La fine di un rapporto significativo, tanto più se consolidato nella costruzione di un nucleo familiare, è caratterizzata dal passaggio dall’amore iniziale alla rabbia, alla tristezza, al senso di colpa e infine al senso di fallimento che compaiono una alla volta e in modo più o meno intenso con il sopraggiunge della delusione e del disinvestimento nell’altro.
Affrontare la perdita
Affrontare la fine di un rapporto significativo così come può essere un matrimonio o una convivenza significa affrontare non solo la perdita di una persona amata ma anche la fine di un progetto di vita a volte lungamente caldeggiato, il fallimento di un investimento affettivo ed esistenziale.
Inoltre molto spesso a farne le spese ulteriormente, sono i figli nati da questa relazione, che senza avere ragione di comprendere quanto sta accadendo intorno a loro (e più sono piccoli più ciò è verosimile), si trovano in balia delle decisioni degli adulti, quegli adulti che primi fra tutti dovrebbero amarli e proteggerli ma che in tali situazioni si trovano irrazionalmente e senza esserne consapevoli a trattarli come pedine di un letale gioco al massacro.
La maggior parte delle potenti emozioni che le coppie separate provano, con tutto ciò che ne consegue, possono essere attribuite alla gestione del lutto. Un lutto non ancora e non del tutto elaborato, può trasformare la separazione in un campo minato, in cui i partners colti alternativamente da rabbia, amore e tristezza, possono passare all’atto e alla conflittualità più accesa.
Anche le emozioni più violente come la rabbia sono spesso manifestazioni di lutto
Perché gli scoppi di ira sono sovente dei disperati, ma indiretti, tentativi di uscire dal lutto, ristabilendo un contatto. Arrabbiarsi può essere un modo per vedere se si è ancora in grado di provocare una reazione nel proprio ex, per capire se egli è, in qualche modo ancora legato a noi.
Altresì il senso di colpa e la delusione per il fallimento del proprio progetto familiare, associata a sentimenti di astio e demoralizzazione, possono condurre gli ex partners ad agiti miranti a rivendicare il proprio tempo perduto precedentemente dedicato alla famiglia (soprattutto se derivato da rinunce personali e professionali), o a voler ottenere un risarcimento psicologico attraverso dolorose ed estenuanti battaglie legali o addirittura, con la tendenza ad estromettere l’altro dalla vita della famiglia e degli amici comuni o peggio da quella dei figli (alienazione parentale).
Il modello di Emery sulle implicazioni psicologiche e sociali della separazione e del divorzio
Emery, un autore che molto si è occupato delle implicazioni psicologiche e sociali della separazione e del divorzio, ha sviluppato un proprio modello esplicativo rifacendosi agli studi sulla morte, ove è prevedibile una cristallizzazione nelle tre emozioni tipiche di questo passaggio: amore, rabbia, tristezza.
Il rimanere invischiati nella fase dell’amore potrebbe condurre ad una negazione della realtà della rottura, tanto è vero che nella maggior parte delle separazioni c’è chi agisce e chi subisce, senza essere attore consapevole del processo.
Il rimanere fissati invece, in sentimenti di rabbia può condurre a mettere in atto comportamenti vendicativi e/o rancorosi, andando altresì a coinvolgere in maniera del tutto disfunzionale la prole, che vive così il dilemma dilaniante di doversi schierare da una parte o dall’altra, sostenendo la parte che appare più vulnerabile, indifesa o “attaccata”.
Infine, rimanere bloccati nella fase della tristezza può dar vita ad esagerati sensi di colpa, di fallimento, di vergogna e vissuti depressivi, che non permettono così di lasciarsi alle spalle quella fase della propria vita ed andare avanti.
Sempre secondo Emery, la rabbia rappresenta l’emozione più complessa che coinvolge i partners, non solo per la sua implicita distruttività ma perché può divenire ingannevole e subdola qualora aiuti a nascondere le paure, le ansie abbandoniche, le risposte difensive, o tentativi più o meno consapevoli di mantenere la relazione.
Si parla così di legame “disperante” quando i partners non riescono a riconoscere le proprie responsabilità nella storia comune e farsi carico della propria sofferenza e sì, anche delle proprie risorse.
In questo tipo di legame il conflitto si autoalimenta e si traduce nel collante che tiene ancora insieme la coppia: nella vendetta, nella ripicca, nello stalking e nella diffamazione che funge da catalizzatore per una sofferenza non elaborata, una delusione non detta, un senso di colpa senza forma.
Proprio per la loro natura inficiante e inconsapevole, le emozioni e soprattutto la rabbia, necessitano di uno spazio di elaborazione adeguato per esser portate alla luce, rese visibili, e sottoponibili ad una lucida e attenta lettura.
Linee guida per gestire la fine di una relazione
Il modello di Emery propone alcune linee guida per far si che, le emozioni siano comprese, senza influire in maniera disfunzionale nella gestione del conflitto, ma piuttosto fungano da canale comunicativo consapevole.
1. Affrontare e accettare il dolore e i timori più intensi, rappresenta il primo passo verso l’elaborazione del lutto nella fine di una relazione significativa e indica la possibilità di riconoscere le proprie emozioni ed elaborarle al fine di poter nuovamente aprire il cuore a nuove relazioni ed alla fiducia nell’altro.
2. Non restare invischiati nei giochi disfunzionali dell’altro, riconoscendoli (ad es. le ripicche).
3. Rifiutare il conflitto con l’ex, il che significa non reagire alle provocazioni, in una gara al massacro infinita e deleteria per entrambe le parti.
4, Tenere le distanze sia dal punto di vista fisico che emotivo, fino a che i contatti servono unicamente da “sfogo” nei confronti dell’altro.
5. Rinegoziare le relazioni e i confini, ove potersi muovere con sicurezza, poiché se i confini aiutano gli adulti in relazione a capire dove collocarsi, cosa possono o non possono (più) fare con e per l’altro, ancor maggiormente aiutano i figli stessi a ridefinire e ridefinirsi nel contesto affettivo/familiare (per questo ad esempio è di fondamentale importanza garantire stabilità e prevedibilità nella gestione dell’affido condiviso così come definire la regolarità delle visite del genitore presso cui non sono alloggiati i figli) .
A cura di: Morena Romano, Psicologa-Psicoterapeuta. Specializzata in Psicoterapia Analitica Junghiana. Riceve su appuntamento a Cesena e Forlì. Email morygian@yahoo.it
Se ti piacciono i nostri contenuti, puoi seguirci sulla pagina Ufficiale Facebook di Psicoadvisor e sul nostro account Instagram: @Psicoadvisor