Impotenza appresa vs senso di autoefficacia (agency)

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Psicologa e Psicoterapeuta analitica in formazione, con utilizzo della Sand Play Therapy e psicodiagnosta con Test Rorshach e altri test. Riceve online e nel suo studio di Empoli.

L’uomo è l’unico a nascere in completa dipendenza dalle cure dei suoi simili: nessuna altra specie rimane così a lungo dipendente, per sviluppare le sue capacità. Il suo cervello è plastico, con funzioni innate che attendono la giusta maturazione, dettata da un ambiente esterno favorevole in grado di elicitarle.

Questo lungo periodo è pieno di responsabilità per le figure di accudimento, che devono cercare di svolgere al meglio questo delicato compito evolutivo. Alla madre, spesso vengono attribuite molte responsabilità, per questo preferisco parlare di funzioni materne e paterne, lasciando una certa elasticità nella possibilità di esercizio delle stesse.

Che cos’è l’impotenza appresa: helplessness

Il concetto di impotenza appresa, rappresenta un costrutto psicologico molto importante soprattutto per spiegare quello che succede nella psiche delle donne che subiscono violenza domestica. Spesso quando si parla di donne vittime di violenza domestica, si parla di donne fragili, dipendenti, che rimangono per anni in situazioni di maltrattamenti e abusi, incomprensibili a chi da fuori, osserva la situazione.

Spesso vengono etichettate, donne deboli, dipendenti ed insicure. Questo pregiudizio, diventa un ulteriore stigma per la donna, che si trova da un lato a dover fronteggiare il prevaricatore e dall’altro ad affrontare lo stigma sociale.

Per mia personale esperienza, ho conosciuto donne vittime di violenza domestica, nelle quali, debolezza e dipendenza non erano parte dei loro tratti di personalità, ma che diventavano una caratteristica acquisita dagli eventi che si erano trovate a vivere.

Intanto, per riuscire a sopravvivere in certe condizioni bisogna imparare a camminare come su una fune appesa tra due cime montuose, con sotto una voragine. Come un esperto funambulo, privo di funi di sicurezza si comincia con un passo alla volta, stando attenti a non precipitare.

L’esperimento di Seligmann

In un suo celebre esperimento, Seligmann, usa dei cani… ma i risultati possono evocare qualcosa di più profondo: un lento condizionamento che comincia in maniera inconsapevole e che produce quello che viene denominata impotenza appresa o impotenza acquisita.

Presso l’Università della Pennsylvania, nel 1967, Martin Seligmann e i suoi collaboratori, partendo dall’interesse nei confronti della depressione, iniziarono la ricerca sull’impotenza appresa. Nella prima parte di questo studio, tre gruppi di cani venivano posti in imbracature costrittive.

Al gruppo 1, l’imbracatura fu tolta dopo poco tempo. Al gruppo 2 venivano date delle scosse elettriche, in momenti casuali che gli stessi cani potevano far terminare premendo una leva. Ogni cane del gruppo 3 era accoppiato ad un cane del gruppo 2 e ogni qualvolta un cane del gruppo 2 riceveva una scarica elettrica, anche il cane del gruppo 3 al quale era accoppiato, la riceveva, con la sola differenza che questi non avevano nessuna leva per poterla fermare; quindi nessuna possibilità di controllare la situazione.

Questi cani, ben presto maturarono la convinzione che la scossa fosse un evento “inevitabile”, non comprendendo il meccanismo sottostante alla somministrazione della stessa. Nella seconda parte dell’esperimento, i tre gruppi di cani furono posti in una scatola divisa da una barriera alta una decina di centimetri e fu somministrata una scossa che potevano evitare passando nel lato opposto della scatola, saltando la piccola barriera di divisione.

I cani del gruppo 1 e 2 impararono rapidamente a saltare l’ostacolo e andare dall’altra parte della scatola, dove erano salvi dalla scossa. Al contrario, i cani del gruppo 3 che avevano maturato l’impotenza appresa, rimanevano passivi e si sdraiavano, gemendo, quando venivano colpiti dalla scossa. I cani del gruppo 3 non avevano elaborato che c’era un nesso di causa ed effetto tra un loro comportamento e la scossa.

Quello che si riteneva essere intervenuto in questi cani, era la loro scarsa possibilità di agire sull’ambiente e il loro apprendere una sorta di impotenza, passività agli eventi.

Può venire giustamente da obiettare che un essere umano non ha gli stessi automatismi di un animale, ma le neuroscienze ci stanno insegnando che i primi circuiti che si attivano in situazioni di minaccia, sono quelli istintivi che non sono mediati dal pensiero riflessivo, che al contrario si attiva solo in frangenti mediati da calma e positività.

Le risposte alle minacce

Quando ci sono sollecitazioni negative ed avversive, i primi circuiti che si attivano, sono i circuiti sottocorticali dell’amigdala, che modulano risposte neuroendocrine e producono modificazioni somatiche, come aumento del battito cardiaco, sudorazione ed altro.

Contemporaneamente, questo stimolo emotivo, viene inviato dal talamo alle cortecce associative, dove viene elaborato in maniera più lenta e mediata dall’ambiente culturale di appartenenza, dalle esperienze pregresse e dagli esiti delle stesse.

