Fin dalla nostra nascita ci vengono trasmessi alcuni dogmi, dei “mostri sacri” che dobbiamo interiorizzare anche a costo di annientare noi stessi, anche a costo di smettere di vivere la nostra vita. Capirete che non c’è nulla di sacro in questo ma c’è tanto, tanto di mostruoso. Sto parlando dei condizionamenti sociali che costantemente ci vengono veicolati su più fronti, la famiglia è l’origine di tutto perché è proprio questa la prima scatola che ci contiene e inizia a forgiarci. La stessa famiglia che la società, il governo, le istituzioni, affermano di voler proteggere ma che poi, a conti fatti, non sostengono, non aiutano…
Proprio come fanno alcuni genitori con i propri figli, ignorano i veri problemi e vanno avanti incolpando gli altri, convinti di avere la coscienza pulita. Ma andiamo per gradi, perché qui il fatto è tanto sociale quanto individuale. Come accade spesso, i mali che più infelicitano la nostra vita sono quelli invisibili che tu non puoi contrastare a muso duro come faresti con il vicino di casa che parcheggia nel tuo posto auto. Nossignore. Magari fosse così semplice. Allora quali sono questi “mali”? Vediamoli insieme. Vediamo i condizionamenti che ci infelicitano la vita e stanno portando al degrado la società.
Attenzione! Non si tratta di nuove idee, si tratta di vecchi condizionamenti tramandati di generazione in generazione. I malesseri si stanno manifestando ai giorni nostri perché, grazie ai social (e dico grazie, e non a causa) il confronto sociale è maggiore. Il che è un bene perché tutto questo ci costringe a fare un bagno di consapevolezza, ci costringe a guardare entro le mura delle nostre case e a chiederci: cosa sto facendo qui? Cosa sta facendo la mia famiglia? Cosa posso fare io? Cosa posso fare per migliorare la mia vita?
I genitori sono sacri
Una norma implicita ma che viene impressa in ognuno di noi fin dal primo vagito si può sintetizzare con questa frase: i genitori, sono sempre i genitori. Se un figlio si allontana dal nucleo familiare, lo si guarda con gli occhi del giudizio. Si pensa che deve essere un ingrato perché, in fondo, quella è pur sempre tua madre e l’altro pur sempre tuo padre. Il mito della genitorialità è deleterio per tutti. Da un lato pone il figlio nella posizione di eterno subordinato, anche da adulto. Dall’altro, pone il genitore nella posizione di non viversi più la totalità della propria identità.
Già, perché se il genitore si impone in famiglia come una figura totalizzante e fa sentire il figlio che non aderisce alle sue aspettative come un ingrato insubordinato, è chiaro che nel figlio maturi l’aspettativa che la sua infelicità e il suo malessere debbano dipendere sicuramente dal papà o la mamma. Insomma, si instaura una relazione strumentale a doppia via. Il figlio diventa un oggetto su cui il genitore può spostare ogni sua ambizione (e, non vivendosela in prima persona, condanna se stesso all’infelicità) e, dall’altro, il figlio è imprigionato in un ruolo che egli non ha scelto per se e, impossibilitato a svincolarsi, non ha altra strada che colpevolizzare l’altro! Le relazioni disfunzionali vengono sempre tenute in piedi da entrambe le parti, anche se c’è sempre una che subisce più dell’altra, nessuno ne esce davvero vincitore.
Il mito della genitorialità, inoltre, crea forti pressioni sulle spalle soprattutto materne. Le donne, una volta mamme, si sentono obbligate a dover rinunciare a pezzi della propria identità e a tante altre ambizioni di vita. Per compensare a questa rinuncia, il genitore cercherà di compensare ogni perdita con il legame che instaurerà con il figlio-oggetto. In più, aggiungici che spesso le persone scelgono di avere figli solo perché “la società” si aspetta da loro che lo facciano…
Attenzione, qui la forzatura è più subdola. Perché per aderire al modello di adulto-completo tale ambizione può essere interiorizzata e vissuta come propria ma… come sarà chiaro un po’ più avanti, osservando le dinamiche familiari, non vi era alcuna volontà! Un po’ come quelle persone che si ritrovano a vivere esperienze solo per il gusto di raccontarle o di postarne foto sui social… solo che un figlio è per sempre. Se si allentasse la pressione sul mito genitoriale, avremmo molte più persone appagate. Genitori consapevoli e veri figli! Figli liberi di affermare la propria identità senza dover seguire i vincoli tracciati dalle proiezioni genitoriali.
Il bene di uno va a discapito dell’altro
Ecco un altro condizionamento che assorbiamo fin dall’infanzia. Nella nostra educazione manca totalmente la reciprocità, l’uguaglianza, la parità. Ci inculcano, facendo estenuanti paragoni, fin dal primo vagito, che c’è sempre qualcuno che può essere meglio dell’altro! «Il figlio di Tizia non fa tutti sti capricci. Non la fa pensare la sua mamma» (che parafrasando, significa «il figlio di Tizia è migliore di te»). Non solo dobbiamo sciropparci questi paragoni entro le mura domestiche, la corsa alla performance tocca il suo acume tra i banchi di scuola.
