8 (+1) ragioni per cui è difficile chiudere una relazione tossica

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor

Le relazioni tossiche sono difficili da interrompere. Anche se sei consapevole dei livelli disfunzionali raggiunti nella tua coppia, non è facile tirarsene fuori, anzi, talvolta si assiste a comportamenti e dinamiche che divengono ricorrenti. I litigi, gli incontri e gli scontri, sembrano avere sempre lo stesso sapore, sembrano riproporre sempre lo stesso scomodo schema. Uno schema doloroso che innesca sentimenti ambivalenti: da un lato vorresti scappare via dalla relazione, dall’altro, ti senti in vincolato.

Il più delle volte, non è la mancanza di consapevolezza che ci tiene «bloccati nella relazione disfunzionale», bensì una serie di meccanismi psicologici che ci travolgono come una burrasca.

1. La coppia rievoca la ferita dell’attaccamento

Ogni relazione che instauri racconta qualcosa di te. Alcune possono essere una dolce narrazione mentre altre, invece, possono far risuonare ferite del passato. Le relazioni che attivano una ferita del sistema di attaccamento possono essere le più difficili da chiudere e anche le più tormentate.

Lasciare andare il partner può sembrarti un’impresa impossibile, la separazione è vissuta come una minaccia, paradossalmente, anche se desiderata! Questo si verifica, in parte, perché il modello disfunzionale proposto nella relazione che hai instaurato, è stato appreso durante l’infanzia, quindi riproporlo è naturale.

Gli adulti cresciuti con un genitore incoerente, saranno attratti da partner altrettanto instabili. Molti genitori, presi da mille problemi e soprattutto, ignorando completamente le pratiche del buon accudimento, tendono a ignorare i bisogni emotivi dei figli o addirittura ammonirli.

Così un bambino che richiede sane attenzioni materne, potrebbe essere rimproverato per le sue richieste a tal punto da sentirsi «troppo ingombrante» o «ingiustamente trascurato». Ecco che quel bambino maturerà il bisogno di «farsi piccolo piccolo», «diventare da subito maturo per non dar fastidio ai grandi».

In alternativa, quando quel bambino percepisce l’atteggiamento genitoriale come un’esplicita ingiustizia, imparerà a richiamare attenzioni in modi alternativi, come urla, capricci, scatti di rabbia, problemi di condotta… tutto perché, quando avrebbe dovuto, il genitore non è stato “pronto” a tranquillizzare il pargolo.

I bambini i cui bisogni emotivi non sono stati soddisfatti, hanno maggiori probabilità di essere attratti da partner disfunzionali perché questi, in qualche modo, fanno risuonare in loro il modello relazionale appreso.

Secondo la teoria della «somiglianza-attrazione», è più probabile che le persone formino relazioni a lungo termine con coloro che percepiscono come simili o già conosciuti, in termini di atteggiamenti e personalità (Byrne et al. 1970 ). Questo meccanismo non forma relazioni d’amore ma veri e propri incastri interpersonali, dove si è condannati a vivere per sempre lo stesso copione

(+1) Il significato inconscio della separazione

Se durante l’infanzia hai associato l’amore alla conflittualità, all’instabilità, all’insoddisfazione e all’incoerenza, potrebbe esserci una parte di te che inconsciamente si aggrappa alla relazione con la speranza che forse questa volta, le cose andranno diversamente. Il partner, infatti, viene utilizzato come mezzo per guarire le proprie ferite interiori.

In questo contesto, separarsi dal partner rappresenta una minaccia alla propria identità. Da bambini, infatti, costruiamo la nostra identità intorno al sistema di attaccamento. La separazione dal partner, a livello inconsapevole, rappresenta la separazione dalla prima figura di attaccamento (in genere la madre). È per questo che suscita resistenza e ansia, è per questo che all’idea della separazione, molte persone insoddisfatte della propria storia, si sentono come bambini spaventati! Perché quella storia non è altro che l’evocazione del primo sistema di attaccamento instaurato con il genitore!

Le persone che hanno uno stile di attaccamento ansioso/dipendente, possono avere ancora più difficoltà ad allontanarsi da una relazione malsana. Questo è ancora più vero per chi ha uno stile di attaccamento disorganizzato.

2. Paura della solitudine

Probabilmente la paura della solitudine ti ha indotto a stringere un legame disfunzionale ed è ancora questo timore a intrappolarti nella relazione. Le persone che non lasciano il partner per paura della relazione, in genere, finiscono per stringere una nuova relazione in concomitanza con la fine della precedente.

3. Bassa autostima

La bassa autostima è un potente collante nelle relazioni disfunzionali. Semplicemente, non credi di meritare di meglio. In questo contesto, così come nel caso della paura della solitudine, finirai per sentirti solo e incompreso anche in coppia. La relazione, seppur disfunzionale, diventa il tuo luogo sicuro, dove non dovrai confrontarti con il mondo esterno. In genere, queste coppie non coltivano molte amicizie singolarmente.

