4 abitudini che secondo le neuroscienze ti rendono davvero felice

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Siamo tutti motivati da qualcosa che desideriamo, e desideriamo avere le cose più diverse: chi la fama, chi un traguardo lavorativo, chi i soldi, chi un oggetto particolare, che sia un’auto, un vestito, un giocattolo. Qualsiasi sia il contenuto, riuscire ad ottenerlo ci motiva, perché sentiamo che averlo ci farà felici. A questo punto è legittimo chiedersi: cosa può rendermi felice? Come posso coltivare la felicità? Le neuroscienze hanno prodotto contributi notevoli al riguardo. Sono state fatte tante ricerche sul funzionamento cerebrale in relazione alla felicità, sia a livello di elettrofisiologia, quindi di onde elettromagnetiche nel cervello, che a livello di neurotrasmettitori, quelle sostanze che veicolano le informazioni tra i neuroni. Le nuove conoscenze sul funzionamento del nostro cervello ci hanno permesso di scoprire alcuni “trucchi” per sollecitare in noi la felicità che, per essere davvero efficaci, vanno collocati in una prospettiva lungimirante di autoconsapevolezza.

In realtà, sono ancora limitate le nostre conoscenze sul cervello e la mente. Negli ultimi decenni tuttavia importanti scoperte ci hanno fornito nozioni fondamentali. Le nostre attuali conoscenze sul cervello mostrano che il dualismo corpo-mente è una dottrina ormai superata. Siamo lontani dal “dualismo anima- corpo”, dal concetto cioè che il cervello (entità materiale) e la mente (entità immateriale) siano due sostanze separate, secondo l’ impostazione di Cartesio.

Per i neuro scienziati, è il cervello a “produrre” quella cosa cui abbiamo dato il nome di “mente”. La mente è qualcosa che il cervello “fa”. Il cervello “è” la nostra anima, la nostra mente. Una conclusione che mette in profonda crisi le nostre millenarie concezioni filosofiche e teologiche, a partire dal pensiero di Platone, il padre della filosofia occidentale e “l’inventore” dell’ anima, indipendente dal corpo, e dunque immortale. La mente dunque “non è altro che il cervello” ( S. Le Vay), ”ridotta” perciò a un processo biologico, non più sostanza immateriale, ma sostanza materiale.

E’ possibile che l’ essere umano, creatura che si ritiene eccezionale e di natura superiore, debba restare “attaccato” a una cosa materiale? E’ questa la sfida che ci viene affidata dalle nuove neuroscienze.

Il cervello acquisisce una condizione di felicità se riesce a vivere in uno stato di certezza e di stabilità emotiva. Ciò fa emergere la sua tendenza  a cercare prove che confermino le proprie idee e a ignorare quelle che le contraddicano. E’ una disposizione battezzata dai neuro scienziati “bias di conferma”, una caratteristica quanto lo sono “il sonno, il sesso o le grigliate all’ aperto”. Cercare prove o giustificazioni nel convalidare la nostra posizione e contrastare quelle che la confutano è un meccanismo cerebrale chiamato “chiusura cognitiva”.

Ma perché impegnarsi tanto per dimostrare l’autenticità di una cosa che invece si è dimostrata essere falsa?  Cercare anche in maniera compulsivo- ossessiva di aver ragione pur di fronte ad evidenti falsità è una condizione emotiva  che produce nel cervello una scarica neurochimica di gratificazione. Avere l’ultima parola anche in questioni banali o meschine è una cosa che al nostro cervello “piace tanto”. Perché ogni comportamento di “chiusura”, di “resistenza mentale” rappresenta una “ricompensa” una soddisfazione, un premio psicologico. Una scossa di certezza: “contrasto, nego, rifiuto: dunque sono, esisto”.

A guidare il nostro cervello in sostanza sono gli “schemi prestabiliti”. Ogni nuova situazione mette in discussione uno schema mentale consolidato. Il cervello reagisce come se si trattasse di una minaccia, attivando l’ amigdala, una struttura sensibile ai pericoli e alle nostre reazioni di ansia o  paura. Lo ribadiamo, il cervello ha la tendenza all’omeostasi, ha un bisogno disperato di stabilità, di certezza: ogni nuova informazione costituisce una minaccia, un pericolo.

Le azioni ci modellano

Un solo piccolo pensiero positivo al mattino può cambiare l’intera giornata. Dalai Lama. C’è una bellissima certezza che arriva dalla scienza e riguarda il fatto che il nostro cervello è plastico!  La neuroplasticità consiste nella capacità del cervello di modificare nel tempo la propria struttura in risposta all’ esperienza. La struttura del nostro cervello può cambiare grazie all’esperienza attiva rafforzando o permettendo la crescita di nuove connessioni neuronali e influenzando l’intero sistema. Siamo soggetti ai cambiamenti che alcune situazioni apparentemente negative possono comportare sul nostro sistema.

L’ansia, ad esempio, come risposta di adattamento alla paura, in uno stato normale serve per preservare la sicurezza dell’individuo. Ma se le situazioni di stress si protraggono nel tempo possiamo avvertire delle conseguenze sulla nostra salute e sul nostro funzionamento anche relazionale. Possiamo sentirci stanchi, affaticati, irrequieti. Potremo non riuscire più a dormire bene, avere problemi di memoria e concentrazione. Il malessere potrebbe degenerare in uno stato di tristezza e depressione. La notizia bella è che il nostro cervello plastico si modella anche in funzione di azioni, esperienze ed emozioni e sentimenti potenzianti quali la gioia, l’amore, la gentilezza e la compassione ad esempio, che conducono velocemente ad uno stato di felicità. Dipende quindi da noi.

