Prendiamo una classe delle superiori, una terapeuta specializzata in intelligenza emotiva e un compito provocante: “Sono stato giudicato proprio quella volta in cui…… e mi sono sentito….”. Quale potrebbe essere il risultato?
Quel giorno 30 ragazzi sbarrarono gli occhi e ci guardarono con sguardo implorante “no ti prego non farcelo fare!” mi sembrava di sentire i loro pensieri. Ci fu dunque un po’ di difficoltà a iniziare ma poi lo fecero, scrissero, in privato, su un foglio, in silenzio… e ne furono contenti.
Essere amati ed accettati da chi ci circonda è uno dei bisogni umani essenziali. Il bisogno di appartenenza è così importante che una delle paure più diffuse è proprio la paura del giudizio degli altri.
Temiamo di non venire accettati per via del nostro aspetto fisico, delle nostre origini, del nostro livello di educazione, del nostro lavoro, della nostra età, ecc. Ognuno di noi teme di venir giudicato su un aspetto piuttosto che su un altro, ma alla base di tutto vi è il timore dell’umiliazione, dell’esclusione dal gruppo, dell’emarginazione.
Come nasce il giudizio? Le euristiche
Il giudizio è l’atto conclusivo di un ragionamento e consiste nell’esprimere una valutazione su un evento, una persona, un oggetto… Per formulare un giudizio esistono due principali tipologie di elaborazione delle informazioni: l’algoritmo e l’euristica.
L’algoritmo è un metodo preciso e rigoroso, che si basa su calcoli statistici e matematici, informazioni esatte e comporta un notevole dispendio cognitivo, solitamente è attuato dalle macchine più che dall’uomo. L’euristica è una metodologia più rapida e cognitivamente più semplice anche se decisamente meno precisa.
Il procedimento euristico è un metodo che non segue un percorso o dei procedimenti chiari, ma si affida all’intuito e allo stato temporaneo delle circostanze, al fine di generare una nuova conoscenza.
Esistono diversi tipi di euristiche: l’euristica della rappresentatività che consiste nel considerare un esemplare parte di un determinato gruppo basandosi esclusivamente sulla somiglianza o sulla rilevanza; l’euristica della disponibilità che valuta un evento come più probabile di un altro in base alla facilità e rapidità con cui vengono in mente esempi che fanno riferimento alla categoria di riferimento;
l’euristica affettiva che consiste nel prendere decisioni e formulare giudizi a partire dalle emozioni suscitate dal problema e dalle modalità con cui lo stesso è posto; euristica dell’ancoraggio per la quale se si deve dare una stima di probabilità di un evento, essa è sistematicamente influenzata da un termine di paragone. L’uomo utilizza solitamente il procedimento euristico.
Dal giudizio al pregiudizio
Collegato al concetto di giudizio abbiamo quello di “pregiudizio” così attuale, così presente, così incontrollabile.
“Pregiudizio: opinione preconcetta capace di far assumere atteggiamenti ingiusti, spec. Nell’ambito del giudizio o dei rapporti sociali”
– Dizionario Devoto Oli
“un sentimento, benevolo o malevolo, verso una persona o cosa, antecedente all’esperienza oggettiva o senza tener conto di questa”
– New English Dictionary
“Il pensare male degli altri senza una ragione sufficiente”
– Gordon Willard Allport
Queste sono tre differenti definizioni del termine pregiudizio: le prime più formali, l’ultima più schietta, sintetica e immediata, forse quella che più si avvicina all’opinione comune.
Una definizione di confusione/fusione tra giudizio e pregiudizio che tanto ha spaventato quei 30 ragazzi cui è stato chiesto proprio di affrontare, descrivere e chiamare per nome il disagio provocato da questo “troppo economico” modo di giudicare.
Molte delle loro storie infatti riportavano un’emozione di rabbia e tristezza legate al fatto che il giudizio in questione fosse stato espresso senza un’opportuna conoscenza.
“Il pensare male degli altri senza una ragione sufficiente”
La definizione di Allport però è forse troppo breve per essere del tutto esauriente, andiamo dunque ad approfondirla. Innanzitutto si riferisce esclusivamente a un giudizio negativo e troppo spesso tutti noi siamo portati a pensare che questo sia il solo ed unico significato del “pregiudizio” ma non è così: si possono avere sia pregiudizi positivi che negativi, si può dunque anche pensare bene di qualcuno senza fondate ragioni.
In entrambi i casi però il pregiudizio risulta un giudizio immotivato cioè privo di elementi di fatto. Esso è un processo autonomo selettivo dei ricordi, mescolati con dicerie venute all’orecchio del soggetto e in seguito generalizzate.
