Fare il genitore è difficile, chiunque lo sia capisce bene a che cosa ci stiamo riferendo. Anche maestre, insegnanti, pedagogisti, psicologi e altre figure professionali che spesso hanno a che fare con i bambini ne sanno qualcosa per quanto possono osservare o per la loro parte di coinvolgimento diretto nel loro lavoro quotidiano.
Nella relazione genitore-figlio o “figura-di-cura”-bambino ci sono spesso molte spinte in direzioni opposte da mediare: quello che ci dice l’istinto, il rispetto delle regole, il contesto in cui siamo inseriti, il senso del dovere e, talvolta, anche una terribile stanchezza. Indipendentemente da quanto queste diverse forze ci siano chiare, non sempre il nostro comportamento è il risultato di una scelta razionale. Anzi, nella maggior parte dei casi, parte un primo istinto che poi cerchiamo di valutare se portare avanti, inibire o deviare in corsa.
Vista la complessità del fenomeno ma anche la sua enorme importanza abbiamo deciso di approfondire la questione con una ricerca sul campo. Ne sono emersi 8 stili genitoriali che possono portarci, a seconda di come li applichiamo, al successo così come ad avere qualche problema, alla lunga anche significativo. Come vedremo, un’accurata comprensione del passaggio dal riflesso di accudimento al comportamento finale ci permetterà di individuare l’origine della disfunzione e di trovare un’adeguata soluzione.
La ricerca che abbiamo effettuato
Sara Achilli, responsabile del dipartimento di Natural Parenting e del Centro Ricerche di Real Way of Life ha deciso di partire da un’osservazione sul campo di genitori nel loro agire al naturale, in linea con lo stile pragmatico che contraddistingue tutte le nostre ricerche. Ci siamo così recati in parchi giochi, fuori da asili e scuole, tra il pubblico di allenamenti e partite sportive, all’ingresso di corsi di musica, in ristoranti e pizzerie frequentati da famiglie.
Abbiamo osservato il comportamento di più di 1.000 coppie genitore-figlio, prendendo nota del tipo e delle quantità di interazioni, delle variazioni emotivi di entrambi, delle dinamiche di conflitto e di eventuali tempi e modi di fare pace o superare la diatriba.
Dopo l’osservazione è stato proposto a circa 600 coppie di partecipare alla nostra ricerca (gli altri 400 non erano facilmente raggiungibili, andavano via prima che potessimo contattarli o avevano bambini troppo piccoli per proseguire con la nostra ricerca). Di questi hanno accettato 364 coppie.
Il Metodo di Analisi
Dopo la prima fase di osservazione la ricerca procedeva con un’intervista dettagliata rispetto a quanto era stato osservato, condotta separatamente a genitore e figlio. Successivamente la coppia è stata osservata in altri due contesti per loro abituali, entrambe le volte seguite da un’intervista di approfondimento.
Nelle due osservazioni successive abbiamo rilevato indicatori di stress qualitativi (intervista ai bambini e osservazione di professionisti specializzati in osservazione del comportamento infantile e di dinamiche emotive e relazionali) e quantitativi (battito cardiaco, coerenza cardiaca, cortisolo salivare, ecc.). Abbiamo scelto analisi non invasive che potessero essere indossate dai bambini senza essere percepite (rilevatore di battito cardiaco e coerenza cardiaca ultra-leggero, ecc.). Sia le analisi qualitative che quantitative sono state eseguite da professionisti appositamente formati tramite training mirati.
Il campione di persone analizzate
Circa 1000 coppie osservate, di cui 364 coppie per l’indagine completa. Le coppie erano abbastanza omogenee negli incroci di sesso tra genitore e figlio, solo con una leggera maggioranza di mamme rispetto ai papà. L’età media del genitore andava da 27 a 54 anni, quella dei figli da 4 a 12 anni.
Quali sono stai i risultati?
Dietro ad ogni comportamento espresso da un genitore c’è sempre una motivazione. Tuttavia non è sempre così direttamente evidente a chi la mette in atto. Questo non è un limite delle persone che abbiamo intervistato, ma un fenomeno comune a tutte le persone. Analizzando il materiale raccolto siamo riusciti a individuare 8 tipologie di motivazione alla base dei comportamenti dei genitori che, dopo un’adeguata analisi, si sono sempre ritrovati in una di queste otto situazioni.
Si tratta di 8 fattori importanti, che dimostrano in ogni caso una tendenza costruttiva ed evolutiva. Li abbiamo chiamati Motivazioni al Parenting.
Se le emozioni sono sempre sane e costruttive, purtroppo i comportamenti a cui danno origine non sempre riescono ad esserlo. Ogni motivazione può esprimersi attraverso due principali modalità: una sana e una disfunzionale.
