La pandemia a cui abbiamo assistito negli ultimi mesi, più o meno consapevoli di ciò che stava accadendo, più o meno dichiarata, a volte favoleggiata da proclami e teorie da film da fantascienza, è stata ovviamente oggetto di varie e numerose disquisizioni e speculazioni sotto vari punti di vista, uno dei quali è proprio quello psicologico relativo alle potenziali ricadute emotive e psico-sociali della malattia e della conseguente quarantena che ha imposto a molte persone isolamento forzato o in alternativa una forma coercitiva di coabitazione continua.
Secondo un indagine condotta dalI’Istituto Piepoli e commissionato dal Consiglio nazionale dell’Ordine degli Psicologi, da quando è iniziato il lockdown, il 63% degli italiani soffre di sintomi quali insonnia, mal di testa, mal di stomaco, ansia, panico e depressione e si definisce “molto o abbastanza stressato”, mentre il 43% è consapevole di vivere in “un livello massimo di stress”.
Tali vissuti e stati psicopatologici possono essere causati o acuiti da diversi fattori contestuali, quali:
- l’isolamento sociale e affettivo,
- l’improvviso cambio nelle proprie abitudini di vita,
- la sospensione o addirittura la perdita del lavoro,
- la precarietà e l’incertezza del futuro,
- la paura per sé e per i propri cari,
- la privazione della libertà.
L’isolamento sociale e affettivo in particolar modo possono aver prodotto sentimenti di solitudine e panico, ossia timore di non riuscire a farcela da soli con le proprie risorse.
Ciò dipende in parte anche dal contemporaneo essere iperconnessi e sempre “in rete”, in relazione con qualcuno, con tanti qualcuno più o meno significativi. Tale situazione è possibile che, in molte persone abbia contribuito a produrre o fomentare ansie di contagio e ipocondriache: la necessità di proteggere e proteggersi può diventare, infatti, da strumento di contenimento a forma patologica.
Ritrovarsi all’improvviso soli e chiusi in casa, magari con familiari o partner non sempre buoni compagni di viaggio, può generare infatti senso di costrizione e ansia che è vero e proprio timore di incontrare se stessi.
Per contro, per alcune persone questo stato di isolamento imposto è stata un utilissima occasione per riprendere contatto con se stessi e con i propri affetti più stretti, con i quali molto spesso si condividevano solo alcuni spazi fisici e temporali ridotti e frenetici.
Alcuni hanno imparato ad apprezzare il silenzio, il contatto con la natura ed il ritorno a passioni e hobby da tempo dimenticati o trascurati. In tali casi è stato possibile per queste persone cogliere l’opportunità data dal cambiamento subito e non desiderato, trasformando la perdita e lo scombussolamento delle proprie abitudini in occasioni di crescita e rinnovamento.
La crisi economica, la mancanza del lavoro, l’incertezza economica con i conti che si ammucchiano sul tavolo, possono creare vero e proprio panico e stati depressivi estremi; capitolo a parte è rappresentato dall’impossibilità di svolgere il proprio impegno lavorativo, come si era abituati a fare, ma attraverso modalità nuove come lo smartworking spesso svolto senza regole precise e chiare o in ambienti come quelli casalinghi rumorosi e ricchi di distrazioni.
I bambini sono stati toccati principalmente dall’isolamento sociale, dal dover rinunciare a vedere i loro coetanei al parco o all’asilo o a scuola come erano abituati. Sono stati inoltre influenzati a vario titolo dal cambio delle abitudini (ad esempio vedere i genitori sempre a casa, la didattica a distanza, etc..) e dalla percezione dell’umore dei genitori, se essi erano ad esempio ansiosi o angosciati, anche i bambini potrebbero averne risentito. Credo che almeno con quelli più grandi sia utile riuscire a parlare e a spiegare con parole chiare e semplici quello che sta avvenendo ed è avvenuto, rassicurandoli.
Come possiamo superare gli stati d’animo negativi legati alla pandemia?
Credo che sia importante innanzitutto divenire consapevoli e riuscire a circoscrivere i sentimenti, le emozioni e gli stati d’animo causati ed in relazione all’evento straordinario di cui siamo stati partecipi.
Capire cosa proviamo di fronte alla nostra fragilità e all’ineluttabilità della malattia e della morte, senza esserne travolti e sconvolti; entrare in contatto con la paura dell’insicurezza economica e lavorativa e riuscire a trovare in sè le risorse per nuove opportunità di crescita e sviluppo o cambiamento in ambito professionale e lavorativo; capire infine le emozioni e i sentimenti che riguardano le nostre modalità relazionali, sconvolte e addirittura capovolte dalla pandemia e dall’isolamento.
Riuscire ad esplicitare ciò che si prova, affinché si possa elaborare e far risaltare le proprie risorse, da cui ripartire. E’ importante chiedere aiuto, l’aiuto di un amico, di un familiare ma anche l’aiuto di un esperto che possa aiutarci ad affrontare la perdita di alcune certezze e a crearne di nuove.
Riflettere sul proprio stato d’animo, sulle dinamiche relazionali impostate prima del lockdown e delle conseguenti modifiche che esso ha imposto, può essere infine utile nel divenire più consapevoli del proprio funzionamento, individuando altresì eventuali aspetti di disagio o distonia che possono essere presi in considerazione e mutati.
Con questo intendo dire che se ad esempio prima della pandemia era presente la tendenza a riempirsi di impegni, condizioni necessarie a “passare il tempo”, pur di non restare soli, a causa dell’isolamento e dello stop di molte attività ci si potrebbe essere ritrovati nella posizione di riflettere, di prendere contatto con sè stessi, con i propri sentimenti, spesso celati o rinnegati.
Si tratta di un ritorno in sé, dentro sé, da cui ripartire, rinnovarsi, ritrovarsi e riprendere il viaggio della propria esistenza.
A cura di: Morena Romano, Psicologa-Psicoterapeuta
Specializzata in Psicoterapia Analitica Junghiana
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