La sensibilità del carapace

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Psicologa, Sessuologa clinica e Psicoterapeuta interazionista in formazione
Lo scudo dorsale della tartaruga è detto carapace

Tra i giochi che preferivo fare da bambina il più divertente era sicuramente l’attenta osservazione delle persone. I loro movimenti, le espressioni, il loro modo di entrare in relazione con l’altro. Ascoltavo accuratamente le parole che sceglievano per raccontare ciò che accadeva intorno a loro, e come cambiavano in base al contesto in cui si trovavano. Una volta terminata l’osservazione mi sforzavo di capire a quale animale potessero assomigliare.

In alcune persone riuscivo a riconoscere chiaramente un solo animale. In altri ne riconoscevo molti diversi, a seconda delle situazioni sperimentate dalla persona. Da allora ho sempre creduto che esistessero degli animali che ci rappresentassero simbolicamente e che, osservando con attenzione i loro comportamenti, potessimo comprendere simbolicamente alcuni aspetti dell’animo umano.

Quando una piccola tartaruga (Caretta caretta) nasce sulla spiaggia, impiega circa tre giorni per raggiungere la superficie. Il suo carapace è ancora morbido e non ha alcuna difesa, ha solo la sua volontà. Il mare è a pochi metri di distanza ma per lei, così piccola, affrontare la spiaggia è un’impresa titanica. Ha pochi minuti per mettersi in salvo, per sopravvivere o morire, per non essere catturata dalla terra o dal cielo. Molti granchi aspettano solo il momento giusto per agguantarla al primo attimo di titubanza. Spera solo di riuscire a superare le sue prime ore di vita, affrontando le onde con tutta la sua forza, sperando di non essere rigettata indietro dal mare.

La sensibilità del carapace

Essere persone sensibili viene spesso pensato come una debolezza. La sensibilità implica l’investimento di molte energie per stare a contatto con gli altri: l’interazione diventa pesante, dal momento che non ci sono solo le proprie emozioni a echeggiare dentro di noi, ma anche le emozioni degli altri, che vengono sentite forti come uno schiaffo, pesanti come macigni, fitte come un diluvio. Quando si è sensibili le emozioni che gli altri provano ci contagiano. Le emozioni degli altri allagano.

Ci sono momenti della vita in cui anche le persone molto sensibili sono come delle piccole tartarughe. Nei momenti in cui quel mare che si vuole raggiungere a tutti i costi per stare bene sembra lontanissimo e quel carapace che vorremmo ci facesse da scudo emotivo contro il mondo sembra ancora troppo morbido. Si prova a raggiungere la tranquillità con tutte le forze a disposizione, sperando di non essere travolti da quello che fa troppo male.

Proprio come la corazza della tartaruga che è molto sensibile a causa della grande quantità di terminazioni nervose, quella corazza che dovrebbe proteggerci diventa quasi una condanna, così sensibile da farci addirittura del male. Anche le tartarughe percepiscono benissimo quando vengono sfiorate e pertanto vanno trattate con estrema delicatezza. La stessa delicatezza che necessitiamo anche noi, mentre attraversiamo la nostra spiaggia in attesa di raggiungere la tranquillità del nostro mare.

Una volta arrivata in acqua, la tartaruga non dimenticherà mai dov’è nata e quanto è stato difficoltoso il percorso che ha dovuto intraprendere per arrivare al mare. Per quanto il nuovo mondo che l’avvolge scorra fluido e naturale, il tragitto che ha attraversato l’ha profondamente segnata, mai nella vita vorrebbe percorrerlo nuovamente. Continua a nuotare per altri giorni e altre notti, finché non deciderà che una zattera di alghe marine sarà la sua zattera di salvataggio, luogo in cui, per la prima volta nella sua vita, si abbandonerà al sonno cullata dalla corrente. La zattera ora è tutto il suo mondo.

