Ad ognuno di noi è capitato fare le cosiddette “grandi pulizie”: svuotare e riordinare cantine, garage, ripostigli, cassapanche o scatole che non aprivamo da parecchi anni e che contenevano vecchi documenti o fotografie, o, più semplicemente, di mettere in ordine armadi e cassetti in vista del cosiddetto “cambio stagione”.
E capita, a chi più e a chi meno, di ritrovarsi a guardare un oggetto che non usiamo più o con un vecchio maglione in mano e di porsi la “fatidica” domanda: “Lo butto o lo conservo?”. Sembra una cosa sciocca ma non lo è: di fronte a questa decisione entrano in gioco molteplici fattori, in particolare quelli emotivi.
Ci ritroviamo a pronunciare tra noi e noi queste frasi: “Può sempre essere utile”, “Lo avevo ancora conservato? Ma non lo avevo già buttato?”, “Beh, questo maglione sono anni che non lo indosso ma è un ricordo di mamma/papà/nonno”.
Ogni oggetto, che sia un vestito, un giocattolo di quando eravamo bambini, una cartolina, una vecchia fotografia, porta con sé tutte le emozioni, positive o negative, di quel particolare periodo o ci ricorda una persona che magari non c’è più.
Ci si trova da soli, con quell’oggetto in mano e ci si sente dubbiosi sul da farsi. Ma, alla fine, riusciamo sempre a prendere una decisione; e quando si decide di non conservarlo è perché facciamo appello alla nostra parte razionale oppure perché preferiamo tenere con noi il ricordo di quell’oggetto piuttosto che conservarlo fisicamente.
Quando invece prendiamo la decisione di tenerlo, l’importante è che l’oggetto in questione susciti in noi emozioni positive o che sia legato a momenti piacevoli della nostra vita, in quanto conservare cose che ci ricordano persone con cui non abbiamo più un bel rapporto oppure oggetti che ci rimandano ad un momento spiacevole può essere d’intralcio al nostro cambiamento.
“Space clearing”, ovvero “l’arte di fare spazio”
In che modo? Ce lo spiega lo “space clearing”, ovvero “l’arte di fare spazio”, una disciplina che mette in stretta relazione l’ordine esteriore con quello interiore. Tale termine è stato coniato da Karen Kingston nel 1978 per indicare una pratica di pulizia energetica degli edifici.
Secondo questa disciplina dovremmo tenere con noi solo cose utili o che, comunque, suscitano in noi ricordi piacevoli ed emozioni positive. Conservare oggetti inutili o che riportano alla mente ricordi negativi o spiacevoli può impedirci di affrontare e accettare i cambiamenti che la vita ci offre, in quanto accumulare oggetti superflui può creare un “ingombro interiore” e diventare una “zavorra emotiva” che ci tiene ancorati ad un passato che non ci appartiene più.
Tale disciplina chiama gli oggetti inutili o superflui “clutter”, e sono tutti quelli legati ad esperienze passate che ci procurano emozioni negative quali tristezza, malinconia o rabbia, oppure oggetti che ci sono stati regalati da persone che, per qualche ragione, vorremo dimenticare.
Quindi, secondo la disciplina dello “space clearing”, il primo passo è il cosiddetto “decluttering”, ovvero eliminare gli ingombri e il disordine, e, successivamente, il vero e proprio “space clearing”, cioè una cerimonia purificatrice degli spazi.
Senza addentrarci troppo nel significato dei vari termini, quel che è certo è che abitare in una casa pulita ed ordinata ci fa sentire meglio. Fare ordine nei nostri armadi e cassetti non è una cosa così banale, ma ordine e cambiamento sono spesso legati.
Non a caso, quando stiamo passando un periodo di trasformazione, quale può essere la fine di una relazione amorosa, il trasferimento in una nuova città, o un cambio di lavoro, viene voglia di riordinare; questo perché quando facciamo ordine nella nostra casa, mettiamo ordine in noi stessi.
Sindrome di accumulo compulsiva o disposofobia
Un discorso a parte merita, invece, la patologia legata al non riuscire a buttare gli oggetti, chiamata con diversi termini: disturbo da accumulo patologico, sindrome di accumulo compulsiva o disposofobia, ovvero “paura di buttare via”.
Le persone che sono affette da questo disturbo accumulano in casa oggetti inutili o vecchi tanto da non riuscire più avere posto in casa dove sedersi o dove mangiare e rendere inabitabili intere stanze.
Le cause della disposofobia
Diverse sono le cause che portano a tale disturbo, ma alcuni studiosi hanno scoperto che tali persone sono spesso troppo coinvolte nei confronti degli oggetti che conservano: una penna, una scatola, un biglietto, vengono percepiti come parte della propria persona e quindi, buttarli, significherebbe per loro, gettare via una parte della loro vita e della propria sfera emotiva.
Inoltre, alcune persone che soffrono di questo disturbo hanno una difficoltà nel catalogare gli oggetti: documenti importanti, vecchi scontrini o fogli ingialliti rientrano, per tali persone, in una stessa categoria.
(Ovviamente, non c’è da confondere tale patologia con chi, invece, ha l’hobby di collezionare libri, modellini di auto, monete antiche o qualunque altro oggetto).
Per quanto riguarda la terapia più adatta per riuscire a superare la disposofobia, si è dimostrata particolarmente utile la terapia cognitivo-comportamentale, che comprende sedute individuali o di gruppo, tra i quali i gruppi di auto aiuto.
E’ difficile, però, che una persona affetta da tale disturbo ammetta di avere un problema e che quindi, si rivolga ad uno specialista; quando succede è perché la persona in questione soffre di altri disturbi quali depressione, ansia o disturbi alimentari.
E’ solo in quel momento che viene riconosciuto un accumulatore compulsivo. Oppure a chiedere aiuto ad un terapeuta è un familiare che è preoccupato per il modo in cui vive la persona affetta da tale disturbo.
Per concludere
Tornando, invece, alla disciplina a cui ho accennato inizialmente, ovvero lo space clearing, ricordiamoci, la prossima volta che mettiamo ordine in casa, del forte legame tra ordine esteriore e benessere interiore: lasciare andare oggetti inutili e riorganizzare in modo diverso armadi e cassetti può servire a farci sentire più leggeri e aiutarci a lasciare alle nostre spalle un passato che, in qualche modo, non ci appartiene più.
A cura di Autore: Lorenza Fiorilli, psicologa
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