4 abitudini che secondo le neuroscienze ti rendono più felice

| |

Autore
Psicologo e psicoterapeuta. Riceve online e nel suo studio di Bologna.

Navigando su internet è possibile scovare migliaia di articoli, siti e video che dispensano i più svariati consigli per aumentare il proprio benessere ed essere più felici. A volte si tratta di consigli validi, altre volte (bisogna dirlo) lo sono un po’ meno. La differenza, sostanzialmente, risiede nel fatto che non sempre si tratta di consigli che poggiano su una base scientifica.

Nei casi più estremi, si tratta di consigli che sono in disaccordo con quanto sappiamo sul funzionamento del cervello e, quindi, della nostra mente. Affidiamoci, quindi, ai consigli di un neuroscienziato, ovvero uno che quotidianamente studia e osserva il cervello: Alex Korb.

4 abitudini che secondo le neuroscienze ti rendono più felice

Korb lavora alla prestigiosa UCLA (l’Università della California) e ha recentemente pubblicato un libro dal titolo The upward spiral, ovvero “La spirale ascendente”. Purtroppo, il testo non è ancora tradotto in italiano.

Nel testo, Korb propone utili strategie per interrompere quella che lui chiama la spirale discendente (quella depressiva, che porta a tristezza, apatia, affaticamento) e far sì che il nostro cervello intraprenda la spirale ascendente, ovvero quella che porta a un maggior senso di benessere e felicità personale. Tutto il testo si basa su quanto sappiamo, a livello neuroscientifico, dei rapporti tra emozioni, pensieri e azioni. Ecco allora 4 abitudini che “nutrono” il nostro cervello e ci rendono più felici.

#1 Quando ti senti giù, chiediti “a cosa devo essere grato?”

Spesso sembra che il nostro cervello non voglia la nostra felicità. Ad esempio, quando ci sentiamo in colpa o proviamo vergogna. Da una parte, come più volte sottolineo in questo blog, è importante accettare le emozioni negative. Ma perché al nostro cervello “piace” produrre vergogna e senso di colpa?

Che tu ci creda o no, sia la vergogna e il senso di colpa che l’orgoglio (un’emozione più positiva) attivano nel cervello le stesse aree cerebrali, ovvero le aree della ricompensa (corteccia prefrontale dorsomediale, amigdala, insula e nucleus accumbens). In altre parole, provando queste emozioni è come se il cervello stesse premiando se stesso. Inoltre spesso ci preoccupiamo molto.

Perché? Le preoccupazioni aiutano l’amigdala (per intenderci, l’area del cervello che si attiva di fronte alle situazioni di pericolo) a deattivarsi. Sebbene possa sembrare controintuitivo, in termini cerebrali nel momento in cui ci sentiamo ansiosi è molto meglio fare qualcosa (persino preoccuparsi) che non fare nulla. La vergogna, il senso di colpa e le preoccupazioni sono soluzioni funzionali nel breve termine, ma diventano un problema nel momento in cui diventano strategie abituali per affrontare i problemi. In base alle neuroscienze, chiedersi “a cosa devo essere grato?” può essere la soluzione.

La gratitudine, infatti, mette in moto reazioni biologiche nel cervello. In particolare, essere grati a qualcuno stimola le aree del cervello che producono dopamina. Inoltre, pensare alle cose per le quali dovremmo essere grati permette di focalizzarci sugli aspetti positivi della vita, e ciò stimola la corteccia cingolata anteriore a produrre la serotonina.

Per intenderci, dopamina e serotonina sono i neurotrasmettitori stimolati da farmaci antidepressivi come il Wellbutrin o il Prozac. Molte volte, però, le circostanze della vita sono così dure che è veramente difficile riuscire a individuare qualcosa per la quale essere grati.

Tuttavia non è importante individuarla, ma cercarla. È la ricerca delle cose per le quali essere grati che stimola il cervello a produrre dopamina e serotonina. Infine, la gratitudine non agisce soltanto sul cervello, ma anche a livello sociale, migliorando le relazioni e innescando un feedback positivo. Ma cosa fare quando ci si sente completamente sopraffatti dalle emozioni negative e si ha la sensazione di non riuscire a uscirne fuori?

#2 Dare un nome alle emozioni

Ti senti da schifo? Dai a questo tuo sentirti da schifo un nome. Triste? Ansioso? Arrabbiato? In uno studio di risonanza magnetica funzionale pubblicato su Psychological Science, i partecipanti osservavano volti di persone che esprimevano un’emozione.

Come atteso, la loro amigdala si attivava in risposta all’emozione osservata, ma nel momento in cui veniva chiesto loro di dare un nome all’emozione, la corteccia prefrontale ventrolaterale iniziava ad attivarsi riducendo l’attività dell’amigdala. In altre parole, essere consapevoli dell’emozione suscitata riduceva il suo impatto.

Al contrario, sopprimere le emozioni non è una strategia funzionale, anzi risulta controproducente. Diversi studi neuroscientifici hanno infatti rilevato che provare a sopprimere le proprie emozioni porta inevitabilmente a un fallimento della strategia. È l’etichettamento dell’emozione che fa la differenza.

Per ridurre l’attivazione emotiva, è importante usare il minor numero di parole possibile (meglio se una o due) e magari usare un linguaggio figurativo. Ciò attiverà la corteccia prefrontale che, a sua volta, ridurrà l’attivazione del sistema limbico (il nostro cervello emotivo).

