Trascurati oggi, anaffettivi domani

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Il centro della dinamica culturale delle nostre società sta il singolo soggetto, la sua soddisfazione, la sua salute, la sua realizzazione, la sua salvaguardia. Abbiamo a che fare con una società competitiva nella quale solo le persone ciniche ed aggressive possono diventare vincenti.

Per sostenere il tenore di vita imposto dai nuovi standard del consumo e della moda occorre lavorare, dedicarsi con intensità crescente ad attività e impegni extrafamiliari. E questo porta, inevitabilmente a recidere le cose più importanti: i rapporti, i legami, gli affetti. Ci si dimentica degli altri. Anche la relazione affettiva con il i figli è rarefatta.

Buona parte dei nostri bambini, infatti, sono nati e cresciuti in questo modo di pensare. Sembrano essere rassicurati soltanto da adulti competitivi, un po’ cinici ma sicuri di sé, fermamente convinti che nella vita o si è vincenti, o non lo si è ed è lecito ogni mezzo per centrare tale obiettivo.

La competizione inizia fin da subito, tra i bambini, si può dire già nel pancione della madre. Oggi assistiamo a una gara tra i genitori a chi riempie di più il tempo dei loro figli, fra tante attività: l’horror pleni, l’orrore del pieno.

Fin dalla tenera età vengono smistati, come pacchi, dalle madri impegnate a gareggiare in diverse attività che non sono per niente ludiche e rilassanti per i piccoli. Si traducono in vere e proprie competizioni con altri coetanei. E questo porta inevitabilmente a vedere l’altro come un di estraneo, un nemico da sconfiggere, l’opposto dell’accoglienza che si realizza attraverso il gioco naturale tra bambini.

E’ horror pleni, un riempimento di tante cose che inneggiano all’immagine, alla prestanza, alla competizione, ad una visione individualista e che lascia poco o niente a quello che è veramente importante per un bambino in crescita. Ossia, le relazioni, l’accogliere l’altro, l’avere spazi morti (per intenderci, quelli “noiosi”) in cui si sperimenta l’immaginazione, la creatività tipica di questa età.

Una bambina in oratorio mi disse che era troppo stanca per giocare, perché durante la settimana faceva tante attività “importanti” e il gioco per la madre era una “perdita di tempo”.

Inoltre, oggi i genitori permettono molte cose ai figli, non sanno dire il cosiddetto “no d’amore”, che serve per allenare, armonizzare e superare le frustrazioni con atteggiamenti relazionali positivi. Insomma, i genitori fanno crescere i figli come dei “piccoli Buddha”: tutto è concesso.

Immaginiamo un bambino abituato a che gli sia tutto dovuto e soddisfatto nell’immediato, ad ogni suo capriccio. Come si comporterà a cospetto di altri coetanei nel gioco? Sicuramente, non allenato all’attesa e al superamento della frustrazione, avrà degli atteggiamenti aggressivi nei confronti dei coetanei. L’aggressività sarà quel seme che germoglierà nel suo piccolo essere in crescita, dove non trovando opposizioni o correzioni nella dimensione affettivo/relazionale, potrebbe poi esplodere in comportamenti disadattivi e violenti.

L’ambiente famigliare, esperienza così naturale e allo stesso tempo complessa, ha moltissime implicazioni nell’educazione. Così come il contesto. Conta e può cambiare la vita delle persone. Mi riferisco a quei bambini nati e che crescono inseriti da una cultura di violenza, o a quelle famiglie in cui regna una povertà materiale, che genera quella che poi è definita “la povertà educativa”. In entrambi i contesti famigliari la situazione è quella di un impoverimento delle relazioni genitoriali adeguate (emotiva, affettiva, di condivisione, di accudimento). Se non subentrano correttivi efficienti il comportamento di questi bambini sarà sicuramente di sopraffazione, con atti aggressivi verso i coetanei.

