Sin da piccoli siamo abituati a ricercare la vicinanza delle figure significative, a partire da quella materna con cui inizialmente instauriamo uno stile di vita simbiotico. Successivamente con la crescita tendiamo a distaccarci dalle figure primarie e a rapportarci con il mondo esterno secondo stili di attaccamento che in buona parte ricalcano quelli appresi in età infantile.
L’attaccamento secondo Bowlby
Bowlby è l’autore della teoria dell’attaccamento, un modello altamente condiviso dalla letteratura scientifica e da psicoterapeuti di ogni orientamento. Con il termine attaccamento l’autore si riferisce alla naturale propensione a ricercare la vicinanza e la protezione di un membro della propria specie quando ci si trova in situazioni di vulnerabilità, siano esse dipendenti da fatica, malattia o altre forme di impotenza.
La teoria è stata successivamente ripresa da clinici di vari approcci e attualmente la parola attaccamento è utilizzata per indicare non solo vari fenomeni affettivi e comportamentali, come il sistema comportamentale e il legame che si instaura tra due individui, ma anche per fornire una visione globale sullo sviluppo del bambino e sulla psicopatologia.
Come è facile immaginare, l’attaccamento riveste un ruolo primario soprattutto nelle prime fasi di vita, in cui il bambino piccolo, non potendo provvedere autonomamente al soddisfacimento dei propri bisogni, utilizza un sistema innato, una predisposizione che gli consente di richiamare la figura primaria attraverso varie azioni come piangere, aggrapparsi o sorridere. Allo stesso modo anche la madre possiede una sorta di codice innato che le consente di individuare e soddisfare le richieste del piccolo.
Si tratta di schemi relazionali biologicamente fondati come quello sessuale o esplorativo, che possiedono la funzione di adattare l’individuo all’ambiente e preservarne la sopravvivenza proteggendolo dai pericoli esterni.
Questo sistema è fondamentale per mantenere la vicinanza materna, scatenando emozioni negative in caso di allontanamento al fine di ripristinare il contatto. Con il passare del tempo se il bambino ha imparato a sentire nella mamma, nel papà o in altre figure primarie una base sicura, inizia a considerarla come qualcosa da cui potersi allontanare e riavvicinare serenamente secondo le proprie esigenze.
La percezione e la successiva interiorizzazione della base sicura dipendono dalla capacità di risposta dei genitori alle richieste del bambino e, con la crescita, si struttura in uno stile di attaccamento sicuro e funzionale, fondato sulla fiducia.
Questo stile di attaccamento è determinato dall’interiorizzazione di modelli operativi interni, ovvero di schemi che guidano il nostro modo di relazionarci con l’altro.
Gli stili di attaccamento nel tempo
Oltre allo stile sicuro, esistono altri schemi di attaccamento di tipo insicuro individuati da Ainsworth.
Lo stile insicuro evitante è tipico dei bambini con genitori poco inclini a soddisfare le loro richieste. Il bambino si sente rifiutato dai genitori e impara a contare solo su sé stesso, senza chiedere nulla agli altri o confidandosi con loro solo quando strettamente necessario.
I bambini con uno stile insicuro ambivalente, invece, percepiscono i genitori come scostanti e ansiosi. L’incertezza di allontanarsi e successivamente di ritrovare figure disponibili a soddisfare i propri bisogni si riflette nell’adozione di atteggiamenti ansiosi e controllanti, che si manifestano in età infantile come in età adulta.
Infine l’attaccamento disorganizzato è caratterizzato dalla percezione di figure primarie come fortemente imprevedibili o addirittura minacciose, che dà luogo a tentativi di ripristinare un equilibrio relazionale da parte del bambino. Il risultato è l’attuazione di comportamenti bizzarri e spesso disfunzionali, difficilmente decifrabili da un occhio esterno.
