Sono stati condotti diversi studi per capire di cosa si pente la maggior parte della gente. Uno di questi studi è davvero famoso ed è stato condotto Bronnie Ware con persone in punto di morte, malati terminali o molto anziani. Grazie al suo lavoro, sono stati individuati i 5 rimpianti più comuni.
Bronnie Ware, un’infermiera australiana specializzata in cure palliative con pazienti terminali, decise di chiedere ai suoi pazienti di cosa si pentivano. Sapeva che le persone sono molto più oneste e mature quando sentono che la loro vita sta volgendo al termine. Alla domanda “Di cosa si pente?” la risposta della maggior parte delle persone è quasi sempre la stessa: non aver vissuto fino in fondo. A seguire vediamo nel dettaglio i 5 rimpianti più comuni.
La cosa più inutile di questo mondo è il pentimento; in genere chi si dichiara pentito vuol solo conquistare perdono e oblio, in fondo, ciascuno di noi continua a stimare le proprie colpe. Ware capì che tutte queste risposte erano una importante rivelazione per se stessa e decise di scrivere il libro Vorrei averlo fatto, in cui raccogliere tutte le risposte dei suoi pazienti. Notò, quindi, che la gente ha in particolare cinque rimpianti. Da quel momento, la sua vita cambiò.
I 5 rimpianti più comuni
Quando Bronnie Ware poneva ai suoi pazienti la fatidica domanda, quasi tutte le risposte includevano l’espressione “Magari lo avessi fatto..”. In altre parole, la maggior parte della gente affermava di avere rimpianti, piuttosto che rimorsi. Le risposte più frequenti indicano che la maggior parte della gente ha cinque rimpianti più comuni, ovvero:
- Non avere avuto abbastanza coraggio da fare quello che desideravano davvero, scegliendo, piuttosto, di rispettare i propri doveri.
- Aver dedicato troppo tempo al lavoro. Molti dei pazienti di Ware affermarono di aver fatto scivolare via gli anni d’oro della propria vita, trascorrendoli tra le quattro pareti dell’ufficio.
- Non aver espresso i propri sentimenti. Aver taciuto quando era il momento di parlare. Questo punto fa riferimento sia a sentimenti positivi che negativi.
- Non aver cercato i vecchi amici per parlare delle rispettive vite. Tendiamo spesso a mettere da parte gli amici d’infanzia o quelli di cui semplicemente si ha un piacevole ricordo.
- Non aver lottato per la propria felicità.
Come possiamo vedere, i rimpianti più comuni riguardano cose che abbiamo smesso di fare. Nella lista non compaiono rimorsi o errori commessi, ma semplicemente quello che non è stato fatto.
L’Io ideale e quello che devo essere
All’Universitù di Cornell è stato condotto uno studio meglio strutturato sul perché la gente ha dei rimpianti. Anche in questo caso, la maggior parte della gente rispose che la cosa di cui si pentivano di più era non aver fatto qualcosa. Gli studiosi hanno però approfondito le risposte e analizzato i motivi per cui quella data decisione non era stata presa dagli intervistati.
Secondo Thomas Gilovich e Shai Davidai, che hanno condotto la ricerca, tutto questo riguarda il concetto di “dover essere” e “Io ideale”. Il dover essere, come indica il nome stesso, è associato a quello che ciascuno di noi pensa sia giusto e, quindi, moralmente auspicabile. Si tratta della sfera del dovere etico, che si muove in linea con le convinzioni e i valori di ciascuno di noi.
Dall’altro lato, troviamo l‘Io ideale, che corrisponde a ciò che ciascuno di noi vorrebbe essere, a prescindere dal dover essere. Nell’io ideale risiedono i sogni, le illusioni e, ovviamente, gli ideali. Si tratta di ciò che vorremmo essere, di ciò che vorremmo diventare.
Di cosa si pente la gente? Di motivi concreti
Sulla base dei concetti di “dover essere” e “Io ideale”, i ricercatori di Cornell sono giunti a una conclusione interessante. Quando tradiamo il dover essere, si verifica una sorta di “sovraccarico della coscienza”, di “senso di colpa” immediato. Per questo motivo, le persone cercano di correre ai ripari o di gestire questo rimpianto mettendo in atto misure concrete per “riparare il danno”.
Vediamo adesso un esempio di quanto appena spiegato. Qualcuno che non ha fatto visita a uno zio in fin di vita, nonostante fosse consapevole che avrebbe potuto essere di sostegno. Alla morte di questo zio, la persona in oggetto rimpiange di non aver seguito il suo “dover essere”. Tuttavia, fa una riflessione in proposito. Esamina i motivi per i quali non lo ha fatto e, magari, piangerà anche al funerale, oppure chiederà un simbolico perdono per quello che non ha fatto.
Seguendo l’Io ideale, tutto questo non succede. Una persona non chiede scusa per non essere diventata l’astronauta più famoso al mondo o per non aver deciso di prendere quella imbarcazione che partiva per l’Antartide. Il desiderio irrealizzato resta nella propria coscienza semplicemente come un’illusione che non ha preso forma, che è rimasta tale. Alla fine della propria vita, si pentirà di non aver trasformato il sogno in realtà, perché questo rimpianto è un modo per affrontare quello che non è stato e che mai sarà.