La prevenzione a questi comportamenti disadattivi, che hanno come componente basilare l’analfabetismo emozionale, deve essere precoce. Molto si sta puntando sulla scuola e su tanti progetti che gravitano sull’intelligenza emotiva, relazionale/affettiva, per far sì che questi bambini acquisiscano competenze pro-sociali, per uno sviluppo emozionale armonico e per sapersi relazionare in modo assertivo con altri coetanei.

Oltre alla scuola bisognerebbe coinvolgere le famiglie in questi programmi, ma purtroppo sono assenti o poco interessati all’educazione in generale. E’ nella famiglia che maggiormente si deve intervenire, sostenendo appunto la genitorialità, con programmi di riequilibrio affettivo/emozionale, valoriale e in talune circostanze anche a livello etico. Non dimentichiamo l’aspetto giuridico di responsabilità genitoriale, che ha sostituito il termine di podestà genitoriale nel 2013.

La responsabilità genitoriale è una “situazione giuridica complessa”, dove diritti e doveri, poteri e obblighi, si integrano fra loro. In altre parole, i genitori, oltre al dovere di mantenere e curare la prole, hanno il dovere all’educazione. Dal quale scaturisce l’obbligo di risarcimento del danno per i fatti illeciti dei minori.

Sintetizzando l’orientamento giurisprudenziale della Suprema corte di Cassazione, si può affermare che la mancanza di trasmissione di valori, attraverso una completa e corretta educazione, conduce il minore a porre in essere atti violenti, lesivi di diritti altrui.

Si comprende bene, allora, come la conoscenza e l’approfondimento di questo aspetto giuridico incida profondamente sulle scelte valoriali dei genitori e sul loro interessamento ai programmi educativi.

Comprendo bene che in determinati contesti sociali è difficile far reperire queste istanze, ma se si vuole che fenomeni di violenza attribuiti a ragazzini diminuiscano, per una società accogliente ed empatica, lo sforzo è quello di investire con azioni mirate e scaturite da sinergie territorio-scuola-famiglia.

Recita un antico proverbio africano: «Per crescere, un bambino, ha bisogno di un intero villaggio». Noi abbiamo bisogno dell’intera comunità che educa.

Tratto dal blog Rubrics

5 commenti su “Trascurati oggi, anaffettivi domani”

  1. Cara Nadia,
    purtroppo eiste un trans generazionale
    Non per colpa ma per storia.
    Anche i genitori sono stati vittime.
    Chi fa una psicoterapia seria, ha l’opportunità di rendersene conto.

    Risposta a Nadia 27 novembre 2017

  2. mi ci ritrovo perfettamente, ho deciso di iniziare un percorso anche io,grazie.

  3. Sono d’accordo con Nadia in tutta la sua descrizione dell’ articolo qui proposto
    Ci vuole molta determinazione

  4. Mi ritrovo in ogni parola di questa descrizione, il donarsi all’altro con il contagocce, non riuscire a comunicare cosa si prova, il ritrarsi di fronte alle emozioni. Lo vivo sulla mia pelle ogni giorno ed è estremamente doloroso, ma non è vero che siamo persone “anaffettive” solo che non sappiamo come fare a donarci al 100% ad un’altra persona, non abbiamo imparato a dire ti voglio bene, ti amo, ad abbracciare,a dare quel bacio in più, perché esporsi ad un’altra persona fa paura…è molto più facile rimanere imprigionati nelle proprie difese così ben radicate negli anni. Personalmente sto provando con un percorso di psicoterapia, ma come dice l’articolo è difficile e doloroso confrontarsi con le proprie fragilità…ancora non sono riuscita a capire l’origine di questo modo di vivere le emozioni e l’affettività, non me la sento nemmeno di incolpare i miei genitori…Quello che spero è di riuscire a trovare il modo, con la psicoterapia e il lavoro personale, di buttare giù questa diga per vivere a pieno ogni emozione positiva o negativa che sia.

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