Facciamo due esempi pratici:
Esempio 1) il bisogno di proteggere proprio figlio da forti traumi fisici può manifestarsi in modo sano togliendo gli oggetti spigolosi o in modo disfunzionale continuando a ripetergli di stare attento e di non correre. La disfunzione non sta nell’avvisare il bambino di eventuali rischi, ma nel continuarlo a ripetere, senza ottenere l’effetto desiderato, rimanendo frustrato e con un senso di impotenza come genitore, facendoci percepire come noiosi dai nostri figli.
Esempio 2) il bisogno di nutrire adeguatamente nostro figlio si può manifestare in modo sano offrendogli diverse alternative, rendendo piacevole il momento del pranzo, rendendo i pasti un rituale del branco-famiglia dove tutti traggono energia dal pasto. Lo stesso bisogno può essere espresso in modo disfunzionale obbligando il figlio a mangiare qualcosa “perché fa bene”, dando un dogma e non una vera spiegazione, con l’incoerenza data dal fatto che magari noi per primi non lo mangiamo e, talvolta, con l’aggravante di urlare, non ottenendo reale rispetto ma solo timore verso una persona che non si sa controllare.
Perché iniziamo con buone intenzioni e poi ne emerge un comportamento diverso?
Detto in modo più semplice abbiamo un istinto di accudimento naturale, che nel suo percorso per diventare un comportamento può essere influenzato da tanti fattori passati e recenti.
In sintesi ecco quello che influenza i nostri comportamenti di genitori:
1) retaggi del passato (parenting inadeguato),
2) giudizio degli esterni
3) stanchezza,
4) emozioni negative trascinate da altri ambienti,
5) dissonanza tra valori interni (vorrei A ma anche B)
6) conflitti interni (voglio essere un buon genitore ma sono in ritardo con quel lavoro)
7) conflitti esterni (se faccio A Tizio è contento ma Caio si offenderebbe),
8) difficoltà ad individuare corretti fattori di scelta.
Una rilettura psico-neurologico-etologica
L’istinto di cura parte da aree sub-corticali, a volte senza nemmeno passare dal cervello logico.
È il risultato di una programmazione innata, comune a tutti i mammiferi, che parte istintivamente e poi prende forma in modo dipendente dalle nostre esperienze precoci. Questa modulazione dipende sia da una memoria emotiva, sia da un’espressione epigenetica dovuta ad alcune esperienze in utero e nei primi tre anni di vita. Questo primo passaggio è così rapido e sinergico da non essere quasi distinguibile.
Gli aspetti culturali, sociali, educativi si inseriscono in seconda battuta e modificano in parte la traiettoria di questi impulsi. Le regole apprese tanto da fare parte di noi, i modelli imitati, le convinzioni consolidate nel tempo agiscono tutte in queste fase che avviene qualche millisecondo dopo la partenza dello stimolo.
Infine la scelta razionale (ad esempio valutando vantaggi e svantaggi reali di quanto si sta per fare) arriva a un terzo livello, quando l’esecuzione è ormai iniziata e per essere cambiata e richiede una grande forza di volontà. Numerosi studi dimostrano, infatti, che spesso le persone non cambiano l’azione intrapresa perché valutare effettivamente se quella nuova è più vantaggiosa richiede un costo energetico molto alto. Spesso si procede con il piano iniziato solo per non fare la fatica di rimettere tutto in discussione.
Questi aspetti ci servono per comprendere meglio quello di cui stiamo parlando in questa ricerca e, ovviamente, ci torneranno molto utili per capire, in fase conclusiva, a che livello e in che modo potremo agire per modificare efficacemente certi nostri comportamenti.
Modalità funzionali e disfunzionali
Situazione: Il bambino sta disegnando, la mamma nota che il disegno è impreciso e “bruttino” per quello che potrebbe fare un bambino di quell’età. La sua Motivazione al Parenting si attiva per aiutare il bambino a sviluppare a migliorarsi e ad essere più competente in quell’abilità (inseriamo questa tipologia nella voce Responsabilizzare).
Risposta Funzionale: Alcuni genitori metteranno in campo un comportamento fisiologico, chiedendo spiegazioni e informazioni su quello che il bambino sta facendo (“ti piace disegnare?”, “che tipo di albero è?”, “dove l’hai visto?”, “mi ricorda quello che c’è a casa della nonna”, ecc.) e creando interesse nel bambino per migliorare il disegno (“mi piacciano molto gli alberi, me ne disegni uno più grande e con più rami?”, “secondo in quanti altri modi si può disegnare una persona?”, oppure in un secondo momento mentre si guarda un libro illustrato “guarda che bel disegno! hai visto la linea che bella curva che fa? probabilmente il disegnatore fa queste linee con calma e precisione…”).