In teoria: se il mio comportamento pregresso mi ha esposto a pericolo il mio sistema interno imparerà a modificarlo, fino a produrre un esito positivo nell’ambiente che mi circonda. Ricordiamoci che tutto avviene in modo automatico, inconsapevole e siccome il sistema interno cerca di tornare all’omeostasi e alla calma, solo quello che produce questo stato interno viene considerato adattivo e va a creare risposte automatiche che difficilmente si modificano in maniera autonoma.

Lo sviluppo psichico sotto tortura

Nei manuali della CIA, questo stato di impotenza appresa viene evidenziato dopo l’uso prolungato di metodi coercitivi, usati per estorcere informazioni all’interrogato.

Qui si parla di apatia, che si traducono da parte del soggetto in terrore, debilità e dipendenza. Superfluo ricordare quello che è avvenuto nei campi di concentramento, dove la capacità di ribellarsi o di produrre comportamenti di opposizione, era stata ben presto messa a tacere in tutti gli individui e non solo quelli predisposti alla dipendenza.

Quindi le evidenze portano tutte a considerare che chiunque sottoposto a certe situazioni diviene dipendente, sottomesso e timoroso.

Tornando alla violenza domestica protratta,  è chiaro che il pregiudizio sociale che investe queste donne, non fa altro che aumentare la loro percezione di mancanza di controllo, portandole ancora di più verso una passività, come hanno dimostrato gli studi condotti da Gotlib e Beatty.

Questi hanno scoperto che le persone che citavano l’impotenza in contesti sociali avevano più probabilità di essere viste negativamente dagli altri, il che tende a rafforzare la loro passività, alimentando un circuito vizioso. L’impotenza appresa, che deriva da un pregiudizio inevitabile, corrisponde all’impotenza nata di fronte a un grave shock

L’Agency e i feedback positivi

L’agency non è semplicemente un tratto o un’attività del singolo individuo, ma piuttosto un modo contestualmente agito, di essere nel mondo. E’ il modo in cui il cervello capisce che può avere un senso di efficacia e paradossalmente è l’unico modo veramente efficace di apprendimento.

Quindi tutto il nostro modo di concepire l’educazione anche scolastica, basata sulle punizioni e sulla correzione degli sbagli, nella realtà dei fatti, non produce gli effetti di apprendimento desiderati, perché il nostro cervello apprende, quando c’è un feedback positivo e non quando viene messo sulla difensiva da rimproveri e punizioni, ed è su questo senso di efficacia presente in ciascuno di noi, sul quale dovremmo concentrarci.

Tempo fa, girava un video su Facebook molto popolare che mostrava un bambino di tre anni, molto dolce, che disquisiva sul fatto se mangiare o meno il polpo, che gli aveva cucinato la madre. Un bambino, molto intelligente, non c’erano dubbi, perché da quella cosa in particolare, riusciva a generalizzare sul fatto che tutti gli animali che mangiamo, devono morire e che lui non gradiva in particolare che degli animali dovessero morire per soddisfare l’appetito di qualcuno, ed in particolare il suo.

Mi colpì la sensibilità della madre, che aveva fatto il video.  Se questa, avesse fatto come la maggior parte dei genitori, obbligandolo a mangiare tutto, perché solo così, sarebbe cresciuto forte e sano, non avrebbe dato un ottimo esempio di agency. Questa madre, ascolta e accoglie la richiesta del piccolo, emozionandosi.

C’è un continuo feedback tra queste competenze di base, gli esiti delle azioni in relazione al contesto entro il quale si agisce, producendo, una capacità in base, all’esperienza di efficacia  propria o altrui. Hascalovitz e Ohbi (2015), hanno studiato in laboratorio questa abilità.

Nel narcisismo non clinico, questa capacità di agency è stata studiata attraverso il paradigma, dell’intetional binding. Tale paradigma, misura la differenza che esiste tra: l’intervallo di tempo oggettivo tra un’azione e il suo effetto (ad esempio tra il click del mouse e la comparsa di un’immagine sullo schermo) e la percezione soggettiva dell’intervallo trascorso.

Quando erano i soggetti stessi a completare l’azione, il tempo stimato tra l’azione e l’effetto risultava inferiore a quando i soggetti erano spettatori dell’azione. Questo esperimento è la misura del senso di agency. Così un bambino al quale vengono continuamente negate questa potenzialità, gradatamente le perderà e si abituerà a farsi guidare, più che a guidare lui stesso.

Quindi questa capacità è molto importante, per tornare ai casi di violenza domestica, l’agency è fondamentale per restituire un senso di efficacia alle donne che hanno imparato che qualsiasi loro agire può produrre solo reazioni abnormi. Non esiste una casualità logica tra il loro agire e il comportamento violento del loro compagno, ma il bisogno di sicurezza produrrà nella donna delle modificazioni nel suo modo di comportarsi.

Quindi il senso di agency è stato completamente soppiantato dal senso di inabilità appresa. Lento, ma non impossibile, l’inversione di rotta. Si dovrebbe fin dall’infanzia, diminuire l’educazione e l’istruzione che punta a mortificare, bisognerebbe invece allenare, il senso di agency presente in ognuno di noi.

Togliendo la frustrazione e il senso di colpa di non riuscire in un determinato compito, magari facendo leva sul fatto che aumentando lo sforzo, possono migliorare abilità specifiche, questo aiuterà a migliorare il senso di agency personale e sicuramente aumenterà la motivazione a sforzarsi nel compito. Così come alle donne vittime di violenza, bisogna piano piano cercare di ristabilire il loro senso di agency, lavorando sul senso di impotenza appresa.

Autore: Dott.ssa Paola Cervellati, psicologa

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