“Sono stato giudicato/a proprio quella volta in cui.. ero da solo mentre tornavo a casa e mi stavo fumando una siga, un signore si gira verso di me e dice al bambino vicino a lui “non diventare come quel ragazzo li”. In quel momento mi sono sentito arrabbiato nei confronti di quel signore e nello stesso tempo a disagio, cioè neanche mi conosceva”.
La generalizzazione è una delle caratteristiche più comuni della mente umana. Da una minima serie di fatti, noi tendiamo a compiere generalizzazioni su vasta scala.
Questa metodologia si è sviluppata però perché risulta anche adattiva: nel conoscere elementi nuovi la mente tenta di categorizzarli attraverso classificazioni grezze, già pronte all’uso e dunque più rapide piuttosto che valutarli singolarmente e nel dettaglio.
Dopotutto abbiamo strutturato le nostre generalizzazioni in modo che ci tornino utili, perché dovremmo variarle ad ogni nuovo evento che avrebbe il potere di sconvolgere l’intero sistema? “In altre parole se senti rumore di zoccoli ti conviene andare sul tranquillo e dire cavallo, non zebra!” (Scrubs st.1 ep.13).
È sorprendente notare come in molte circostanze le categorie resistano tenacemente. “Un pensiero diventa pregiudizio solo quando resta irreversibile anche alla luce di nuove conoscenze” Allport, La natura del pregiudizio 1973.
A differenza di un concetto erroneo il pregiudizio resiste attivamente a qualsiasi prova delle realtà. Una comune inclinazione dell’uomo gli permette di conservare un pregiudizio anche di fronte a molte prove che lo contraddicono. Se un fatto non riesce a ad adattarsi a uno schema mentale esistente allora ne viene riconosciuta l’eccezione, ma lo schema mentale in se viene difeso assiduamente in modo che non corra il rischio di destrutturarsi.
Dopo aver letto i foglietti lasciati anonimi, nella speranza di accogliere ogni storia con quanta più delicatezza possibile, è stato chiesto ai ragazzi l’emozione che tali racconti avevano suscitato in loro. Come ci si è sentiti dunque in quella classe? Che effetto vi ha fatto ragazzi? Cosa vi ha colpito?
- Il fatto che ci fossero molte cose in comune
- Il fatto che proprio parlando di giudizio siamo riusciti di aprirci
- Abbiamo tutti gli stessi problemi, certe cose ci accomunano
- La leggerezza che usano certe persone nel dare giudizi
- Siamo tutti diversi ma ci si capisce, abbiamo esperienze simili
- Colpita da quanto il giudizio ferisce, a volte certi giudizi nascono per fare bene o male ma comunque hanno come risultato una ferita…
- Soprattutto quelle della famiglia mi hanno colpita
- E’ stato come se li avessi scritti tutti io… avrei veramente potuto scriverli tutti
“Sono stata giudicata dalla mia famiglia quando uscivo con alcune persone che al loro parere non erano adatte a me senza conoscerle e senza averci mai parlato. La cosa che mi dava più fastidio è che loro non volevano che uscissi con questo gruppo per paura del giudizio delle persone che mi potevano vedere girare insieme a questo gruppo. Mi sono sentita triste e arrabbiata perché a nessuno di loro fregava il fatto che io ci tenessi a queste persone.”
In questo stralcio di testimonianza si può notare la doppia influenza del giudizio: da una parte la famiglia che giudicava la figlia e la compagnia che essa frequentava senza preoccuparsi di quanto la figlia tenesse a queste persone e dall’altra la ragione per cui questi genitori reagivano in tale modo, di nuovo un giudizio da parte di qualcuno.
Per quanto troppo spesso ci sentiamo giudicati impariamo a essere consapevoli di tutte le volte che siamo noi i giudicanti.
E come ci fa stare questo? E tu? Come ti sei sentito quando hai letto le due brevi testimonianze, che emozione hai provato? Cosa avresti scritto nel tuo foglietto anonimo? E se il “gioco continuasse” se la domanda dopo fosse: “Sono stato io a giudicare proprio quella volta in cui…”
Federica Friggi, psicologa clinica
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Bibliografia
Allport, G. W., Clark, K., & Pettigrew, T. (1954). The nature of prejudice.
Atkinson, R. L., Hilgard, E. R., Smith, E. E., & Cornoldi, C. (2006). Introduzione alla psicologia. Piccin.
Dizionario Devoto Oli
New English Dictionary