“L’uomo è veramente uomo soltanto quando gioca” -Friederich Schiller
“Si può scoprire di più su una persona in un’ora di gioco che in un anno di conversazione” -Platone
Conoscersi attraverso il gioco. Quando si pensa al gioco, la mente evoca subito immagini e sensazioni piacevoli di molti generi. Non a caso l’etimologia di questa parola trova le sue radici in ‘iocum’, che in latino vuol dire, appunto, scherzo. Il gioco è, infatti, una qualsiasi attività a cui bambini, adolescenti e adulti si dedicano per svagarsi, divertirsi, recuperare le proprie energie affettive ed emotive, sviluppare nuove competenze fisiche ed intellettive. (Zingarelli, 2006).
Esso è una costante nella vita di ciascuna persona, crea delle dimensioni simboliche, ed è in grado di evocare emozioni profonde. In altre parole, non solo è in grado di portare ognuno di noi in luoghi e tempi diversi, con differenti forme, dimensioni, storie, ma è anche capace di far emergere emozioni consce e inconsce che a parole, talvolta, non potrebbero essere facilmente narrate. Ciò che è irreale, nel gioco diventa reale, così come le emozioni e gli affetti che ne derivano. (Di Matteo, 2018).
Il gioco simbolico
Per un bambino è oltremodo normale e scontato ricorrere al gioco simbolico più o meno quotidianamente; durante quell’età, ognuno di noi gioca diversi ruoli in diversi contesti per dar forma alla propria emotività, conoscere e plasmare il proprio Io emergente, entrare in contatto con i propri ideali della realtà, di sé, degli altri, delle relazioni, e con i desideri ad essi connessi (ibidem).
Per gli adulti, invece, spesso non è così. Con l’arrivo della maturità, l’essere umano è portato a rispondere con responsabilità a tutte le esigenze della società in cui vive, con tutti i doveri e gli oneri che ne derivano. Uno stile relazionale che comporta un intuibile dispendio di energie non indifferente (ibidem). Per tal motivo, è chiaro che ognuno faccia ricorso ad attività di diverso tipo per scaricare la tensione della vita quotidiana.
Spesso, un’attività ludica a cui ricorrono gli adulti, connotata da un altrettanto elevato potere simbolico, è la narrazione. Che si assuma il ruolo di lettore, ascoltatore, o narratore, le storie sono in grado di trasportare gli individui in altrettante dimensioni reali, surreali, fantasiose, con trame di ogni tipo, ed evocare emozioni reali direttamente collegate al proprio mondo interiore inespresso. La narrazione è anche in grado di instaurare una rete relazionale fatta di scambi di opinione, di stati d’animo, condivisioni; è dunque, al pari del gioco, un’attività capace di connettere a sé e agli altri (Lo Verso, Di Blasi, 2011).
Quando il gioco incontra la narrazione: il gioco di ruolo
Si tratta di un’attività ludica in cui il giocatore interpreta un personaggio giocante, con una sua storia, una sua personalità, un suo aspetto fisico che viene espresso da un Avatar. L’Avatar del personaggio ha un aspetto fisico e delle caratteristiche che, inevitabilmente, differiscono da quelle del giocatore in diversa misura.
Nella maggior parte dei giochi di ruolo classici, il giocatore muove il suo pg (personaggio giocante) semplicemente narrando e descrivendo le sue azioni ed i suoi comportamenti concatenando la sua narrazione a quella degli altri giocatori, creando così una dimensione interattiva fatta di scambi relazionali, emotivi e sociali.
Ogni gioco di ruolo ha anche la sua ambientazione, che può essere realistica o meno. Si può giocare di ruolo anche recitando in carne ed ossa per interpretare qualcun altro, o sé stessi, in un immaginario contesto differente da quello reale.
Tale tipologia è, fra l’altro, utilizzata spesso e volentieri in ambito psicologico clinico e organizzativo, dal momento che la simulazione nel qui ed ora di un comportamento reale, in un luogo ed un tempo immaginario, permette di esplorare ed esprimere emozioni legate all’ipotetico, al verosimile, e talvolta al surreale (Andolfi, 2003). Proprio come avviene nel gioco simbolico dei bambini, che esplorano le proprie risorse emotive e relazionali creando contesti immaginari e agendo come se fossero reali (Di Matteo, 2018).
Tuttavia, come già spiegato, è raro che gli adulti assumano il ruolo di attori in un gioco simbolico al di fuori di un setting psicologico ben definito.
Possono, altresì, far ricorso al gioco di ruolo narrativo, sia cartaceo che online. In questo tipo di giochi, i personaggi interpretati, ed i loro ruoli, non sono altro che il frutto delle proprie propensioni personali, delle proprie interpretazioni. Il personaggio prende vita dalle caratteristiche personali e sociali che il giocatore proietta in esso, facendone a tutti gli effetti un riflesso virtuale di sé.
La stessa evoluzione temporale che può attraversare un personaggio è determinata dal modo in cui il player si adatta al mutare della storia e degli eventi (Santovecchi, Furnò, 2014).
