6 cose che la rabbia sta cercando di dirti

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

C’è una narrazione tossica che ci accompagna da secoli: la rabbia è una nemica da combattere, un’emozione “brutta”, da reprimere, da nascondere, da temere. Siamo cresciuti in una cultura che ci insegna a vergognarci della rabbia e a identificarla come un segnale di debolezza, immaturità o fallimento emotivo. Ma cosa succederebbe se provassimo a cambiare sguardo? Se iniziassimo a trattare la rabbia non come un mostro da domare, ma come un messaggero da ascoltare?

La rabbia è un’emozione primaria, antica, e profondamente legata alla nostra sopravvivenza. Nel cervello, l’attivazione dell’amigdala – il cuore del nostro sistema limbico – è ciò che ci permette di reagire a una minaccia, reale o simbolica. Ma non tutte le minacce sono esterne. A volte, ciò che scatena la nostra rabbia è un dolore antico, una ferita ignorata, una sensazione di impotenza che ci riporta – senza che ce ne accorgiamo – là dove abbiamo imparato a non contare.

È qui che la psicoanalisi ci viene in aiuto: la rabbia non parla sempre del presente. Spesso racconta qualcosa che ci è successo molto tempo fa, e che ancora oggi si manifesta nel nostro modo di reagire agli altri, al mondo e, soprattutto, a noi stessi.

6 cose che la rabbia sta cercando di dirti

In questo articolo esploriamo 6 verità fondamentali che la rabbia cerca di comunicarti, ma che forse – per difesa, per abitudine, per paura – hai smesso di ascoltare.

1. “Stai oltrepassando un limite che per me è sacro”

La rabbia, prima di essere esplosione, è un campanello d’allarme relazionale. Quando qualcuno calpesta un nostro confine – anche solo emotivamente – la rabbia si attiva per segnalarcelo. Il problema è che molti di noi non hanno imparato a definire, proteggere o persino riconoscere i propri limiti. Spesso, infatti, li abbiamo ignorati per anni per essere amati, per compiacere, per non essere abbandonati.

In ambito neurobiologico, questa risposta è immediata: il sistema limbico percepisce un’intrusione o una minaccia e mette in moto la risposta difensiva. Ma se non abbiamo mai avuto il permesso (o l’esempio) di dire “basta”, la rabbia non viene integrata, ma trattenuta. E quando viene repressa troppo a lungo, si trasforma: può diventare sarcasmo, irritabilità cronica, esplosioni apparentemente immotivate o, all’opposto, somatizzazione.

Domanda terapeutica: In quali situazioni ti arrabbi, ma non riesci a dire che qualcuno ha oltrepassato un tuo confine?

2. “Mi sento impotente, e questo mi fa paura”

Molte delle rabbie più intense non nascono da un torto, ma da un senso paralizzante di impotenza. Quando qualcosa ci mette di fronte a un’ingiustizia che non possiamo cambiare, a un abbandono che non possiamo impedire, a un amore che non possiamo salvare, la rabbia esplode come un ultimo tentativo di fare qualcosa.

A livello psichico, questa è la rabbia più vicina al dolore primario. È la rabbia che prova il bambino quando nessuno lo ascolta, quando si sente tradito o dimenticato. Ma quel bambino, crescendo, impara a trasformare l’impotenza in rigidità, controllo o iper-responsabilità. A volte, anche in aggressività. È la rabbia dell’adulto che urla contro se stesso: “Avresti dovuto far di più. Non dovevi permettere che accadesse”.

Domanda terapeutica: Quando ti arrabbi, c’è sotto una sensazione di impotenza che non riesci ad accettare?

3. “C’è un tuo bisogno che hai trascurato troppo a lungo”

La rabbia non nasce solo quando gli altri ci feriscono. Spesso nasce quando noi stessi ci tradiamo, quando ci mettiamo da parte, quando non ascoltiamo i nostri bisogni più autentici. Se da piccoli abbiamo imparato che non c’era spazio per i nostri desideri (perché “non è il momento”, “non devi essere egoista”, “sei troppo sensibile”), crescendo possiamo replicare lo schema: accontentare tutti, annullarci, e infine esplodere.

Neuroscienza e psicologia concordano sul fatto che il cervello cerca omeostasi, equilibrio. Ma se il bisogno di affetto, sicurezza, riconoscimento o riposo viene sistematicamente ignorato, si attiva il sistema dopaminergico del desiderio frustrato. E, nel tempo, la rabbia diventa l’unico linguaggio che il corpo conosce per farsi sentire.

Domanda terapeutica: Cosa stai rinunciando a dire, fare o sentire, per non deludere gli altri?

4. “Non mi sento riconosciuto”

Ci sono rabbie che sembrano piccole ma bruciano dentro. Sono quelle che nascono quando qualcuno ci parla come se non valessimo nulla, quando ci interrompe, ci sminuisce, ci prende in giro davanti agli altri. In quelle situazioni, la rabbia è il volto visibile del bisogno di riconoscimento. Ma se questo bisogno è antico – se da bambini siamo stati visti solo quando facevamo “i bravi”, o se ci hanno riconosciuto solo per i successi, mai per ciò che eravamo – allora quella rabbia porterà con sé un’intera infanzia di silenzi e invisibilità.

La psicoanalisi ci insegna che l’identità si costruisce anche attraverso lo sguardo dell’altro. Se quello sguardo è svalutante o assente, interiorizziamo un sentimento di inadeguatezza che può farci reagire con rabbia ogni volta che ci sentiamo ignorati o sottovalutati. Non stiamo difendendo solo noi stessi oggi: stiamo cercando di proteggere il bambino che fummo.

Domanda terapeutica: In quali situazioni senti di essere invisibile? Come reagisci?

5. “Hai il diritto di difenderti, anche senza distruggere”

Molti confondono la rabbia con la violenza. Ma sono due cose diverse. La rabbia, se ascoltata, integrata e trasformata, può diventare assertività, coraggio, chiarezza. È la forza che ci spinge a dire no, a chiudere una porta, a non accettare compromessi che ci fanno male. Quando invece viene repressa o usata per annientare, diventa distruttiva.

La corteccia prefrontale, la parte più evoluta del nostro cervello, ci consente di “digerire” l’impulso emotivo e tradurlo in azione consapevole. Ma per farlo, dobbiamo accogliere la rabbia, non demonizzarla. Dobbiamo imparare che possiamo difenderci anche senza urlare, punire, vendicarci. Possiamo dire: “Non mi piace come mi stai parlando” invece di restare in silenzio per settimane.

Domanda terapeutica: Hai mai avuto paura di esprimere la tua rabbia per non perdere una relazione?

6. “Se mi ascolti, posso guarirti”

La rabbia non è solo distruzione. Se la accogliamo, se la decifriamo, può diventare una delle emozioni più terapeutiche. Perché ci indica esattamente dove siamo feriti, cosa ci manca, cosa non vogliamo più sopportare. La rabbia è come un dente che duole: non è lei il problema, ma la ferita che sta sotto. E solo ascoltandola possiamo guarire davvero.

Molte persone che arrivano in terapia non sanno nemmeno di essere arrabbiate. Sentono ansia, tristezza, svuotamento, ma sotto quelle emozioni si nasconde una rabbia inespressa, spesso verso chi li ha amati male, verso se stessi, verso un passato mai affrontato. E allora, per guarire, dobbiamo smettere di aver paura della rabbia. Dobbiamo sederci accanto a lei e chiederle: “Cosa vuoi dirmi?”

Domanda terapeutica: Se potessi dare un volto alla tua rabbia, chi sarebbe? E cosa ti chiederebbe?

Imparare ad ascoltare il fuoco senza bruciarsi

C’è una forza viva dentro ognuno di noi. Una forza che a volte si fa sentire con urla, silenzi, porte sbattute o pensieri duri. Ma dietro tutto questo, c’è sempre un cuore che chiede di essere protetto, rispettato, visto. La rabbia è la sua voce.

Imparare ad ascoltarla significa riabbracciare parti di noi che avevamo messo a tacere, significa riappropriarci del diritto di dire no, di sentire, di non doverci giustificare per ogni emozione “troppo intensa”. Significa anche imparare a trasformare la rabbia in scelta, in parola chiara, in gesto che non ferisce ma protegge.

Nel mio libro “Il mondo con i tuoi occhi” parlo proprio di questo: del diritto profondo di stare dalla propria parte. Non è un libro che insegna a gestire le emozioni, ma a riconoscerle come testimoni del nostro vissuto più profondo. C’è una parte di noi che da troppo tempo sopravvive in silenzio, che si adatta, che finge di stare bene. Ma la felicità non può nascere dal silenzio emotivo. Può nascere solo da una riconnessione autentica con ciò che siamo. Anche – e soprattutto – con ciò che ci fa male.

Nel libro accompagno il lettore in un percorso che lo aiuta a disinnescare i costrutti sociali che ci hanno insegnato a essere “giusti” ma non veri. A spezzare quelle catene invisibili che ci hanno fatto sentire sbagliati ogni volta che provavamo qualcosa di forte: rabbia, dolore, desiderio, paura.

“Il mondo con i tuoi occhi” è un invito a tornare a casa. A costruire uno sguardo interiore che non giudica ma accoglie. Perché solo quando impari a guardarti con i tuoi occhi – e non con quelli di chi ti voleva diverso – puoi iniziare davvero a guarire. E forse, proprio da quella rabbia che hai sempre temuto, può nascere la tua libertà. Il mio libro è disponibile in libreria e qui su Amazon

E se ti va, seguimi sul mio profilo Instagram: @anamaria.sepe.
Ti aspetto lì per continuare il viaggio.