Non esistono cose da maschi o da femmine, esistono solo le stereotipie di genere

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Psicologa e mental coach, specializzata in psicologia alimentare, gestione dello stress, psicologia dell’ansia e della coppia. Riceve online e nei suoi studi di Terni e Bellaria-Igea Marina.
Illustrazione: Nicole Johnson

Vi siete mai domandati per quale motivo le bambine giocano con le bambole ed i bambini con le macchinine? Vi siete mai chiesti perché il colore rosa rappresenta il sesso femminile e il celeste quello maschile?

È nel momento in cui veniamo al mondo, nel momento in cui i propri aspetti fisici indicano se siamo femmine o maschi, che, quasi automaticamente, si iniziano a seguire dei precetti, delle regole volte a confermare l’appartenenza al genere femminile o maschile. Regole che possono riguardare banalmente la scelta dei giocattoli, dei vestiti, dei colori; ma anche aspetti più importanti come quelli comportamentali.

Non è un mistero infatti che l’aggressività e la rabbia desti meno stupore se manifestata da un bambino piuttosto che da una bambina. La verità è che non esistono i colori da maschi e da femmine. Non esistono i giochi da maschio e i giochi da femmina. Esistono solo le stereotipie di genere.

La stereotipia è qualcosa di inventato, creato. È solo cultura.

Non c’è fondamento sostenibile che possa giustificare che esistono “cose” da maschi e “cose”da femmine. Lo stereotipo ha ormai un’accezione negativa, è qualcosa da cui anarchicamente, si cerca di discostarsi, ma quasi inconsapevolmente si finisce sempre per accettarlo. In realtà, lo stereotipo è una regola non scritta che ha però un suo razionale, aiuta ad orientarsi. Serve a muoversi all’interno di una società, a dare ordine alle cose. Alla base dello stereotipo vi è quindi un’intenzione buona.

Ne teniamo conto perché facendo parte di una determinata cultura, nel nostro caso, quella occidentale, ci appartiene. Fondamentalmente lo si fa per rientrare nei codici di categorie.
L’essere umano (ma in generale ogni specie) ha bisogno di convenzioni. Se ci pensate bene, anche la lingua lo è. La scrittura, i numeri lo sono. Se si domanda al fruttivendolo un arancia, risponderà offrendovi un frutto rotondo, arancione e al tatto, rugoso. Questo perché qualcuno ha deciso che nella lingua italiana quel frutto si chiama: arancia. Potremmo fare lo stesso esempio con la scrittura, le lettere altro non sono che dei segni grafici alle quali è stato attribuito un significato e le varie composizioni (parole), assumono a loro volta miliardi di significati diversi.

A differenza di altri codici però, quello che attribuisce un maschile e un femminile, è da considerarsi “una faccenda sfuggita di mano” perchè ha una forte influenza sullo sviluppo dei bambini. È vero, biologicamente nasciamo maschi e femmine, è un fatto. Tutt’altra cosa è invece diventare uomini e donne. Per essere donne non basta avere il seno, per essere uomini non basta avere la barba.

Aspetti emotivo-comportamentali

Tralasciando gli aspetti più materiali dello stereotipo di genere, vorrei soffermarmi però sugli aspetti emotivi-comportamentali, che sono proprio quelli che hanno il potere di incidere fortemente sulla storia di vita di una persona. Tra questi mi riferisco in particolare al pianto. E qui si potrebbe aprire un dibattito secolare.

Si viene al mondo piangendo. Piangere è la prima cosa che si fa nella vita, è quel suono che significa: “eccomi, sono qua”. Il medico dice che il bambino sta bene quando piange.
Le lacrime sono un linguaggio, il primo che si impara.

Il pianto assume poi col trascorrere dei mesi, una richiesta di attenzioni. La segnalazione di un bisogno. I genitori, i nonni, rispondono al pianto immediatamente. A qualsiasi ora del giorno e della notte. È quindi qualcosa di assolutamente ammesso e accolto. Anzi, a volte, eccessivamente attenzionato.

Poi, per qualche oscuro motivo, col tempo, il pianto viene demonizzato; ed i maschi ne sono più vessati.

Sarà capitato a tutti almeno una volta nella vita sentirsi dire: “non piangere!”.
Non è qualcosa di grave. Non è un’affermazione vietata, ma solo da usare con cautela.
Per non parlare poi di alcune persone vetuste che spesso si rivolgono alle bambine dicendo: “se piangi diventi brutta”.

Nella mente di quelle bambine potrebbero alimentarsi domande del tipo: se non ti faccio contenta sono brutta? Se esprimo quello che penso sono brutta?

Se piangi vuol dire che stai soffrendo. Se piangi stai esprimendo un’emozione. Il pianto è un atto emotivo. Una modalità diversa dalla parola per esprimere i propri sentimenti.
E come anticipato, quando si parla di maschi, la questione pianto diviene ancora più complicata.

I maschi non devono piangere!
È quello si dice e spesso viene insegnato… ma è una vera e propria follia. Un messaggio di questo tipo può produrre danni enormi.

Per entrambi, maschi e femmine, questo è un insegnamento fuori fuoco che trasmette la prospettiva che le lacrime siano qualcosa di sbagliato. Il monito del “non piangere” rischia di avere un’interpretazione distorta, e rivelarsi distruttiva, ovvero, che il proprio modo di trasmettere il proprio mondo interiore non è legittimo. Se la prima cosa che si fa bene al mondo è sbagliata, si rischia di pensare che sia tutto sbagliato.

Sono teorie e idee, che non sono rette da spina dorsale di senso e trasmettono ai bambini l’idea che il modo in cui si sentono è indebito. Questo può provocare enorme sofferenza. Si può arrivare a pensare di essere qualcuno, che nella sua verità più profonda (il pianto), non è accettato da qualcuno al di fuori di sé e talvolta neanche da se stesso. Quell’adulto, al quale da bambino è stato insegnato a non piangere, potrebbe sentirsi confuso, sbagliato, perché si è sentito dire che così com’era non andava bene.

I maschi piangono così come le femmine, perché gli esseri umani, piangono. Chi non piange, chi si vanta di non farlo, chi ne fa un punto d’onore è lontano dal comprendere davvero cosa sia onorevole. Attraverso il pianto si dice qualcosa. Le lacrime hanno un valore Le lacrime meritano il loro palcoscenico. Non sono sempre e comunque giustificate, ma neanche mai. Piangere può essere un modo per dire qualcosa che non si riesce a dire a parole.

Le lacrime sono un linguaggio emotivo, quindi tutta la gamma di emozioni, è passibile di pianto, per questo ricordiamoci che si può piangere anche di gioia. Il pianto però non dev’essere pretestuoso e non deve essere utilizzato per scopi diversi da quelli di comunicare le proprie emozioni. Riprendendo le parole di una famosa canzone, credo negli esseri umani che hanno il coraggio di essere umani… e di piangere.

Veronica Rossi, Psicologa e Mental Coach 
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