4 abitudini che secondo le neuroscienze ti rende davvero felice

Secondo il neuro scienziato americano Alex Korb basta un rituale in 4 semplici pratiche per migliorare la propria vita ed essere felici.

  1. Chiediti “Per quale motivo devo essere grato oggi”
  2. Dai un nome alle emozioni negative.
  3. Prendi una decisione.
  4. Non scrivere. Cerca un contatto fisico.

CHIEDITI: “PER QUALE MOTIVO DEVO ESSERE GRATO OGGI?”

Nel suo libro il professore Korb spiega come a volte sembra quasi che il nostro cervello non voglia essere felice. Può accadere, infatti, che ci sentiamo in colpa o proviamo vergogna. Che lo si creda o no, il senso di colpa, di vergogna, come anche l’orgoglio, attivano la regione celebrale della ricompensa. Nel breve periodo, preoccuparsi ci fa sentire meglio perché abbiamo l’impressione di fare qualcosa per porre rimedio ai nostri problemi. Tuttavia, per trovare delle soluzioni reali all’ansietà, occorre smuovere il sentimento della gratitudine, domandandoci: “Per quale motivo devo essere grato oggi?”.  Essere grati a qualcuno stimola il cervello a concentrarsi sugli aspetti positivi, stimola delle reazioni biologiche e porta alla produzione di dopamina e serotonina, che sono i neurotrasmettitori del buonumore.

DAI UN NOME ALLE EMOZIONI NEGATIVE

Quando ci sentiamo a terra, spesso cerchiamo di nascondere a noi stessi e agli altri le ragioni del nostro malessere. Per migliorare la nostra condizione, Korb consiglia di dare un nome alle emozioni negative, descrivendole in poche parole o usando un linguaggio simbolico fatto di metafore o semplificazioni. Ciò richiede di attivare la corteccia prefrontale che riduce l’avanzamento del malessere nel sistema limbico. In sostanza, descrivere un’emozione in una o due parole aiuta a ridurre l’emozione stessa.

Quindi cerca di eliminare dal tuo vocabolario frasi generiche e qualunquiste come “mi sento male/mi sento bene/ho un senso di malessere”, eccetera, perché non vogliono dire assolutamente nulla, danno solo un senso di confusione a te e a chi ti sta accanto. Impara a conoscere e definire le tue emozioni. Ti senti male? Che nome daresti a questo “male”? Tristezza? Paura? Definiscilo.

PRENDI UNA DECISIONE

Le neuroscienze dimostrano che prendere una decisione riduce la preoccupazione e l’ansietà e aiuta a risolvere i problemi. Secondo Korb: “Prendere una decisione implica creare delle intenzioni e porsi degli obiettivi da raggiungere. Tutte queste attività fanno parte dello stesso circuito neurale e coinvolgono la corteccia prefrontale in un modo positivo. Prendere una decisione aiuta anche a superare l’attività dello striato, che, in genere, spinge verso impulsi negativi e routine. Infine, prendere una decisione cambia la nostra percezione del mondo perché si trovano delle soluzioni ai problemi, calmando il sistema limbico”.

Non è sempre facile, però, decidersi. Essere perfezionisti alla continua ricerca della soluzione perfetta al 100% può essere molto stressante. Ecco che prendere una decisione “buona abbastanza” può venirci in aiuto.

CERCA UN CONTATTO FISICO

La sensazione di essere esclusi attiva nel cervello le aree del dolore. La corteccia cingolata e l’insula sono i centri interessati da tale sensazione. Attraverso il contatto fisico, l’organismo rilascia ossitocina, un ormone importante, che può definirsi un vero e proprio “farmaco” del benessere, poiché il suo sistema attiva le endorfine, riducendo il dolore. Ovviamente, non è sempre appropriato toccare le persone, ma contatti poco prolungati come strette di mano e pacche sulle spalle di solito sono accettati. Con le persone vicine, fate lo sforzo maggiore di toccarle più spesso”. Dunque, avere un contatto fisico è un atto molto potente a cui non diamo abbastanza importanza: ci rende più convincenti, aumenta la performance in team, migliora la capacità di flirtare, ecc. ecc. …

Tutto è interconnesso

La felicità fa parte dell’affettività positiva ed è spesso una componente chiave del benessere soggettivo. Come ci ricorda il neuroscienziato, infatti, tutto è interconnesso. La gratitudine migliora la qualità del nostro sonno, la quale a sua volta riduce il dolore fisico e migliora l’umore. Ciò riduce l’ansia e ci rende più abili nel restare concentrati sulle cose e pianificare a dovere le attività. Questo aiuta a prendere decisioni, e quindi a ridurre ansia e aumentare la gioia. La gioia ci rende più propensi ad essere grati, e da qui riparte la spirale in un circuito di feedback positivo.  E’ anche perfettamente normale non sentirsi felici tutto il tempo. Se la felicità fosse sempre a portata di mano, forse non avrebbe un valore così profondo e autentico. Puoi godere di un benessere generale, di una serenità continua, senza vivere in un costante stato di felicità.

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A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
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