“Non siamo più pienamente vivi, più completamente noi stessi, e più profondamente assorti in qualcosa, che quando giochiamo” -Charles E. Schaefer
La vita online e offline
I giochi di ruolo online, in particolare, non si svolgono in uno spazio fisico concreto, ma in una dimensione sociale virtuale che prende forma grazie alle innovative tecnologie di comunicazione, che consentono di contattare i tempo reale altre persone azzerando la percezione delle distanze fisiche.
Come in ogni gioco simbolico in cui prevale l’immedesimazione (il “giocare a far finta…”, o il “giocare ad essere…”), che sia esso un gioco di ruolo online, cartaceo, o fisicamente impersonato dal giocatore stesso, è importante ricordare che esiste una differenza tra il ruolo che si recita nel tempo di gioco e la propria persona in carne ed ossa, con una sua storia reale ed una sua reale personalità.
Nei giochi di ruolo in piattaforma web, questa differenza viene spesso sancita con i termini online e offline. Convenzionalmente chiamati, per semplificare, On e Off.
L’On riguarda tutto ciò che accade all’interno della trama di gioco, in cui il giocatore è coinvolto nel momento in cui muove il suo personaggio, con le conseguenze nella trama e nelle relazioni che si articolano nello svolgimento della storia. L’Off, al contrario, riguarda tutti gli scambi di opinione, di relazione, e le interazioni che avvengono tra i giocatori quando non stanno giocando (Simoncelli, 2014).
È frequente che un giocatore si ritrovi coinvolto in dinamiche di gioco in cui il proprio personaggio giocante viene ferito, aggredito, messo in difficoltà, allontanato da altri personaggi per vari motivi. Il confine tra On e Off permette di ricordare che, se qualcosa di negativo accade nel gioco On, non significa che l’ostilità sia reale anche nella dimensione Off. Eppure, spesso accade che un giocatore perda di vista questa differenza, con le più disparate possibili conseguenze che riguardano tanto il gioco quanto la salute (Pieragostini, 2014).
“Il modo in cui la gente gioca mostra qualcosa del loro carattere. Il modo in cui perde lo mostra per intero” -Harvey B. Mackay
Ci sono dei rischi?
Come già esposto, la forte immedesimazione nel proprio personaggio è normale e plausibile, data la vasta gamma di emozioni che il gioco simbolico è in grado di evocare in ogni individuo (Di Matteo, 2018; Andolfi, 2003). Tuttavia, succede spesso che un giocatore si senta pervaso al livello emotivo da ciò che accade al suo personaggio, arrivando così a non percepire più il confine tra On e Off (Pieragostini, 2016).
Sembra che alla base di un tale comportamento operino processi difensivi (o meccanismi di difesa) come la proiezione e la dissociazione. La prima, in breve, è un processo che consiste nel rivedere in qualcun altro alcune caratteristiche e inclinazioni che in realtà appartengono alla propria persona; la seconda, invece, è un processo difensivo che funziona a diversi livelli e che, in generale, porta ad un distacco dalla realtà (McWilliams, 2011).
La proiezione
Questi meccanismi non sono necessariamente da intendersi come processi patologici, anzi, in molti casi, ed entro certi limiti, sono piuttosto adattivi, e consentono un funzionamento emotivo e sociale sufficientemente sano. Una proiezione utilizzata in un modo non pervasivo, ad esempio, può essere utile a sintonizzarsi con gli altri e conoscere meglio i loro vissuti interiori.
Proprio la proiezione, come già accennato, sembra permettere di rivedere parti di sé nel proprio personaggio giocante, il quale prende vita proprio grazie a questi contenuti proiettati, interagendo così con gli altri personaggi e con il mondo immaginario.
Presumibilmente, quando il giocatore ha sufficiente capacità di riappropriarsi delle proprie proiezioni (e quindi, di distinguere la differenza tra sé ed il personaggio), è minore il rischio che egli confonda l’online con l’offline. Al contrario, quando i contenuti proiettati non vengono riconosciuti come tali, è plausibile pensare che il giocatore possa sentirsi attaccato od offeso personalmente per qualcosa che, a conti fatti, sta accadendo al suo personaggio.
La dissociazione
Anche la dissociazione concorre in queste dinamiche. Si ribadisce che la dissociazione può configurarsi come un processo dal funzionamento normale ed adattivo. Distaccarsi dalla realtà per qualche istante, che sia un semplice distrarsi o l’essere assorti nelle proprie fantasie o nei propri pensieri, è un evento piuttosto comune e frequente nella vita di tutti, un tipo di dissociazione sana che consente di recuperare e/o risparmiare le proprie energie cognitive (Bucci in Moccia, Solano, 2009; McWilliams, 2011).
Anche nel gioco di ruolo entra in funzione la dissociazione, nella misura in cui il giocatore, grazie alla simulazione del gioco simbolico, si catapulta nel qui ed ora di ciò che sta accadendo nella trama On. (Santovecchi, Furnò, 2014).
