Il senso di inferiorità: pillole di Psicologia Individuale

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Psicologa Psicoterapeuta a orientamento psicodinamico (indirizzo adleriano individual-psicologico), con esperienza nei Disturbi dello spettro autistico e formazione nella Terapia di Coppia e nel Training Autogeno.


Quante volte vi siete sentiti inferiori rispetto agli altri? Quante volte vi siete sentiti insoddisfatti confrontando quello che avreste voluto essere con quello che siete? Che cos’è questo senso di inferiorità che si prova? E come lo potete sfruttare positivamente?

Il senso di inferiorità in psicologia

Il senso di inferiorità è generalmente connotato da un significato negativo, ma non è necessariamente così. L’autore che più si è occupato di questo tema è Alfred Adler, un autore poco conosciuto ai più, nonostante sia tra gli studiosi che hanno permesso la nascita della psicoterapia come oggi la conosciamo, anche fondando la Psicologia Individuale.

Un aspetto molto interessante del suo lavoro è che gran parte delle sue teorie prendono spunto dalla sua stessa esperienza, prima fra tutte proprio la teoria dell’inferiorità. Adler inizialmente sviluppa la teoria dell’inferiorità d’organo prendendo spunto dalla propria storia di vita, infatti da bambino aveva sofferto di rachitismo e di altri gravi problemi di salute e ciò gli aveva comportato diverse difficoltà durante l’infanzia e l’adolescenza, costringendolo al ruolo di solo osservatore dei giochi dei suoi compagni.

Adler superò il senso d’inferiorità d’organo che aveva vissuto nell’infanzia promettendo a se stesso che da adulto avrebbe fatto il medico, trovando in questo obiettivo la spinta ad agire. Nel corso della sua vita, è riuscito, inoltre, a compensare l’isolamento vissuto da bambino diventando prima uno studente e poi un medico interessato ad aiutare il prossimo, circondato da numerosi amici e membro attivo del suo ambiente sociale.

Questa descrizione del percorso di vita di Adler suggerisce l’idea che vivere il senso d’inferiorità sia una passeggiata tutta rose e fiori. Tuttavia, sappiamo bene che non è così facile né automatico trasformare il senso d’inferiorità che viviamo in qualcos’altro, proprio per questo Adler cerca di dare una spiegazione alle dinamiche che si innescano nella persona.

Ogni essere umano parte da un’inferiorità di base

Nella teoria adleriana, come detto, il senso d’inferiorità non ha una connotazione solamente negativa, almeno in linea di principio. Secondo Adler, infatti, ogni essere umano parte da un’inferiorità di base che lo spinge da una condizione di minus (inferiorità) a una di plus (superiorità).

Il tentativo dell’essere umano di vincere la sua inferiorità, per Adler, sarebbe alla base di ogni progresso umano, come, ad esempio, quando l’uomo preistorico ha compreso la potenza delle forze della natura e ha dovuto trovare il modo di proteggersi. Inoltre, spostandoci dalla preistoria ai giorni nostri, possiamo rivedere questa spinta in ogni neonato che, partendo da una posizione di dipendenza, evolve nella sua crescita sia a livello fisico sia a livello cognitivo. Provate a osservare la forza e la tenacia dei bambini piccoli quando provano a parlare, a camminare o a mangiare da soli e troverete un esempio pratico di questo meccanismo.

Il senso d’inferiorità ha quindi lo scopo di base di spingere l’uomo a risolvere i suoi problemi, ma cosa succede quando questa spinta non va a buon fine o prende una direzione “sbagliata”?

Complesso di inferiorità

Il problema emerge quando il senso d’inferiorità produce una costruzione errata della realtà:

  • se la persona si blocca in una condizione d’inferiorità emerge l’angoscia di base e innesca un complesso d’inferiorità;
  • se la persona si sbilancia sul versante della superiorità si sviluppa un Io ipertrofico che porta la persona all’interno di un complesso di superiorità.

Secondo Adler, il complesso d’inferiorità è la credenza, la convinzione di una persona di essere incapace di risolvere i problemi della vita e tale convinzione diventa talmente radicata da impedirle di risolvere le proprie difficoltà, incastrandola in un circolo vizioso che si autoalimenta.

Questo meccanismo si può osservare, ad esempio, nelle persone che tendono a instaurare rapporti di dipendenza (da persone o altro) e che vivono con l’idea “Io non posso farcela senza”.

Quando il complesso di inferiorità si trasforma in una “finta superiorità”

Il complesso di superiorità, invece, è la copertura del complesso di inferiorità che si manifesta con la credenza di avere capacità e qualità superiori alla media. La persona che vive in questa condizione psicologica può avere delle pretese, delle aspettative esagerate sia verso se stesso sia verso gli altri e può non sentirsi mai soddisfatta dei risultati ottenuti.

Queste dinamiche si possono osservare nei soggetti definibili comunemente come narcisisti, e anche, per esempio, nei cosiddetti “genitori elicotteroche fanno dipendere la loro stessa identità dalla realizzazione e dai risultati dei propri figli, rendendo spesso la vita difficile sia ai bambini sia alle altre persone che fanno parte della cerchia di vita della famiglia.

Per concludere, Adler distingueva tra senso di inferiorità e complesso di inferiorità intesi, il primo, come spinta propulsiva, come miccia per il superamento dei propri limiti, il secondo, come macigno che tiene ferma la persona e le impedisce di progredire verso una condizione di miglioramento.

Quindi, la prossima volta che vi sentirete inferiori, pensate a quella emozione come a qualcosa di diverso, pensatela come una possibilità. Provate a capire come potreste trasformarla in carburante per raggiungere i vostri obiettivi e migliorarvi, tenendo sempre bene i piedi piantati nella realtà, ma puntando lo sguardo oltre.

Questo articolo fa parte della rubrica “Pillole di Psicologia Individuale” curata dalla dott.ssa Erika Bovio, psicologa e psicoterapeuta.

Autore: Erika Bovio, psicologa e psicoterapeuta
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Bibliografia:
Adler A. (1912), Il temperamento nervoso. Principi di psicologia individuale comparata e applicazioni alla psicoterapia, Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1950.
Ansbacher H.L., Ansbacher R.R. (1956), La psicologia individuale di Alfred Adler, Casa editrice Psycho G. Martinelli & C., Firenze, 1997.
Orgler H. (1956), Alfred Adler e la sua opera, Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1970