Fin da bambini, infatti, ci insegnano che esiste “il migliore”… ma perché non “i migliori?”. Perché il migliore deve essere sempre e solo uno? Perché ciò che è un bene per uno deve andare a scapito di un altro? Perché non si può essere in due o in tre o in quattro a vincere? Questa visioni ci spinge a competere tra noi senza cooperare. Fomenta invidie perché se qualcuno raggiunge un traguardo, è un po’ come se togliesse qualcosa a noi… SVEGLIA! Non è così! Se qualcuno raggiunge un traguardo a cui ambisci, puoi osservarlo, puoi capire cosa puoi imparare dal suo percorso e tracciare il tuo personale, rispettando i tuoi tempi.
Gli altri non ti tolgono nulla vivendosi la tua vita. Anche quando te la sbattono in faccia sui social, mediante il lusso ostentato -ma che noia?!?-. Sai perché ostentano? Perché, in fondo, raggiungono obiettivi per “condizionamenti” e non per il «piacere di…». Perché quando c’è il «piacere di…» non si sente il bisogno di ostentare ma solo, in punta di piedi, tacitamente, condividere con gli affetti più sinceri. Ed è questo il percorso che mi auguro per te. Che tu possa trovare la tua strada, piena di soddisfazione, da viverti nella tua intimità.
Non puoi vivere in modo completo
Che tu sia maschio o femmina, fin da bambino, ti hanno condizionato su ciò che puoi e non puoi vivere. Si chiama «socializzazione al genere» e incide molto sulle tue emozioni. I maschi debbono essere necessariamente forti e le femmine necessariamente sensibili. In questo ambito i condizionamenti sono tali che entrano a far parte del nostro corpo, condizionano l’attività endocrina e addirittura la struttura cerebrale (lo fa la plasticità sinaptica). Per esempio. Fin qualche tempo fa si sosteneva che gli uomini fossero più aggressivi perché il volume ipotalamico -quella struttura che insieme all’amigdala media le risposte di aggressività- fosse più grande. In tempi più recenti, studi su campioni più ampi (perché prima, gli studi avevano risorse più limitate e analizzavano individui degli stessi gruppi sociali) hanno dimostrato che il volume ipotalamico dell’uomo, nel 30% dei casi, rientra nell’intervallo tipico femminile.
Si è così concluso che il funzionamento e le strutture cerebrali, risentono molto delle influenze ambientali in linea con quanto era già stato osservato con le ricerche sulla plasticità sinaptica. In pratica, un uomo, è solo una persona che troppo spesso è stata abbandonata a se stessa e ha dovuto rinunciare, pertanto, alle proprie emozioni. D’altro canto, alle bambine viene trasmesso un senso di vulnerabilità smisurata. Molte donne crescono con un senso di protezione che pare innato ma non lo è: è qualcosa che è stato inculcato. In realtà, sia uomini che donne potrebbero avere un accesso più ampio alla gamma emotiva. Le donne lavorando sulla propria autonomia emotiva, gli uomini entrando un po’ più in contatto con se stessi.
Basta la forza di volontà
Proprio come i miti sulla genitorialità, le radici di questa credenza sono assai antiche. È davvero assurdo: quando veniamo al mondo tutta una serie di variabili -status sociale, economico, maturità affettiva dei nostri genitori, sesso, contesto culturale- ha già scelto molto per noi, ignorando la nostra volontà. Tuttavia, per ogni battuta di arresto, ci dicono che «è tutta una questione di volontà». Peccato che questo concetto venga fuori solo quando fa comodo agli altri… Perché al contempo ci insegnano l’obbedienza. E ci insegnano anche l’impotenza.
Sei impotente
Quando cresciamo in un sistema famigliare poco consapevole, il messaggio che ogni giorno ci viene trasmesso in modo subdolo e implicito, è che «tu sei impotente». Apprendiamo questo tutte le volte che agiamo e tentiamo di cambiare le cose ma ci scontriamo contro dei muri impossibili da abbattere (ricordi? Siamo subordinati di…). Giorno per giorno, dentro le mura domestiche, impariamo che per quanto possiamo sforzarci, per quanto possiamo affannarci a farci capire, dall’altro lato, quella comprensione non arriverà, quei nostri sforzi saranno vani. E questo avviene anche “nelle migliori famiglie”. Anche quando i figli sono molto preoccupati per i genitori che appaiono ai loro occhi fragili e “da proteggere” ma, per quanto questi possano sforzarsi, la situazione non cambia. I ruoli, infatti, sono così rigidi che si appiccicano addosso e ti seguono e sono così a 5, 10, 15 e 50 anni! D’altro lato, però, dicendoti che «basta la volontà», ti fanno sentire male con te stesso. Sempre manchevole di qualcosa.
È arrivata la fine dei tabù
È arrivato il momento di rompere ogni tabù, di liberarci dai condizionamenti e di affermarci per ciò che siamo e che vogliamo essere. È con orgoglio che ti comunico il lancio dell’attesissimo libro «il mondo con i tuoi occhi» (lo trovi a questa pagina Amazon). Si tratta di un saggio che è destinato a stravolgere il modo in cui approcci alla vita. Il modo in cui guardi te stesso e gli altri. Non solo andiamo a sfatare molti altri tabù che ormai, sono radicati nelle nostre menti, vedremo soprattutto come coltivare dei valori personali e, in base a questi, tracciare il nostro individuale percorso di vita. Unico, irripetibile, privo di pressioni, libero da ruoli, così come sarebbe dovuto essere fin dal principio. Indietro nel tempo non possiamo andare ma possiamo cominciare a capire tante cose e, finalmente, restituirci a noi stessi.
Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in neuropsicobiologia
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