È chiaro che l‘interpretazione del personaggio può essere ritrattata o interrotta in qualsiasi momento, assumendo un atteggiamento di distanziamento dal ruolo (Goffman, 2003).
Ciononostante, in alcuni casi, la dissociazione che si attiva è più pervasiva, e il personaggio giocante si sostituisce alla coscienza del giocatore, e talvolta il suo Avatar (il corpo virtuale del personaggio) viene percepito come più importante del suo corpo fisico. In altre parole, si avverte il forte desiderio di trasformarsi in tutto e per tutto nel proprio personaggio giocante (Santovecchi, Furnò, 2014).
Trance Dissociativa da Videoterminale
Nei casi più gravi, per quanto riguarda i giochi di ruolo sul web, la forte dissociazione può portare ad una Trance Dissociativa da Videoterminale. Si tratta di una vera e propria alterazione dello stato di coscienza, in cui il giocatore perde il contatto con sé stesso (depersonalizzazione) e la percezione dei confini della sua identità personale.
Questa condizione, da intendersi come uno dei più gravi risvolti riscontrati nel gioco di ruolo, è senz’altro facilitata dalle possibilità di connessione che offre internet; l’annullamento delle distanze, l’assenza di particolari vincoli spazio-temporali, l’anonimato, creano una dimensione sicura in cui il giocatore si ritrova avvolto come se stesse sognando, fin al punto di non avere più il controllo su di sé o sulla situazione (Caretti, 2000).
Condotte di gioco ossessivo-compulsivo
Nei giochi di ruolo sul web esiste anche il rischio di incorrere in condotte di gioco ossessivo-compulsive o, in casi più gravi, in un disordine da dipendenza da gioco online (per approfondire, si reindirizza a “Dipendenza da gioco, risvolti psicologici”).
La competizione, la progressione dei livelli, e tutte le altre strategie di gioco che rendono più forte il proprio personaggio, possono iperstimolare nel giocatore i meccanismi della motivazione e della ricerca di ricompensa, portandolo a giocare unicamente per dimostrare di essere un abile giocatore.
Viene così a mancare il piacere di giocare per puro diletto, riducendosi a condurre un gioco privato delle sue connotazioni emotive e relazionali positive, a favore di uno più competitivo (Santovecchi, Furnò, 2014).
“Il vero vincitore di un gioco non è chi arriva primo ma chi si diverte di più” -Alimberto Torri
Prevenzione e salute
Chiaramente, i rischi sopra citati non riguardano ogni giocatore e non sono dovuti semplicemente alla natura intrinseca dei giochi di ruolo, che di per sé hanno il semplice scopo di intrattenere e divertire. Ognuno reagisce e si adatta alle situazioni a modo proprio, per cui è lecito chiedersi come mai solo alcuni giocatori incorrano in dinamiche di gioco disfunzionali.
Al momento, sembra che tale tendenza si presenti in concomitanza con altri disagi clinici, tra i quali:
- disturbi d’ansia,
- disturbi dell’umore,
- disturbi da uso di sostanze,
- ansia sociale,
- alcuni disturbi di personalità.
Possono ricorrere, inoltre, sentimenti di solitudine e difficoltà ad incanalare le proprie energie emotive nella vita reale (La Barbera, 2001).
Per alcune persone che manifestano uno o più disagi sopra citati, ricorrere al gioco potrebbe essere un tentativo di controllarli compensando con i comportamenti del suo personaggio. L’immedesimazione potrebbe così venire in aiuto, dissociando il soggetto da una realtà da lui vissuta in maniera così problematica. Il gioco diventa così un vincolo, una zona confortevole in cui ritirarsi per sfuggire ai propri problemi.
Chi ha delle difficoltà di questo tipo, invece, andrebbe motivato ad irrobustire la propria rete sociale nella vita reale, a sviluppare un maggior senso di autonomia, di efficacia. Nei casi più gravi, andrebbe seguito in ambito clinico da un professionista della salute mentale, che potrebbe così aiutare l’utente ad incanalare le sue energie anche in relazioni reali e a scoprire un maggior senso di autonomia.
Per concludere
“La vita è più divertente quando si gioca” -Roald Dahl
Capita a tutti di voler sfuggire alle difficoltà della propria vita, e concedersi una “fuga” per un breve periodo può essere normale e salutare. Da chi si concede un semplice viaggio, a chi ricorre ad attività ricreative, e a chi ricarica le proprie energie con il gioco. Così come tutte le altre attività che consentono di “staccare la spina”, il gioco non è la soluzione ai problemi della vita quotidiana, tuttavia, esso può essere un potente strumento per aumentare le proprie capacità relazionali e le proprie strategie di adattamento. Esso dovrebbe configurarsi come una risorsa, non come un limite; qualcosa di cui parlare, un’attività piacevole a cui ricorrere per arricchire una vita emotiva già ricca di per sé.
Autore: Giuseppe Scozzari, psicologo
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