In buona parte dei casi questi stili di attaccamento vengono tramandati di genitore in figlio. Non a caso si parla di trasmissione intergenerazionale dell’attaccamento, secondo cui lo stile che ciascuno di noi ha interiorizzato guida la scelta del rispettivo partner e le modalità attuate all’interno della relazione di coppia e in generale nei rapporti sociali.
Come è facile immaginare, un soggetto con attaccamento sicuro ha sviluppato un’immagine di sé positiva e fiduciosa e non incontra particolari difficoltà nella scelta del partner, proprio perché seleziona l’altro in modo da riconfermare i propri modelli operativi interni.
Un esempio tipico sono le persone altrettanto sicure di loro e di quello che vogliono all’interno della relazione, in grado di gestire le proprie emozioni e di condividerle con l’altro.
Ovviamente il discorso cambia nel caso di persone con stile insicuro. Individui con uno stile ansioso ambivalente sono più predisposte a sviluppare relazioni affettive di tipo ossessivo, basate sulla mancanza di fiducia e sul controllo dell’altro.
L’attaccamento con le figure primarie ha abituato queste persone a ricevere attenzioni in modo intermittente, pertanto da adulte sono abituate a trovare conferma nelle attenzioni dell’altro che come una bussola muovono il proprio sistema valoriale.
Quando queste attenzioni soddisfano le aspettative della persona, quest’ultima tende a idealizzarle escludendo qualsiasi altra informazione disponibile, mentre appena percepisce il minimo distacco da parte del partner, può cadere in un vortice depressivo, fatto di incertezza e ricco di azioni ossessive mosse dalla gelosia e dall’ansia da separazione.
Lo stile di attaccamento evitante è alimentato da un modello operativo interno di negazione. L’immagine di sé è basata sulla percezione di una persona non degna di essere amata, a livello individuale e relazionale.
Il rapporto di coppia è solitamente improntato sul desiderio di raggiungere un’autonomia personale che permetta alla persona di auto affermarsi senza chiedere nulla all’altro. Il secondo “obiettivo” da perseguire tipico di questo stile è quello di evitare di legarsi affettivamente al partner, in modo da evitare nuovi rifiuti come quelli ricevuti in età infantile.
Al capo opposto dell’amore freddo e di quello ossessivo troviamo uno stile relazionale patologico tipico dell’attaccamento disorganizzato. Tale stile è alimentato da relazioni primarie segnate dall’abuso fisico ed emotivo.
Questi particolari eventi di vita, che in alcuni casi assumono un andamento cronico, nel bambino come nell’adulto si esprimono con reazioni comportamentali atipiche.
La rappresentazione della relazione di coppia è confusa e incoerente, la persona vive il rapporto con il partner come un buco nero: qualcosa di incontrollabile, che non dipende in alcuna misura dalle proprie azioni.
Non a caso spesso questi individui tendono a scegliere partner inaffidabili che alimentano relazioni distruttive dove non mancano atti aggressivi di tipo verbale o fisico, in molti casi perpetrati anche sui propri figli.
Ne deriva che tutti gli stili di attaccamento tendono a ripetersi nel tempo, spesso in maniera inconscia, sebbene possa capitare di sperimentare nuove forme relazionali che spezzano la catena.
Lo stile di attaccamento è sempre il frutto di un apprendimento, per questo la psicoterapia può configurarsi come un mezzo efficace per entrare in contatto con il proprio modello operativo interno e conoscere da vicino le dinamiche alla base di relazioni poco soddisfacenti.
La consapevolezza del proprio funzionamento affettivo e relazionale consente di distaccarsi da questi schemi e di osservarsi dall’esterno, riprendendo il controllo della relazione con l’altro.
Inoltre attraverso la psicoterapia è possibile sperimentare modelli relazionali alternativi e di “prendere in prestito” e successivamente interiorizzare strumenti preziosi per ritrovare il giusto equilibrio a livello personale e relazionale.
A cura di Benedetta Mulas, Psicologo e Psicoterapeuta a Cagliari
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