È per questa ragione che la meditazione risulta così efficace. Dare un nome alle emozioni è infatti una delle attività previste nella mindfulness. Tuttavia, non sempre ci si sente così giù. Spesso, c’è qualcosa nella vita che crea delle preoccupazioni e risulta fonte di stress. In questi casi, è importante…

#3 Prendere una decisione

Hai mai provato quella sensazione di riposo dopo aver finalmente preso una decisione? Sappi che non è un caso. Le neuroscienze hanno dimostrato che prendere delle decisioni riduce l’ansia e le preoccupazioni, oltre ad aiutare a risolvere i problemi.

Prendere delle decisioni implica creare delle intenzioni e impostare degli scopi, tutte attività che rendono attiva la corteccia prefrontale e riducono l’ansia. Inoltre, si tratta di attività che hanno un effetto sullo striato, un’area del cervello implicata nelle attività abitudinarie.

Infine, prendere decisioni modifica la percezione del mondo, trovando soluzioni ai propri problemi e riducendo l’attività del sistema limbico. Anche se spesso prendere una decisione può essere difficile, il criterio generale è di prendere una decisione “sufficientemente buona”.

Non importa essere sicuri al 100% che si tratta della soluzione migliore, e sappiamo bene quanto l’eccessivo perfezionismo può aumentare lo stress. Cercare di essere perfetti non solo ci travolge di emozioni, aumentando l’attività della corteccia prefrontale ventromediale, ma ci fa anche sentire di non avere il controllo.

Al contrario, prendere una decisione che sia sufficientemente buona per noi attiva la corteccia prefrontale dorsolaterale, la quale ci dà maggiore sensazione di controllo su noi stessi e sulla situazione. Ricapitolando: prendere una decisione ci dona la sensazione di avere il controllo, e questa sensazione riduce lo stress.

Ma c’è un altro aspetto: decidere stimola anche i centri del piacere. Questo avviene incrementando l’attività di rinforzo della dopamina. Se a due topi somministriamo la stessa quantità di cocaina, con la differenza che il topo A la riceve dopo aver attivamente premuto una leva, mentre il topo B la riceve senza fare nulla, il cervello del topo A rilascerà una maggiore quantità di dopamina.

Cosa significa? Prendendo una decisione riguardo a un certo obiettivo, e raggiungerlo, ti farà sentire molto meglio rispetto a quando le cose saranno capitate per caso. Quindi essere grati, dare un nome alle emozioni negative e prendere decisioni. Si tratta di attività piuttosto solitarie, come si può notare. Ma cosa possiamo fare mentre siamo con altre persone? Il consiglio dei neuroscienziati è…

#4 Cercare il contatto fisico

Ovviamente non in maniera indiscriminata, se non vogliamo crearci ulteriori problemi. Il nostro scopo è di sentirci accettati e amati dagli altri, altrimenti diventa doloroso. Già: doloroso. Uno studio ha rilevato che le situazioni nelle quali ci sentiamo esclusi dagli altri fanno reagire il nostro cervello come se stessimo provando un dolore fisico.

Questo perché l’esclusione sociale attiva la corteccia cingolata anteriore e l’insula, aree del cervello tipicamente stimolate dal dolore. Le relazioni sono molto importanti per il benessere del nostro cervello. Toccare le persone stimola il rilascio dell’ossitocina.

Ovviamente parliamo di piccoli tocchi, come prendere la mano o dare una pacca sulla spalla. Com’è ovvio, più siamo in intimità, più possiamo usare il contatto fisico. Gli effetti del contatto fisico sono ancora troppo sottovalutati, eppure si tratta di un aspetto importante.

In uno studio, ad esempio, si è visto che il contatto fisico funziona da antidolorifico. Infatti, nelle coppie sposate il suo effetto aumentava con l’aumentare del legame affettivo. Allo stesso modo, l’abbraccio ha l’effetto di stimolare ossitocina, un ormone che riduce l’attività dell’amigdala. Purtroppo non sempre si ha qualcuno da abbracciare.

Ad ogni modo, la stessa cosa vale per i massaggi. Gli studi dimostrano che il massaggio aumenta la serotonina del 30%, riduce gli ormoni dello stress e aumenta il livello di dopamina. Inoltre il massaggio riduce il dolore, perché il sistema dell’ossitocina attiva le endorfine. Infine, migliora il sonno e riduce il senso di affaticamento.

Riassumendo

  • Chiediti “Per cosa devo essere grato?”. Se non riesci a trovare risposta non importa. Il semplice fatto di provarci ti aiuterà
  • Dai un nome alle emozioni negative
  • Prendi una decisione, non la migliore in assoluto, ma quella che può essere sufficientemente buona per te
  • Cerca il contatto fisico

Come ci ricorda il neuroscienziato, infatti, tutto è interconnesso. La gratitudine migliora la qualità del nostro sonno, la quale a sua volta riduce il dolore fisico e migliora l’umore. Ciò riduce l’ansia e ci rende più abili nel restare concentrati sulle cose e pianificare a dovere le attività.

Questo aiuta a prendere decisioni, e quindi a ridurre ansia e aumentare la gioia. La gioia ci rende più propensi ad essere grati, e da qui riparte la spirale in un circuito di feedback positivo. Quindi: grazie per aver letto questo articolo. Ora corri ad abbracciare qualcuno!

A cura di Andrea Epifani, psicologo psicoterapeuta. Riceve su appuntamento on line e nel suo studio a Bologna. Mail: andreaepifani@gmail.com

Se ti piacciono i nostri contenuti, puoi seguirci sulla pagina Ufficiale Facebook di Psicoadvisor e sul nostro account Instagram: @Psicoadvisor