Risposta Disfunzionale: Altri genitori invece potrebbero dire frasi come “Sei proprio un pasticcione!” o “Non sei proprio portato per il disegno, come me” o ancora “Guarda! Hai sbavato tutto il colore, stai più attento!”. Come abbiamo detto queste frasi partono in automatico e, quasi sempre, con delle buone intenzioni. Evidentemente si tratta di persone che non amano il disegno, che da bambini sono stati frustrati per le loro scarse abilità o che non hanno trovato piacere nel disegnare in modo diretto o per i feedback esterni.
Oppure si tratta di persone con una motivazione “fuori timing”: ovvero che cercano di responsabilizzare il figlio non facendogli perdere tempo in attività ritenute frivole come il disegno. Oppure ancora di genitori con convinzioni scorrette dal punto di vista evolutivo, ad esempio che pensano che un bambino che disegna non avrà pensiero logico (mentre invece è proprio il contrario). Potrebbe invece solo trattarsi di una reazione negativa dovuta alla stanchezza o frustrazione di quello specifico giorno.
E che cosa creano questi comportamenti nei bambini che li ricevono?
La nostra ricerca ci conferma che lo stile disfunzionale non è solo sgradevole e conflittuale nel momento in cui avviene, ma genera tre tipi di reazioni nel bambino (iper-responsivi, rinunciatari, ribelli) che, dopo qualche ripetizione, possono creare convinzioni negative su di sé o sul mondo esterno e dare vita a schemi comportamentali disfunzionali.
Sia le convinzioni che i comportamenti nascono collegati allo specifico contesto, ma nel tempo vengono poi ampliati e generalizzati su più fronti. Tornando al nostro esempio, il bambino inizialmente si potrà convincere di non essere adeguato al disegno, poi nel tempo potrebbe estenderlo a tutte le attività creative, fino a considerarsi con poche risorse in ogni ambito.
L’analisi dei biomarker (in particolare cortisolo salivare, battito cardiaco e HRV) ha dimostrato che l’impatto di certi comportamenti genitoriali è significativo anche a livello strutturale. Si tratta di alterazioni temporanee ma che, in certi casi, crea squilibri duraturi (abbiamo rilevato alterazioni della fisiologia fino a 6 ore dall’evento).
Tra i diversi comportamenti disfunzionali è stato possibile individuarne alcuni che hanno generato implicazioni emotive e neurobiologiche significativamente più rilevanti degli altri. Nello specifico si tratta di Potere Aggressivo, Menefreghismo e Limitazione.
Ripetizioni occasionali di certi comportamenti non rappresentano di certo un problema, sono solo la conferma che siamo tutti umani e viviamo in una realtà complessa. Un bambino esposto talvolta a tali stimoli si rinforza, si attiva per trovare soluzioni alternative, si allena a sopportare un po’ di frustrazione, accetta i limiti del mondo, diventa più flessibile cognitivamente e nel comportamento.
Ripetizioni frequenti creano convinzioni distorte sul mondo (cattivo, imprevedibile, distruttivo, ecc.) e su di sé (inadeguatezza, incapacità, inferiorità, ecc.) e conseguenti comportamenti aggressivi, di distacco sociale, ecc. Inoltre ripetizioni frequenti di questi comportamenti genitoriali creano alterazioni metaboliche permanenti a livello cardiaco e ormonale in prima battuta e di sistema immunitario e digerente in una seconda fase. Nel nostro campione non è stato possibile arrivare a verificare un terzo livello, ipotizzabile secondo le moderne conoscenze PNEI, di infiammazione generalizzata. Tuttavia è altamente presumibile che la ripetizione continuativa e su più fronti porti inesorabilmente a questo.
Alcuni consigli pratici generali
Innanzitutto ci teniamo a ricordare, come già anticipato, che è umano e normale avere qualche comportamento disfunzionale. La perfezione non esiste e, se ci fosse, sarebbe noiosa e dannosa tanto quanto alcune disfunzioni!
Nel nostro tentativo di essere genitori migliori dobbiamo solo cercare solo di ridurre le occasioni in cui si attivano certi comportamenti, in modo che costituiscano l’eccezione e non la maggior parte dei casi. In questo modo possiamo essere sicuri di garantire il benessere dei nostri figli.
Innanzitutto, visti gli esiti della ricerca e le considerazioni psiconeurologiche sul comportamento di cura, se si vuole aiutare i genitori nell’arduo compito di agire per il benessere proprio e dei propri figli appare evidente l’esigenza di agire a diversi livelli.
Essere consapevoli di come gli istinti di cura possano deviare dal percorso prestabilito è interessante e può fare la differenza. