“Cari mamma e papà, era l’unica cosa che potevo fare”, quando l’età del suicida è sempre più bassa. Parliamo di suicidio infantile.
Ansia, rabbia, paura della perdita di controllo, sgomento per l’impatto penoso con qualcosa di inatteso, tristezza perché queste cose non dovrebbero accadere, solitudine soffocante, oppressione..
Queste alcune delle emozioni emerse in un gruppo sul tema del suicidio. Cerchiamo di non pensarci, di evitare l’argomento nonostante la sua enorme rilevanza e la sua sempre maggiore diffusione, poi le circostanze ci costringono a parlarne, a pensarci, a guardare, a sentire e a sentirci.
Rifiutare il dono della vita
E allora ecco le sensazioni sopra elencate comparire, una per una. La vita è un dono straordinario, unico, massimamente prezioso ed è doloroso quando un essere umano non riesce a garantire che questo dono possa in qualche modo essere coltivato ma al contrario compie una sorta di drammatico autogoal: la rinuncia a questo dono.
È una via di fuga terribile ma purtroppo una via di fuga che in ogni epoca, in ogni contesto storico, un pezzo della comunità umana ha cercato. Un tema penoso, talmente penoso che il pensiero fa fatica ad accettarlo e la difficoltà aumenta quando si parla di suicidio minorile, ma, dopotutto, proprio per questo motivo, non se ne parla spesso.
Quando si pensa al suicidio generalmente facciamo più riferimento agli adulti, la maggior parte delle persone infatti non ritiene possibile che i bambini possano comprendere in modo chiaro il significato dell’atto suicidario e sostiene che chi di loro tenti il suicidio rientri nella categoria che Shneidman definisce “ignoratori di morte”.
Tale categoria comprende coloro i quali non hanno piena coscienza del carattere definitivo della morte, non pensano che la morte autoinflitta significhi la fine della loro esistenza, ma sono convinti di barattare la loro vita con un’esistenza migliore.
Il caso di Demain
Demain non era riuscito a riprendersi dopo la morte della madre. Aveva solo 7 anni e non era preparato ad affrontare una tale perdita. (…) Non aveva davvero capito la sua morte. Il padre gli disse che la madre era in cielo, in pace, felice. Giorno dopo giorno Demain si sentiva sempre più triste e più solo e cominciò a mettere insieme le cose con una sua logica: pensava che sarebbe stato di nuovo felice se avesse potuto raggiungere la madre, immaginava che lo stesse aspettando.
Questi pensieri gli erano di aiuto, gli davano speranza. Una sera Demain si alzò dal letto, salì con una scala sul tetto della loro casa e si lasciò cadere nel vuoto, verso la morte, pensando così che avrebbe finalmente potuto raggiungere la madre in cielo.
Pensare al suicidio: le statistiche
Molti suicidi di giovanissimi tuttavia appaiono fondati su una chiara comprensione della morte e su un evidente desiderio di porre fine alla propria vita. Inoltre il pensiero suicidario, persino tra i bambini non affetti da particolari disturbi, è più comunque di quanto non si pensasse un tempo.
I colloqui clinici con ragazzini in età scolare hanno rivelato che la percentuale di bambini che hanno pensato al suicidio oscilla tra il 6% e il 33%. Le statistiche parlano di 2 bambini su un milione di età compresa tra i cinque e gli undici anni, contro 52 milioni di adolescenti tra i 12 e i 17 anni di età.
Si capisce bene, quindi, come questo fenomeno sia molto più frequente nell’adolescenza che nell’infanzia. Tuttavia, negli ultimi decenni, è in aumento anche tra i più giovani e se andiamo a leggere i numeri tra autolesionismo, ideazione suicidaria e tentativi di suicidio fin dalla tenera età, forse dovremmo prendere il coraggio in mano e iniziare a capire che è un fenomeno molto più grave di quello che si possa pensare, nonché la seconda causa di morte tra i giovani.
Altri drammatici casi
Un bambino di 8 anni torna da scuola, si chiude nella sua camerata e tenta il suicidio impiccandosi con una sciarpa fissata all’armadio. E’ morto nella notte in ospedale. Il bimbo sembra abbia deciso di compiere un gesto simile a seguito di un rimprovero dei genitori.
Cari Re Magi, tutto ciò che voglio chiedervi è che la mia mamma sia la donna più felice del mondo, quando io non ci sarò più, visto che sono solo una seccatura e una disgrazia per la sua vita, fin da quando sono nata, perché sono stata io la ragione per cui mio padre se ne è andato. Desidero che mia mamma stia tranquilla e non lavori troppo, e il regalo più grande che posso chiedere è la sua felicità.
Il 2 dicembre del 2009, la madre di Samantha Kubersky trovò il corpo senza vita di sua figlia di 6 anni. Si era messa una cintura attorno al collo per poi lanciarsi dall’alto di una culla. Nonostante i tentativi di rianimazione da parte dei familiari e del personale sanitario, non ci fu nulla da fare.
Tre differenti bambini, tre differenti storie, un’unica tragica conclusione.
Come si arriva al suicidio?
All’origine del desiderio di suicidio nei bambini vi possono essere problemi depressivi, situazioni molto stressanti cui non riescono a far fronte, stress scolastico, sentimenti di disperazione, bassa autostima, molti ragazzi che tentano il suicidio sembrano lottare anche con la rabbia e l’impulsività.
Sono soggetti a pressioni durature come relazioni insufficienti o inesistenti con i genitori, conflitti familiari, relazioni inadeguate con i pari e isolamento sociale.
I bambini troppo spesso sono sprovvisti di protezione nei confronti della valanga di proiezioni che arrivano loro, in particolare quelle dei genitori. È per questo che, a seguito dell’interpretazione che danno a quanto i genitori fanno o dicono, a come vengono guardati, o per ciò che viene fatto credere loro, si trovano esposti al rischio di vivere anche esperienze di tipo traumatico.
I casi riportati sono un esempio di tutto questo: bambini abusati, abbandonati, umiliati, maltrattati, soli che arrivano all’erronea conclusione di essere essi stessi la causa di ciò che sta capitando loro e quindi di “meritarselo”.
Le loro azioni possono essere scatenate anche da uno stress più immediato, quale ad esempio la disoccupazione di un genitore o una malattia fisica, i problemi economici della famiglia o la fine di un rapporto sentimentale. Un evento che il bambino o l’adolescente, vive come stressante, può scatenare un comportamento suicida soprattutto quando c’è già una profonda vulnerabilità e fragilità dell’Io.
L’errore più comune che si fa, è di approcciarsi ai bambini con un filtro da adulti: non si guardano i loro problemi con i loro occhi, non si cerca di capire quanto peso possa avere per loro una specifica situazione. A volte si trovano ad affrontare situazioni che per loro diventano ingestibili, senza avere gli strumenti adeguati.
Sono tormentati dalla disapprovazione genitoriale, dal fatto che non riescono ad essere riconosciuti da loro e non si sentono accettati, altre volte sono vittime di amici e compagni o di loro stessi.
Si può parlare di suicidio con i bambini?
Quanto detto finora ci porta a chiederci se è consigliabile parlare di suicidio ai bambini. È necessario che la morte, in generale, non venga intesa come un tabù per i più piccoli.
È un argomento difficile e complicato, dunque bisogna trattarlo con rispetto ed empatia. Non si devono sottovalutare mai le battute sulla morte dei bambini, le domande sulla morte, le frasi del tipo “mi uccido”, anche se dette in momenti di rabbia e impulsività.
Si deve parlare con loro, non solo di loro, capire da dove vengono questi pensieri, queste idee, cosa li ha scatenati, ascoltando ciò che hanno da dire, anche se fa malissimo e può risultare straziante.
Trasmettendo ai bambini il messaggio che quello del suicidio è un argomento del quale si può parlare, impareranno a esprimere i loro sentimenti al riguardo, sia avvenuto un suicidio di un personaggio famoso diffuso dai media, o di un conoscente, o di un amico, o di un famigliare. Condividere i loro timori e problemi può evitare di prendere decisioni tragiche ed estreme nel presente e nel futuro.
L’animo mio, per disdegnoso gusto,
credendo col morir fuggir disdegno,
ingiusto fece me contra me giusto.
Il mio animo, spinto da un amaro piacere,
credendo di sfuggire il disonore con la morte,
mi rese ingiusto contro me stesso,
che pure non avevo colpeDivina Commedia Canto XIII
Federica Friggi, psicologa clinica
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