemi familiari intergenerazionali che subiamo ma di cui non siamo consapevoli, hanno effetti negativi nella nostra vita presente.
Esercitando un po’ più di consapevolezza e apprendendo come funzionano i miti, possiamo aiutarci ad avere maggior senso per noi stessi.
Attraverso la mitologia Jung, ha letto il vissuto della schizofrenia, e non solo, ha meglio decifrato l’accadere psichico dell’essere umano. Infatti, il mito non è solo legato agli stati psicotici, ma è presente nell’accadere psichico di ognuno.
Psicologia dell’inconscio di Jung
Nel caso in cui ci sia una coscienza più vigile, un Io saldo, i contenuti depongono la loro corteccia mitologica, si personalizzano e, entrando nel processo di adattamento che si verifica nella coscienza, si razionalizzano, tanto che diventa possibile un confronto dialettico.
Se i contenuti mitologici provengono da archetipi collettivi, è “importante riuscire a distaccare i contenuti mitologici della psiche collettiva dagli oggetti della coscienza e consolidarli come realtà psichiche al di fuori della psiche individuale“ come afferma Jung, in “Psicologia dell’inconscio”.
Distinguere, differenziare è il compito della coscienza, il passo successivo è quello del prudente rispetto verso le immagini e le potenze sconosciute che sono emerse, e non è detto che la coscienza, quella coscienza, sia in grado di sostenere l’irruzione dell’inconscio nella sua portata mitologica. Nel consentire agli elementi inconsci di divenire coscienti, risiede il processo di trasformazione verso una modificazione della personalità. Naturalmente, da parte del terapeuta il materiale mitologico va maneggiato con cura, in quanto il rischio di fascinazione e di inflazione del paziente è elevato.
Il mito può essere utilizzato in psicoterapia per facilitare la presa di coscienza di alcuni contenuti inconsci, per favorire l’elaborazione, tramite identificazione e l’immedesimazione, di alcuni eventi emotivi che l’individuo sta affrontando, infine il mito porta con sé le radici del nostro essere nel mondo, universalmente legati da emozioni e matrici psichiche e ciò ci fa apparire meno soli.
A cura di: Morena Romano, Psicologa-Psicoterapeuta
Specializzata in Psicoterapia Analitica Junghiana
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