Le fantasie sul proprio figlio, su come sarà e su quello che sarà, iniziano già in epoca pre-natale. In particolare per la mamma che per il fatto di sentire il feto muoversi, la proietta già, qualche tempo prima rispetto al papà, a tutto quel correlato di sogni, desideri e aspettative rispetto a quella sarà la propria vita futura familiare.
La nascita di un bambino con disabilità o che riceverà in seguito una diagnosi di autismo è un evento traumatico per tutta la famiglia, che si ritrova ad affrontare da sola una serie di problematiche che nessuno può aver preventivato e che spesso annichiliscono.
La disabilità inibisce il processo evolutivo della famiglia: l’elaborazione del dolore della perdita di un figlio “ideale” è simile all’elaborazione di un lutto reale.
Credo, da professionista, che si debba lasciare il giusto tempo alla famiglia per piangere, per arrabbiarsi, per poi aiutarla nel riorganizzarsi, fornendo i giusti mezzi per rielaborare il lutto, raccogliere le energie e reindirizzarle ad azioni costruttive, come la scelta del trattamento più idoneo al bambino.
La diagnosi non è una condanna e ricercare le cause non serve
Quello che molte famiglie non comprendono, infatti, è che il ricevere una diagnosi (che spesso cercano di far confutare, facendo la spola da uno specialista all’altro) non è la “fine assoluta” e che la disperazione e la rabbia o l’accanirsi sulla ricerca delle cause come lo stress pre-natale della placentea, vaccini, infezioni e la teoria peggiore di tutte: l’inadeguetezza delle cure materne, li porterà a cadere in un circolo vizioso fatto di sensi di colpa, di “se avessi e se non avvessi” inutili.
Ricevere una diagnosi è il “la” per poter iniziare la riabilitazione, avere accesso a sovvenzioni adeguate, avere e dare la possibilità ai bambini di poter condurre una vita più dignitosa possibile, più serena possibile.
Il trattamento, è importante che i genitori lo sappiano per poter non cadere nelle trappole di professionisti che speculano soltanto in questo settore, deve prima di tutto valorizzare gli aspetti positivi del bambino, le sue potenzialità e portarlo verso l’autonomia.
I trattamenti maggiormente indicati in caso di disabilità cognitiva (ritardi mentali, disturbi dello spettro autistico, asperger ecc…) che sono stati e sono in grado di fornire notevoli risposte sono, a mio parere, la terapia cognitivo-comportamentale e l’ABA.
Queste terapie non sono di tipo farmacologico, ma si basano su programmi di intervento di base “comportamentale” finalizzati:
- a modificare il comportamento generale per renderlo più funzionale ai compiti primari
della vita di ogni giorno come l’alimentazione, l’igiene personale, la capacità di vestirsi; - a reindirizzare i comportamenti indesiderati, i cosiddetti comportamenti problema;
- a promuovere l’uso del linguaggio e della comunicazione;
- a promuovere la socialità della persona con autismo, con disabilita cognitiva in generale;
- a facilitare l’apprendimento di nuove abilità e conoscenze;
- estendere e a generalizzare comportamenti e abilità da un setting ad un altro, da una situazione ad un’altra.
Numerose ricerche scientifiche, mostrano e dimostrano che prima si inizia, meglio è. Quindi “superato” il primo momento si smarrimento (si… tra virgolette perchè sappiamo tutti che superare è un parolone) e proprio perchè l’efficacia degli interventi aumenta se iniziati precocemente, la famiglia ha un unico imperativo: “non perdere tempo”.
Illustrazione: Walther Sorg
A cura della dott.ssa Domenica Signorile, psicodiagnosta clinica
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