“Bravo”, quell’elogio che non sempre fa bene al bambino

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Psicologa e mental coach, specializzata in psicologia alimentare, gestione dello stress, psicologia dell’ansia e della coppia. Riceve online e nei suoi studi di Terni e Bellaria-Igea Marina.

Chissà quante volte da piccoli/e ci siamo sentiti/e dire: “Bravo/a”, dopo aver finito tutto il piatto di pasta al sugo, o dopo aver realizzato un bel disegno. Chissà invece quante volte lo abbiamo detto come fosse un dono, ad un bambino o ad una bambina.

Che sia chiaro, non c’è nulla di male in ciò, l’intento è sempre quello di rendere felice chi lo riceve, il fatto è che il “bravo/a” andrebbe utilizzato con cautela. È talvolta lode abusata, eppure, inconsapevolmente, non stiamo esercitando la volontà di complimentarci, nel modo giusto. Mi spiego meglio, elogiare un bambino/a attraverso il “bravo/a” significa attribuirgli un giudizio di merito sulla sua persona e sul suo valore. In questo modo si crea una commistione che crea confusione e ambiguità tra identità e azioni.

Nella fase dell’infanzia, il senso d’identità e di autostima, sono in fase di costruzione, è quindi un momento estremamente delicato, dove vi è il rischio che possa strutturarsi nel bambino, l’idea che di essere apprezzati per determinati comportamenti (quelli lodati) piuttosto che per il proprio valore e per la persona che si è. Si potrebbe così cristallizzare l’idea di dover necessariamente corrispondere ad aspettative esterne ben precise, pena il crollo del proprio valore. Come sarà possibile immaginare, tale prospettiva risulta per il bambino, piuttosto ansiogena. È un po’ come essere costantemente esposti ad una lente d’ingrandimento, ad un giudice che in base al comportamento assegna meriti, o demeriti.

Per rendere felici i propri genitori quindi, il bambino si adegua, e mette in atto tutti quei comportamenti che vede essere lodati. E se invece, per seguire la propria natura ed il proprio essere dovesse comportarsi in maniera diversa da come si aspettano i genitori?

In questo caso, il bambino potrebbe percepirsi inadeguato, non degno di valore e merito. Il bambino invece deve conservare in sé una consapevolezza: quella di essere amato, sempre e comunque, e non solo quando fa la cosa giusta (secondo i genitori). Deve inoltre sapere che sbagliare è umano, e che ha tutto il diritto di essere se stesso.

Ecco perché è opportuno utilizzare delle alternative all’ormai inflazionato e generico “bravo”. È necessario orientare il focus della lode sull’azione, e non sulla persona, perché occorre partire da un presupposto: che la persona, va bene così! Va bene così com’è!

Quando i compiti assegnati a scuola risultano ben fatti, anzichè “bravo” si potrebbe dire. “ti sei impegnato tanto, complimenti”. E giustamente si potrebbe pensare, “beh, il senso è quello, cambiano le parole”. In realtà, in tutto ciò il bambino non percepisce le differenze relative il mero aspetto linguistico, ma ne comprende l’intenzione affettiva, che è un aspetto più profondo. Comprende quindi che la lode ( “ti sei impegnato tanto, complimenti”), è rivolta al suo successo di quel momento, ma che, se anche non lo avesse ottenuto, il suo valore di persona, di essere umano… non sarebbe cambiato. Questo è utile al senso d’identità e sopratutto, all’autostima.

Bravo vs Cattivo

E quando il bambino combina qualche marachella, e quindi occorre sottolineare l’azione sbagliata, come farlo? Parola d’ordine: “Io non sono d’accordo”.

Riprendere il bambino con: “io non sono d’accordo” può davvero fare la differenza. In tale affermazione, non c’è giudizio, non c’è mortificazione, ma è possibile esprimere il proprio dissenso, una posizione diversa rispetto quel determinato comportamento avuto. Tale accorgimento letterale,
ma che in realtà racchiude un aspetto emotivo-relazionale robusto, consente di costituire con il bambino stesso, un rapporto di qualità, alla base del quale vige il rispetto dell’altro in quanto essere umano. Tutto ciò rende il bambino sicuro di affrontare il mondo e gli altri.

Come si commenta un buon voto a scuola?

Evitiamo il “Bravo” e piuttosto poniamo una domanda: “sei contento?”. Questo aiuta il bambino a sentirsi protagonista del suo successo ed infonde l’idea che la scuola può essere per lui fonte di gratificazione. Per far si che la scuola sia per il bambino desiderabile, la motivazione che lo spinge ad ottenere un buon voto, deve arrivare da dentro. La soddisfazione per i buoni profitti dev’essere esclusivamente sua, e non del genitore. Con la domanda “sei contento?” è come se si mettesse la scuola in mano al bambino, facendolo divenire beneficiario diretto della gratificazione.

Veronica Rossi, Psicologa e Mental Coach 
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