7 caratteristiche delle donne cresciute con un padre assente

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

I genitori rappresentano figure di riferimento essenziali nella vita di un bambino. Con le loro condotte possono condizionare fortemente lo sviluppo della prole e possono farlo sia in modo diretto (con le interazioni genitore-figlio) sia in modalità indiretta (mediante le interazioni genitore-genitore). Ciò significa che non è solo il modo in cui il genitore si rapporta al figlio a incidere ma anche come quello stesso genitore si relazione con il partner. Tutto ciò che avviene entro le mura domestiche conta e ha un peso sullo sviluppo dell’affettività dei più piccini di casa.

Le dinamiche affettive familiari possono essere estremamente intricate e uniche nella loro complessità. Ogni famiglia ha la sua storia, le sue credenze e la sua personalissima impostazione. È però innegabile che, proprio per impostazione culturale, spesso il ruolo del padre è vissuto ai margini della famiglia. Tale tendenza è da ascrivere alle disparità di genere e pertanto alle differenti caratterizzazioni del ruolo dell’uomo e della donna. In questo articolo non affronterò il ruolo del padre da una prospettiva socioculturale, ma mi soffermerò esclusivamente sull’impatto che ha un padre assente sullo sviluppo psicoaffettivo dei figli. A causa dei ruoli di genere modellati dai fattori socio-culturali, queste caratteristiche sono maggiormente rappresentate nelle figlie femmine.

7 caratteristiche di chi è cresciuto con un padre emotivamente assente

Mediante le prime relazioni che stringiamo, impariamo a guardare a noi stessi. L’immagine che abbiamo di noi, in qualche modo, l’abbiamo “ereditata” dai nostri genitori o meglio, dal modo in cui loro ci vedevano e interagivano con noi durante i nostri primi anni di vita. Ma quando un padre non è coinvolto nella vita delle figlie o è addirittura assente, cosa succede? Ci sono tracce di questa assenza? A rispondere a questa domanda ci pensano diverse pubblicazioni scientifiche che hanno analizzato l’assenza del padre in diversi contesti di sviluppo psicoaffettivo.

1. Rabbia e tristezza

L’emozione che più spesso emerge è la rabbia. Questa emozione è predominante sia quando il padre è stato emotivamente assente per l’intero arco di sviluppo, sia in caso di divorzio, quando è il padre si è ritrovato a lasciare la famiglia per crearsene una nuova, abbandonando i figli. La rabbia e la tristezza provati in riferimento a questo stato di assenza o abbandono paterno spesso vengono “svincolati” dalla loro origine: crescendo, le figlie poteranno dentro questi sentimenti che, a un certo punto, sembrano non avere più una causa.

2. Fragilità del sé

Ognuno di noi si individua e afferma la propria autonomia sulla base dei suoi vissuti personali. Le figlie che hanno subito l’abbandono -concreto o metaforico- del padre, tendono ad avere una bassa autostima o un senso dell’identità fragile. Niente comunica a un bambino che non è amabile più di un genitore che non se ne cura.

3. Ricerca di rassicurazioni

Le donne cresciute con un padre assente, possono nutrire un forte senso di paura senza individuarne l’origine. Possono sviluppare paure e ansie irrazionali, come il timore che qualcosa di brutto possa accadere da un momento all’altro. Essere abbandonate e trascurate da chi avrebbe dovuto prendersi cura di loro destabilizza il loro senso di sicurezza.

4. Comportamento sessuale

Chi è cresciuto con un padre assente, fin dalla giovinezza, sente un disperato bisogno d’amore e confronto che non sa come soddisfare. Non è raro che questo bisogno venga spostato nella sfera fisica. In fondo la vicinanza affettiva è difficile da costruire e individuare mentre è più semplice ricercare e trovare vicinanza fisica. Ecco perché nelle giovani donne cresciute con padre assente si può osservare un comportamento sessuale precoce o più attivo.

5. Difficoltà a essere assertive

Quando una bambina interiorizza il messaggio che «non è degna d’amore» non riesce a sviluppare la giusta dose di assertività. In altre parole, non conosce vie di mezzo: o è troppo disponibile e accomodante (ha difficoltà a dire di “no”, lascia violare i suoi confini, è accondiscendente…) oppure, utilizza l’aggressività come unica arma di difesa.

6. Tentativi continui di “mettere una pezza”

Chi vive un trauma relazionale, che sia l’abbandono materno o l’assenza paterna, se non elabora l’accaduto, rimane prigioniero di un loop. Uno schema che si ripete e che ha come scopo quello di riparare al torto subito. Allora si vive in una modalità che «se solo Tizio o Caio mi amasse…» oppure «se solo riuscissero a vedermi, a considerarmi, a notarmi…». Un loop pericoloso che vincola a rincorrere amori sbagliati e persone che non saranno mai capaci di apprezzarci davvero per ciò che siamo.

7. Paura dell’abbandono

Questa paura si può manifestare nei modi più disparati. Può trasformarsi in una preoccupazione irrazionale che le persone care possano fare incidenti, paura della morte ma anche aggressività e ostilità se gli amici cambiano interessi. Se le amiche fidate di sempre deviano dal percorso previsto, potrebbero far risuonare la ferita del tradimento inflitta dal padre.

In ambito relazionale, la paura dell’abbandono si traduce nel tentativo di portare avanti relazioni malsane, che fanno soffrire. Anche l’essere estremamente appiccicosi e bisognosi riflette un chiaro timore dell’abbandono.

8. Comportamenti disorientanti

Quando da bambini non impariamo ad auto-accudirci, non apprendiamo neanche come regolare le nostre emozioni. Il risultato? Da adulti finiamo per essere vittima dei nostri stati emotivi e, non riuscendo a gestire la nostra affettività “dall’interno”, tentiamo disperatamente di regolarla dall’esterno. Questi scompensi affettivi, rendono i nostri comportamenti instabili e talvolta anche contrastanti con ciò che vogliamo davvero.

Qualsiasi cosa che può contenere uno stato emotivo diventa fonte di conforto e quindi finisce per essere ricercato con frequenza. Il cibo, l’alcol, le droghe, il sesso, lo shopping… sono tutti espedienti che possono offrire un fugace ed effimero conforto. Qualsiasi dipendenza nasce dalla mancata capacità di poter gestire -internamente- le proprie emozioni. Attenzione! Le parole «mancata capacità» non significa che “siamo incapaci”, significa solo che non abbiamo avuto ancora modo di imparare a regolare i nostri stati psicoaffettivi, pertanto questi possono emergere forti e tumultuosi. Per fortuna la regolazione affettiva è qualcosa che si può apprendere in qualsiasi periodo della nostra vita.

L’assenza dell’amore genitoriale ci avrà pur fatto “ammalare”, ma noi abbiamo tanto amore dentro ed è quello che ci farà risplendere. Se hai voglia di lavorare su te stesso e rivedere i tuoi schemi psicoaffettivi, ti consiglio di leggere il mio libro «Il mondo con i tuoi occhi». Cinque capitoli che ti porteranno alla scoperta di quel potenziale che, da troppo tempo, è assopito dentro di te e non chiede altro di esplodere! Per immergerti nella lettura e farne tesoro, puoi ordinarlo qui su Amazon oppure acquistarlo in libreria.

Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in psicobiologia
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