Ci sono ferite che non si vedono, ma che modellano profondamente il nostro modo di stare al mondo. Crescere con genitori anaffettivi è una di queste esperienze invisibili che, silenziosamente, insegnano a non aspettarsi amore, a non cercare conforto, a non fidarsi della dolcezza. Non perché i gesti di tenerezza siano sbagliati, ma perché non sono stati contemplati nel tuo lessico affettivo di partenza.
Un genitore anaffettivo non è per forza un genitore cattivo
Può essere presente fisicamente, può averti fornito tutto ciò che serviva per sopravvivere, ma non per sentirti davvero accolto. Spesso sono adulti che, a loro volta, non hanno ricevuto affetto e che hanno imparato a considerare le emozioni come un impaccio, una debolezza da evitare, una richiesta da reprimere. E così, quando tu piangevi, loro dicevano “Non è niente”. Quando avevi bisogno di protezione, ti dicevano “Reagisci”. Quando provavi paura o insicurezza, ti restituivano silenzio o distanza.
6 cose da ricordare se hai avuto genitori anaffettivi
Non si tratta di fare accuse. Si tratta di riconoscere le conseguenze. Perché chi ha avuto genitori anaffettivi porta dentro una fame antica di amore e comprensione, ma spesso non sa come chiederli, né riconoscerli quando li incontra. In questo articolo, ti propongo sei cose fondamentali da ricordare, se sei cresciuto con genitori che non sono riusciti a offrirti un affetto caldo, stabile e rispecchiante.
1. Il problema non era la tua sensibilità, ma la loro incapacità di accoglierla
Se sei cresciuto sentendoti “troppo emotivo”, “troppo fragile”, “troppo bisognoso”, è possibile che tu abbia interiorizzato l’idea che le emozioni fossero un peso per chi ti circondava. Ma la verità è che la tua sensibilità non era il problema. Il problema era l’ambiente che non sapeva cosa farsene.
I bambini non chiedono troppo: chiedono ciò che serve per crescere sani. Quando un bambino piange, cerca contenimento. Quando è spaventato, cerca sguardi rassicuranti. Quando cerca abbracci, sta dicendo: “Dimmi che posso esistere nei tuoi occhi senza vergogna”. Ma se il genitore è emotivamente distante, quel bambino imparerà a camuffare, a spegnersi, a “non disturbare”. La tua sensibilità non è mai stata un errore. È un dono che ha solo bisogno del giusto terreno per fiorire.
2. Non ricevere affetto non significa non meritare amore
Uno degli effetti più corrosivi dell’anaffettività genitoriale è il dubbio silenzioso che si insinua nel cuore: “Se non mi hanno amato, forse non ero degno d’amore.”
Da bambini, non possiamo permetterci di pensare che i nostri genitori siano incapaci di amarci. Per sopravvivere, li idealizziamo. E così, se qualcosa non va, incolpiamo noi stessi. È un meccanismo psichico di difesa antichissimo: meglio pensare “sono io sbagliato” che accettare l’idea destabilizzante che le figure che avrebbero dovuto proteggerci siano emotivamente assenti.
Ma l’amore che non hai ricevuto non dice nulla su ciò che meritavi. Dice solo qualcosa sulla storia, sui limiti, sulle ferite non elaborate di chi ti ha cresciuto. Ricorda: non tutti sanno amare, ma tutti meritano di essere amati. E tu non fai eccezione.
3. Hai imparato a cavartela da solo, ma ora puoi disimparare la solitudine emotiva
I figli di genitori anaffettivi diventano spesso adulti estremamente indipendenti, risolutivi, capaci di cavarsela in ogni situazione. Ma dietro questa forza apparente si nasconde, talvolta, una solitudine profonda. La convinzione radicata che nessuno sarà mai lì davvero per te. Che affidarsi significhi esporsi a una delusione.
Questa autonomia, per quanto utile nella vita pratica, può diventare una gabbia nella vita emotiva. Può impedirti di chiedere aiuto, di lasciarti amare, di mostrarti vulnerabile. La buona notizia è che si può disimparare. Si può imparare a condividere il peso. A lasciarsi raggiungere. A credere che ci siano persone disposte a restare anche quando non sei impeccabile.
4. Puoi imparare l’intimità anche se non l’hai vissuta da bambino
L’intimità emotiva non è solo una questione di istinto. È qualcosa che si costruisce attraverso l’esperienza, il linguaggio, la reciprocità. Se non hai vissuto l’intimità con i tuoi genitori, è normale che da adulto tu possa sentirti impacciato, confuso o persino spaventato quando qualcuno si avvicina troppo.
