Anuptafobia: la paura patologica di non trovare un partner

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L \\\'Autore di questo articolo è uno psicologo o psicoterapeuta.
La solitudine non è vivere da soli, la solitudine è il non essere capaci di fare compagnia a qualcuno o a qualcosa che sta dentro di noi. (José Saramago)

Da tempo, uscendo con le amiche, avevo iniziato a rendermi conto di una cosa triste, ma innegabile: le nostre riunioni non erano più divertenti come una volta.

Alcune single, altre sposate, altre già con bambini; eravamo incapaci di sostenere una conversazione divertente o profonda su qualcosa che non avesse a che fare con la ricerca di un partner e l’avere dei figli. Eravamo incapaci di pianificare qualcosa che consistesse principalmente nel godere della nostra compagnia.

Non era una situazione isolata. All’improvviso, donne che avevo sempre considerato intelligenti, divertenti e indipendenti non sembravano mostrare altro interesse che quello di trovare “stabilità”. Questo non sarebbe un problema, a meno che non si arrivi a vivere situazioni in cui ci si rende conto che trovare un partner per molti non è un desiderio, ma una vera ossessione o un requisito fondamentale per avere una vita completa.

Quella paura patologica di non trovare un partner, di restare “soli”, è conosciuta come anuptafobia.

L’origine dell’anuptafobia

La pressione di trovare un partner è una delle cose più comprensibili del mondo in cui viviamo: tutto è fatto in modo da stimolare il desiderio di trovare un partner e di avere figli. Tradizionalmente il successo è associato, in certa misura, a questi due requisiti.

Anche se molti non sentiranno questa necessità in un primo momento, la possono sempre sviluppare: arrivati a una determinata età, il tempo libero sembra diminuire drasticamente. Molti amici e coetanei hanno trovato un partner e il tempo a disposizione per divertirsi o fare quattro chiacchiere è sempre meno.

Anche se è vero che entrambi i generi possono sviluppare la necessità di avere un partner, sembra che nell’arco dei 30 anni e nel genere femminile questa necessità possa diventare patologica. Le allusioni della società all’orologio biologico femminile non fanno che accentuare questa sensazione di oppressione, soprattutto per coloro che si sentono già vulnerabili o messe in discussione perché non hanno un partner.

Il processo di ricerca del partner può essere divertente e può accadere in modo naturale, in altri casi, però, può diventare un percorso tortuoso e doloroso. Una delle linee di separazione tra questi due modi di vivere la ricerca del partner è il modo in cui le persone comprendono e vivono lo stato di single.

Ci sono persone che vivono questa situazione non come un mezzo per trovare un compagno, ma come uno stato completo di per sé. Non vogliano stare soli o in coppia, ciò che vogliono è essere tranquilli e vivere una vita dominata da emozioni positive. Avere un partner sarebbe quindi un fattore positivo in più, che aggiunge una componente di compagnia, intimità e affetto; che si somma al resto, ma che non è fondamentale per stare bene.

Tuttavia, altri credono che essere single sia qualcosa di “innaturale” e socialmente limitante; che li rende più vulnerabili a vivere esperienze negative. Sono persone che hanno interiorizzato come obblighi le “raccomandazioni” sociali fatte dai famigliari e dagli amici riguardo l’avere un compagno o una compagna. Sentono che essere single sia un fallimento sociale, una prova del fatto che hanno un problema.

Comportamento delle persone che soffrono di anuptafobia

Il comportamento delle persone che soffrono di anuptafobia risponde a un modello di ansia e ossessione riguardo l’idea di avere un partner. Le persone più vicine a chi ne soffre sono quelle che verranno più coinvolte in questa ossessione, poiché qualsiasi proposta o invito non sarà soddisfacente se non verrà visto come una strada che porta a trovare un partner.

Le persone anuptafobiche hanno un grave problema di autostima, causato forse da traumi anteriori, esperienze di rifiuto e/o abbandono da parte di una figura a cui erano affezionate durante l’infanzia o l’adolescenza.

Attualmente, esistono alcuni dettagli che ci possono rivelare se abbiamo davanti a noi una persona che soffre di questo disturbo:

  • Eccessivo vittimismo per non avere un partner.
  • Promiscuità e comportamenti che rasentano il limite socialmente accettabile.
  • Categorizzazione delle persone che le circondano in “persone con o senza partner”. A volte le persone anuptafobiche possono usare un linguaggio aggressivo e mirato a ferire coloro che le circondano.
  • Mettono in discussione le relazioni sentimentali altrui, soprattutto quelle che non sono ufficializzate da un compromesso, considerandole “immature o vuote”.
  • In genere si impegnano in una relazione dopo l’altra, senza concentrarsi troppo sulle sue caratteristiche. Si adattano ai gusti e alle opinioni del partner per timore di un nuovo abbandono.
  • Per loro, il matrimonio e i figli sono una superficie stabile e sicura: una dimensione regolata dal compromesso a lungo termine con il partner, più che un progetto di vita con un significato.
  • Incapacità di divertirsi svolgendo attività se non in compagnia del partner
  • Quando hanno un partner, mostrano particolare interesse nell’esibire la propria felicità di coppia davanti agli altri.

L’anuptafobia va intesa come una paura irrazionale, come indica il suffisso stesso della parola. Infatti, il comportamento di una persona che soffre di anuptafobia è in genere piuttosto evidente e marcato rispetto al semplice desiderio o ricerca di un partner.

Questa condizione causa, in un ampio gruppo di popolazione, più dolore e malessere di quello che si pensa. Queste persone sentono che avere un rapporto di coppia sia l’unico modo per darsi valore e per stare al mondo, questo porta alla continua ricerca infruttuosa del significato della propria vita.

Sentirsi a metà, cercare qualcuno per sentirsi interi e non semplicemente per essere più felici è comunque una strada sbagliata.