Le zattere emotiva

Anche chi ha raggiunto con estrema difficoltà la propria tranquillità trova molto difficile negoziarla con qualcos’altro. Una volta trovato l’equilibrio e il modo per non farsi toccare dalle emozioni degli altri è molto più facile ignorarne l’esistenza anziché rischiare di esserne nuovamente allagati.

Come la tartaruga che trova una zattera di alghe marine per farsi trasportare dalla corrente per evitare che i pericoli possano colpirla, anche noi troviamo le nostre zattere emotive, in modo tale che non possano esserci occasioni utili per farci contagiare dalle emozioni degli altri. Per non farci travolgere da dolori che finiscono per ferire profondamente anche noi.  Dalle gioie che finiscono per farci cadere in basso nel momento in cui finiscono, oppure quando la nostra mente fa, malauguratamente, un paragone.

Tuttavia, nella corrente del mare, come nella vita, si nascondono temibili vortici. Chi non è forte abbastanza da scegliere la propria direzione rischia di trovarsi abbandonato a sé stesso. La tartaruga continua a dormire cullata dal mare che l’ha condotta fin qui sana e salva. La piccola è inconsapevole del fatto che la sua zattera è stata catturata da un vortice che l’ha portata fuori dalla rotta. Quando se ne accorgerà sarà ormai molto lontana dalla sua meta, proverà da sola a nuotare spingendosi in profondità verso la quiete, allontanandosi dalle correnti.

Anche le nostre zattere emotive prima o poi vengono ribaltate, conducendoci in posti lontanissimi rispetto alle nostre mete. Per evitare quella sensibilità che tanto sembra una condanna finiamo con l’isolarci e a voler ignorare le emozioni degli altri. Per non rischiare di farci trascinare milioni di metri sott’acqua ci spostiamo milioni di metri lontano da quello che cerchiamo.

Ma la sensibilità non è una caratteristica che possiamo semplicemente decidere di spegnere. Fa parte di noi, è una caratteristica preziosa che permette di connetterci e adattarci nel mondo e con chi ne fa parte. Il nostro bisogno di connessione con l’altro prima o poi si fa sentire, proprio come la fame.

Quando la fame si impadronisce della tartaruga, questa dimentica tutto tranne il suo bisogno di mangiare, dimentica anche la paura. E allora si lancia alla conquista, scopre che non è più solo una preda, ma una predatrice. Ora che ha compreso le regole del gioco sa che c’è molto da mangiare. Allo stesso modo prima o poi anche le persone sensibili comprendono il grande valore di questa caratteristica.

  • Imparano che le emozioni degli altri non sono una propria responsabilità.
  • Imparano che l’avere a cuore l’altro non implica andare contro sé stessi.
  • Imparano l’importanza del comprendere l’altro senza lasciare che ti anneghi.
  • Imparano che l’unico modo possibile per poter comprendere l’altro senza venirne travolto è una buona comunicazione.

Imparano che a volte quando si ha la sensazione di essere trascinati milioni di metri sott’acqua, la scelta più sensata non è scappare, ma prendersi del tempo per indagare il fondale. Prendersi del tempo per capire che anche lì si può stare bene.

Imparano che una tartaruga può trattenere il respiro per molto più tempo di quanto non immagini. Imparano che la scelta di esplorare il fondale non implica il rimanerci bloccati per sempre. Imparano che il fondale è spesso ricco delle alghe più appetitose. Imparano che l’unico modo per capire se quello che vedono è davvero un pericolo o un granchio da gustare è osservare il fondale.

Forse prima di arrivare a questo punto ci vorrà del tempo. Tanto tempo. Ma che importanza ha per una tartaruga qualche anno in più? Il tempo per lei è fatto di secoli e millenni. Ma prima o poi arriva: il tempo per lei di rafforzarsi, il tempo per il suo guscio di consolidarsi, per la sua pelle di ispessirsi. La sua rivincita è arrivata: il granchio è croccante e dolce. Ora può nuotare, sicura e forte. La tempesta l’ha portata fuori strada, ma lei non si è perduta. Una tartaruga non si perde mai.

Alessandra Gervasi, psicologa e sessuologa clinica
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