Forse ti sembra più facile costruire relazioni fondate sul “fare” che sul “sentire”. Forse ti rifugi nel controllo, nel sarcasmo, nel perfezionismo. Ma la verità è che l’intimità si può imparare. A piccoli passi. Con qualcuno che abbia pazienza. Con te stesso, per primo. L’intimità non chiede perfezione, ma presenza. E non è mai troppo tardi per imparare a essere presenti, prima con le tue emozioni e poi con quelle dell’altro.
5. La freddezza che hai subito non è un modello da replicare
Molte persone cresciute con genitori anaffettivi finiscono, senza volerlo, per riprodurre lo stesso schema. Non perché vogliano fare del male, ma perché quella è la modalità che conoscono. A volte diventano partner emotivamente evitanti. Altre volte genitori iperprotettivi ma incapaci di vera connessione. È importante ricordare che avere ricevuto freddezza non ti condanna a trasmetterla. Puoi fermarti. Puoi osservarti. Puoi scegliere di rompere il ciclo.
Ogni volta che ti accorgi che stai reagendo come tua madre o tuo padre, non è un fallimento: è un’opportunità. Ogni volta che scegli di essere presente invece che assente, affettuoso invece che distante, stai già costruendo un nuovo alfabeto emotivo, tuo e libero.
6. Hai il diritto di cercare altrove ciò che ti è mancato
Uno dei passi più difficili nel percorso di guarigione è concedersi il diritto di cercare oggi quello che ieri non si è ricevuto. Spesso, chi ha avuto genitori anaffettivi si sente in colpa all’idea di desiderare di più. Come se volere dolcezza, calore, contenimento fosse una mancanza di rispetto verso chi ti ha cresciuto.
Ma guarire non significa rinnegare il passato. Significa riconoscerlo, comprenderlo e poi andare oltre. Significa dire: “Ho bisogno di qualcosa di diverso. E me lo merito.” Cercare affetto sano, costruire relazioni profonde, scegliere un percorso di psicoterapia, imparare a parlarti con gentilezza: sono tutte forme di risarcimento interiore. E nessuna di esse è egoista. La rivoluzione più profonda è questa: concederti oggi, da adulto, ciò che ti è mancato da bambino.
Guarire non significa semplicemente comprendere cosa è mancato
Guarire è un processo attivo, profondo, che inizia quando smetti di aspettare che qualcun altro colmi i tuoi vuoti e cominci, invece, a scegliere consapevolmente di offrirti ciò che non hai ricevuto. È un gesto rivoluzionario, non perché clamoroso, ma perché controcorrente: significa andare contro la spinta a replicare il copione dell’abbandono o dell’anaffettività, e decidere, finalmente, di trattarti con la cura che un tempo desideravi.
Essere adulti non vuol dire ignorare il bambino che siamo stati. Vuol dire, anzi, assumerci la responsabilità di quel bambino, diventare per lui una figura affidabile, presente, amorevole. Vuol dire concedersi ciò che un tempo era negato: la tenerezza, l’ascolto, il diritto di sentire. E questo non per illudersi che si possa riscrivere la storia, ma per trasformarla da dentro, per interrompere il ciclo della privazione affettiva che altrimenti continuerà a ripetersi nelle relazioni, nel corpo, nella voce interiore.
Quando decidi di sceglierti ogni giorno – quando scegli te stesso con gesti piccoli ma autentici, quando ti proteggi, quando ti parli con dolcezza invece che con giudizio – stai facendo qualcosa di straordinario: stai ricostruendo un senso di casa dentro di te. Una casa dove puoi finalmente tornare senza paura, dove le emozioni sono accolte e non sminuite, dove puoi esistere senza dover meritare amore attraverso la performance o la compiacenza.
E forse è proprio questo il gesto più rivoluzionario che possiamo compiere: diventare per noi stessi ciò che avremmo tanto desiderato dagli altri. Non perché ci accontentiamo, ma perché finalmente comprendiamo che la nostra guarigione non dipende da ciò che ci è stato tolto, ma da ciò che scegliamo, ogni giorno, di offrirci
Nel mio libro “Il mondo con i tuoi occhi” mi focalizzo su questo aspetto: come trasformare le assenze in nuove presenze interiori, come attraversare la storia senza farsi schiacciare dal passato, come imparare a guardarsi con sguardi nuovi, teneri, profondamente umani.
Perché il punto non è se sei stato amato come meritavi. Il punto è se sei disposto, oggi, ad amare te stesso con lo stesso calore che un tempo ti è mancato. E se la risposta è sì, anche solo un timido sì, allora sei già molto più vicino a casa di quanto pensi. Il mio libro è disponibile in libreria e qui su Amazon
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