La pazienza è la virtù dei vincenti

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L \\\'Autore di questo articolo è uno psicologo o psicoterapeuta.
Illustrazione: Yaoyao Ma Van As

Molte persone giudicano male la calma, la capacità di attendere appare sinonimo di passività e di poca voglia di fare ma saper aspettare non significa passività piuttosto significa sapersi muovere nella direzione giusta. 

Orologi e calendari ci aiutano a scandire il tempo e ci mettono in una posizione che così tanto siamo abituati ad incontrare nella nostra vita quotidiana ma che molto poco sappiamo sopportare: l’attesa.

Segnare progetti in agenda, fissare appuntamenti, mete temporali… questi gesti ci aiutano a capire che qualcosa cambia, che l’attesa è importante e necessaria, ecco perché va affrontata con pazienza. Pazienza che è l’arte di vivere l’incompiuto, di vivere la parzialità e l’incertezza del presente senza disperare.

Attendere che il pasto sia pronto o in fila alla posta, attendere un bambino, attendere che il pc termini di scaricare un file o che l’imbottigliamento del traffico si risolva. Attendere.

La nostra pazienza scade in 8 minuti

Un interessante studio inglese ha calcolato il limite massimo di attesa: che si tratti di un call center o del cameriere al ristorante, in media, si perde la pazienza dopo soli 8 minuti e 22 secondi.

Nella nostra epoca, il tempo del «tutto e subito», dell’efficacia e della produttività, parlare di attesa può rischiare l’incomprensione totale: a molti infatti attendere appare sinonimo di passività e di poca voglia di fare. Ma saper aspettare non significa passività piuttosto muoverci nella direzione giusta.

Attendere” non deve voler dire limitarsi a guardare il tempo che passa ma essere consapevoli che è importante continuare a procedere.

Saper aspettare richiede maturità, equilibrio, carattere. È una delle conquiste più difficili della vita, ma anche una delle più dolci e istruttive.

Chi ha sviluppato questo talento dà prova di aver raggiunto un importante grado di evoluzione personale. Presuppone autocontrollo, tolleranza alla frustrazione e temperanza.

Conscientiousness: la capacità di aspettare è uno dei migliori indicatori di successo nella vita!

Gli Americani chiamano conscientiousness, questo ingrediente segreto tipico delle persone di successo. Questa coscienziosità, se possiamo tradurla così, è stata oggetto di studi per più di 35 anni e sarebbe costituita da due fattori imprescindibili per riuscire nella vita: 

  • autocontrollo
  • capacità di posticipare le gratificazioni.

Ed ecco perché rappresenta per i ricercatori dell’Università del Michigan uno dei migliori indicatori di successo nella vita.

Inoltre hanno scoperto che le persone con un alto livello di coscienziosità sono molto più motivate, disciplinate e organizzate, mantengono un senso di lealtà ed integrità anche nelle condizioni più stressanti.

Negli anni 60 e primi anni 70, il ricercatore Walter Mischel ha condotto un esperimento per capire come incentivare l’autocontrollo e il rimando delle gratificazioni, e di conseguenza la coscienziosità, nei bambini così da capire come funziona e quali errori evitare.

L’esperimento dal nome “The Marshwallow  Experiments: quanto riesci ad aspettare?” ha portato interessanti risultati. Durante questo esperimento 600 bimbi furono invitati ad aspettare 15 minuti con un dolcetto di fronte a loro senza poterlo mangiare, con la promessa (mantenuta) che ne avrebbero avuto 2 al posto di 1 nel caso fossero riusciti ad aspettare.

Dopo l’esperimento, Walter Mischel seguì alcuni dei bambini che avevano concluso il test con successo e si accorse che la maggioranza dei bimbi che erano riusciti a posticipare la gratificazione, avevano migliori risultati a scuola e, successivamente, successo all’università.

I “Neuroni della pazienza” e la capacità di sentirsi soddisfatti

Di recente, sulla rivista Current Biology, è stato pubblicato uno studio condotto da Zachary Mainen del centro Champalimaud a Lisbona in cui vengono scoperti e studiati i ”neuroni della pazienza”: un gruppo di cellule cerebrali che più si attivano, più aumentano la nostra ‘dose di pazienza’ e, quindi, la capacità di sapere attendere una gratificazione in arrivo.

La scoperta, grazie a esperimenti su topolini, è interessante perché i neuroni protagonisti sono quelli dei ‘nuclei del rafe’, cioè quelli che producono ‘serotonina’, la molecola del buon umore. Ebbene è emerso che più i neuroscienziati aumentavano l’intensità dell’attività di tali neuroni e quindi la produzione di serotonina, più l’animale si mostrava paziente nell’attesa della gratificazione.

Uno dei motivi per cui ci risulta difficile tollerare l’attesa è che proviamo una sensazione di impotenza quando percepiamo che non possiamo avere tutto sotto controllo. Nella pazienza l’io fa un passo indietro, rinuncia al controllo, si tira indietro a favore di ciò che dovrà accadere, nel tempo di qualcos’altro o di qualcun altro.

La pazienza aiuta a tollerare le incertezze e a volgere l’attenzione verso se stessi

Esercitare pazienza perciò riguarda la capacità di trattenere la nostra mente nella condizione scomoda dell’incertezza.

Il segreto sta proprio qui: nella capacità di resistere alla tentazione di riempire a tutti i costi il “vuoto” che quell’attesa comporta; parliamo della dimensione del “non fare”, del “non intervenire”, della capacità di osservare ed osservarsi senza aspettative e idee preconcette. Solo in questo modo potremmo trasformare un momento di stasi, in un atto di attenzione verso noi stessi.

Essere pazienti vuol dire quindi saper aspettare silenziosamente ma in maniera attiva che la vita ci chiami a svolgere compiti per i quali abbiamo avuto il tempo di prepararci o a degli incontri significativi che richiedono di essere vissuti in profondità e con consapevolezza.

“Attendere” deriva dal latino “ad tendere” che significa infatti “distendersi”, ovvero, in senso lato, “volgere ad un termine, aspirare”.

Impariamo ad aspettare con pazienza, ad osservare e osservarci in modo attivo e a STARE in attesa. La coscienziosità, l’autocontrollo e la pazienza sono dei “muscoli” che possiamo allenare già dalla più giovane età.

Federica Friggi, psicologa clinica
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