4. La fallacia del costo irrecuperabile (sunk cost fallacy)

Questo vale soprattutto per le relazioni che vanno avanti da molto e hanno visto grossi investimenti emotivi. Tutti noi umani incorriamo in un errore cognitivo che gli studiosi definiscono «sung cost fallacy», la fallacia dei costi irrecuperabili. Si tratta di un meccanismo che ci fa insistere in imprese fallimentari solo perché ormai abbiamo investito molto e ritirarsi significherebbe ammettere un fallimento, accettare le dolorosissime perdite di tempo, risorse emotive e opportunità. Si creano altri rimorsi, per non accettare un rimorso più grande: la relazione nella quale stai investendo, è un errore.

Chi ha letto «Il Piccolo Principe» sa che questo è un libro ricco di significati psicologici. Un aforisma che con semplicità ed efficacia può esprimere questo errore cognitivo è l’insegnamento della volpe sul valore della rosa. «È il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante». Il valore di quella rosa non è intrinseco ma dipende da tutti i sacrifici che abbiamo fatto per lei, dipende dai nostri investimenti emotivi.

5. La relazione ha alti e bassi

Molte relazioni tossiche non sono necessariamente terribili, almeno non in modo costante. Ci possono essere brevi periodi in cui il partner ti rende davvero felice, e questo non fa altro che generare confusione. Se la persona che ti nutre e a tratti ti gratifica, è la stessa che ti umilia e svilisce, si crea una forte dissonanza cognitiva. La nostra mente odia le dissonanze, allora cosa fa? Mente a se stessa. Non riuscendo a integrare le due esperienze opposte, tende a pensare che «in fondo non è così male». Allora si trascinano avanti relazioni sentimentali spinose, per raccogliere quei rari momenti di benessere di coppia.

6. La tua identità dipende dalla relazione

In psicologia esiste il concetto di «Relationship-contingent self-esteem» (RCSE). Che cos’è l’RCSE? Questo acronimo significa letteralmente autostima contingente relazionale. Chi non riesce a regolare in modo autonomo l’autostima e ha problemi nell’affermazione dell’identità ricorre a strategie disfunzionali per affermare il proprio sé e regolare il valore personale.

Una di queste strategie disfunzionali fa sì che il proprio valore personale dipenda dagli altri e in modo particolare dalla relazione d’amore. La RCSE è correlata a scarsi livelli di benessere, bassa autostima e ricerca di rassicurazioni eccessive da parte del partner e degli altri.

Il tuo essere single o essere coppia, in realtà non definisce chi sei. La tua identità prescinde dal tuo status relazionale. Quando attribuisci il tuo valore allo stato della tua relazione, non sei in grado di prendere decisioni in linea con i tuoi bisogni.

7. La coppia verte sui ricatti emotivi

Chiudere una relazione con un manipolatore emotivo non è mai facile. In questo contesto, i ricatti affettivi sono alla base delle dinamiche di coppie. La sensazione che predomina è un sentimento di dovere verso l’altro e senso di colpa. Nei casi più gravi, il ricatto emotivo potrebbe vertere su questioni finanziarie o peggio, l’affidamento dei figli.

8. Vuoi salvarlo

Ecco un’altra dinamica molto ricorrente. In questo caso gli equilibri di coppia seguono lo stesso andamento: c’è una persona responsabile e oculata e un’altra all’apparenza più vulnerabile. In realtà, anche in questo caso la rievocazione del primo legame di attaccamento è forte. Probabilmente sei stato un bambino-genitore o bambino-adultizzato e nella tua infanzia si è verificato un rovesciamento dei ruoli: sei tu che dovevi consolare il tuo genitore. Sei cresciuto con l’immagine di una figura di attaccamento «in difficoltà» e bisognosa d’aiuto.

Ecco, ora la tua missione è diventata salvare l’altro o addirittura cambiarlo. Ecco la notiziona: l’altro non cambierà perché a sua volta è cresciuto con dinamiche complementari alla tua e, i tuoi sforzi, non faranno altro che confermare i suoi modelli interiorizzati!

Porre fine a una relazione tossica

Quando riconosci che la tua relazione sentimentale è fonte di malessere, è difficile reagire. Per risolvere al meglio, puoi rivolgerti a un terapeuta e lavorare sulle tue resistenze, sui meccanismi che ti rendono prigioniero della coppia. In parallelo, puoi creare una tua personalissima tabella di marcia per rimpadronirti della tua identità perduta perché è questo che succede quando si porta avanti una relazione disfunzionale: per non perdere l’altro si finisce per perdere se stessi.

Alcuni degli step che possono condurti alla riconquista della tua identità potrebbero includere:

Imparare a gestire le tue ansie e paure.
Concentrarti sui tuoi bisogni e iniziare a praticare la cura di sé senza senso di colpa!
Accrescere la tua conoscenza su come dovrebbe funzionare una relazione sana, se non ne hai mai avuta una, probabilmente in futuro potresti ripetere il modello che ti ha accompagnato fino a oggi.
Stabilire dei confini sani tra te e gli altri.
Lavorare sulla tua autostima e, dunque, sull’immagine che hai di te.
Guarire da eventuali sentimenti di indegnità.

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Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in neuropsicobiologia
Autore del libro “Riscrivi le pagine della tua vita” edito Rizzoli
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