Il peso di essere donne

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Psicologa e mental coach, specializzata in psicologia alimentare, gestione dello stress, psicologia dell’ansia e della coppia. Riceve online e nei suoi studi di Terni e Bellaria-Igea Marina.

Devi depilarti, devi avere i capelli a posto, devi essere amorevole, devi tenere in ordine la casa, devi fare un lavoro “femminile”, non devi dire le parolacce, non devi avere la cellulite, devi vestirti sexy, ma non troppo, devi fare figli.

Nessuno detta queste regole apertamente, è vero, ma la società, le persone, le sottintendono. Le donne lo sanno. Le donne sentono il peso di tali precetti. Essere donna secondo la nostra cultura, equivale ad essere una sfilza di “devi” e “non devi“. È una cultura che non fa sconti a nessuno, è severa, competitiva.

Pensiamo per un attimo all’aspetto fisico.

L’aspetto fisico

I canoni, le misure, sono strettamente connessi al femminile. Il correlato maschile del 90, 60, 90 infatti… non esiste. Canoni irraggiungibili, ben lontani da come è davvero un corpo nella realtà. La società vuole ridurre l’essere donna a centimetri, chili; in sostanza, a numeri. Ma questo, è solo un problema, un altro, forse ancora più drammatico è che ormai, ahimè, vige l’idea secondo la quale, la propria immagine corporea determini il proprio valore di persona.

I social hanno anche aperto le porte ad un altro fenomeno che vede una continua “proposta fisica”, attraverso fotografie, video, e di conseguenza per le donne è inevitabile il confronto tra sé e le altre donne. Confronto che però non è ad armi pari. Le donne del web, sono in realtà immagini che non corrispondono alla realtà, ma ne sono una sua pubblica distorsione. Non dimentichiamoci infatti che quello che i nostri occhi vedono dallo schermo è frutto di probabili ritocchi, artefici.

Ma davvero il valore di una persona può essere ricondotto alla sola immagine? Non è forse dato dalla sua storia? Dalle idee che ha? Dai pensieri che esprime? Dalle sue esperienze di vita?

Dire che l’estetica e la propria immagine siano qualcosa di non importante, non sarebbe corretto, in fondo, è il nostro biglietto da visita. Ciò che è sbagliato invece, è dimenticarsi che oltre al corpo vi è molto altro. Qualcosa che non si vede, a differenza del corpo, ed è forse è questo il motivo per il quale di frequente, ne ignoriamo l’esistenza.

Il focus accentuato sulla dimensione corporea rende l’aspetto fisico un elemento non sempre facile da incorporare nella propria identità. Non sono pochi i disagi che nascono da una mancata accettazione della propria fisicità così come di contro, una mancata accettazione del sé (e di aspetti più astratti) può riversarsi sul proprio corpo. E’ importante ricordarlo: oltre al corpo vi è molto altro.

Solo attraverso questa consapevolezza, l’occhio dell’altro non sarà più temuto, non si avvertirà più la necessità di rientrare nelle richieste della società se queste non sono in linea con le proprie.

Le professioni

Essere donne molto spesso significa dover farsi largo in “mondi” che sono presidiati da uomini. Esistono ancora oggi professioni per le quali, a livello grammaticale, non vi è un correlato femminile, o se esistono, risultano alquanto cacofonici (ad esempio avvocato e avvocatessa). Questo però non è un problema linguistico, bensì culturale. Esiste un implicito messaggio, ovvero che quella cosa “non è da donne”.

Conoscete la storia di Aishoplan?

Aishoplan è la protagonista di un documentario, divenuto poi film. La sua storia divenne famosa perché si ribellò ad una tradizione di quasi 2000 anni, quella dei cacciatori o meglio, addestratori di aquile della Mongolia, la quale vedeva l’attività di “cacciatore” ad esclusività del sesso maschile.

Ebbene, nonostante tutte le resistenze della sua comunità, seguì le orme del padre e del fratello, divenendo così la prima donna cacciatrice di aquile. Non è stato sufficiente questo però, per veder riconosciuta questa sua conquista.

Se in origine, il film in inglese prese il titolo di “The Eagle Huntress” in Italia fu tradotto con “La principessa e l’aquila”. Forse semplicemente perché “cacciatrice” non suonava bene, o forse ancora perchè, addestrare aquile per la caccia… è qualcosa da uomini.

Il motivo di questa imprecisa traduzione, forse, non si saprà mai, sappiamo però che non è stata sufficiente una “rivoluzione” di questo tipo per veder riconosciuto ad Aishoplan, ciò che realmente è, non una principessa, ma una cacciatrice/addestratrice di aquile.

Vi è da dire, fortunatamente, che sopratutto nella nostra società, molte convenzioni ormai obsolete, si stanno pian piano sgretolando. Per far sì che tale processo continui, occorre essere donne che non si allineano. Donne che hanno intenzione di cambiare il mondo… e le menti delle persone.

Veronica Rossi, Psicologa e Mental Coach 
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