Ammetto che sono sempre stata affascinata dal concetto di “tempo”, mi colpiva, soprattutto quando qualcosa mi assorbiva completamente e mi accorgevo, che quello, che a me sembrava un attimo, era in effetti molto di più.
Ognuno di noi ha sperimentato questa sensazione, legata ad un tempo, che assume questo sentire individuale, non quindi un tempo quantificato dall’orologio e mai come in fase di pandemia, il tempo, ha come subito una dilatazione. Durante la quarantena e anche adesso, con la ripresa, il tempo non è più scandito dai nostri impegni quotidiani; l’ufficio, la palestra, l’accompagnare i figli a scuola (…) ma è diventato come un eterno presente, dove ognuno di noi entra in contatto con sé stesso e i propri ritmi biologici, il passato e il futuro si relativizzano e il presente si espande, con la preoccupazione di trovare un modo di occuparlo, per non sentire il vuoto della solitudine.
Quindi non mi sorprende, che in certe culture, si abbiano più termini per descrivere il concetto di tempo.
Kronos e Kairos, il tempo ai tempi dei greci
I greci appunto hanno Kronos, per indicare un tempo quantitativo, quello che quantifichiamo con lo scorrere delle lancette dell’orologio e Kairos, che nel mito risulta essere figlio di Zeus, ed è un tempo più qualitativo.
Kairos, viene raffigurato nei ritratti giovane, nudo, alato, che corre veloce, con un ciuffo davanti e ai lati della testa, stando a dimostrare la difficoltà di acchiapparlo una volta che è passato, carpe diem, bisogna cogliere l’attimo.
E’ più legato appunto, ad un tempo qualitativo, in cui quello che succede, deve essere colto al volo, ed ha un significato preciso per la persona che lo coglie, un tempo più qualitativo, un kairos che produce consapevolezza nell’individuo, che lo “acchiappa”.
Il concetto di tempo
Già Platone, sosteneva una realtà intelligente, dove le idee formano ed indirizzano quella materiale, quindi i fenomeni della natura, risultano collegati da una legge superiore, che egli denominava dialettica.
La presenza del divino, viene ripresa dagli stoici, in virtù dei quali, qualsiasi evento, anche minimo e assai distante si ripercuote su ogni altro, in contrapposizione alla concezione puramente meccanicista degli epicurei.
Con la concezione di Anima del mondo, che rappresenta il principio unificante della natura, regolato da intime connessioni delle sue parti, dove ognuno differenziandosi secondo le proprie specificità individuali, risultano tuttavia legati tra loro, da una Anima universale.
Che ci fosse corrispondenza fra l’Uno e i molti, tra macrocosmo e microcosmo, era convinzione comune anche di arti divinatorie, come l’astrologia, l’oniromanzia (interpretazione dei sogni), il volo degli uccelli, che in volo assumono un’unica forma e dalla quale gli antichi Romani traevano auspici o presagi nefasti, prima di intraprendere una battaglia.
Il periodo che stiamo attraversando e che abbiamo attraversato, il lockdown e la quarantena, dove ognuno separato, chiuso nelle proprie case, separato dagli altri ma parte di un tutto, contribuiva attivamente per la riuscita di un progetto comune, di proteggersi e proteggere gli altri, ci ha fatto maturare un maggiore senso civico, abbiamo realmente toccato con mano, che il futuro dell’essere umano, dipende da quanto riusciamo a collaborare e mettere insieme risorse e competenze.
E’ stato sicuramente un periodo difficile e doloroso per tutti.
Questo tempo trascorso, non dovrebbe essere solo un tempo quantificato dallo scorrere dell’orologio, ma un Kairos, ciò un tempo che può contribuire alla nascita di una consapevolezza nuova.
Questo misterioso virus, partito da un paese lontano della Cina di cui molti di noi neanche sapevano dell’esistenza, in poco tempo ha coinvolto il mondo intero, ha avuto oltre che drammatiche ripercussioni sul mondo esterno anche sul nostro mondo interno. Il virus ha costretto ogni singolo essere umano a farsi domande interiori, domande sulla nostra fragilità e su quella del mondo che ci accoglie.
Le immagini che ci accompagneranno per molto tempo, di città deserte, silenziose, dove la natura si riappropriava delle stesse con fenicotteri rosa, volpi, e meduse, in acque rischiarate dalla chiusura totale, hanno portato ognuno di noi a riflettere su come, abituati al nostro frenetico vivere, distratti e ottusi, su quanti danni, abbiamo prodotto quotidianamente al nostro pianeta.
Il riscaldamento globale, i ghiacciai che si assottigliano giornalmente, i polmoni verdi delle immense foreste amazzoniche che assottigliamo sempre più, dominati da un senso di potere, che ci rende ciechi sui danni irreparabili, che stiamo producendo al nostro pianeta e a noi stessi.
Il termine quarantena si è silenziosamente insinuato nel nostro linguaggio quotidiano e dei media.
La quarantena come punto di partenza
Il numero 40 è un numero che ricorre varie volte nella Bibbia. 40 è un tempo che produce trasformazione. Dopo 40 giorni di diluvio universale il cielo finalmente si rischiarò e ci fu alleanza tra l’uomo e Dio. 40 giorni di Mosè sul Sinai, prima di ricevere le tavole della legge, 40 giorni di digiuno di Gesù prima di iniziare la sua Missione, l’Ascensione dopo 40 giorni dalla Resurrezione, forse… anche per noi questa quarantena ha rappresentato qualcosa di importante, definitivo; dall’assenza della consueta vita quotidiana, alla possibilità di costruire un cambiamento per il futuro, alla possibilità di stabilire un equilibrio con il pianeta e tutte le creature, che la abitano.
Questo tempo scandito dall’emergenza del coronavirus è qualcosa che segna un cambiamento profondo della storia, ci costringerà a rivedere le nostre priorità, i nostri modi di socializzare, il nostro modo di stare insieme. Quello che era la nostra normalità prima del coronavirus, probabilmente non tornerà più o perlomeno non come prima, ma se sapremo cogliere l’opportunità per migliorarci, questa esperienza dolorosa potrà trasformarsi in qualcosa di costruttivo e trasformativo per noi e per il mondo che ci accoglie.
Autore: Dott.ssa Paola Cervellati, psicologa
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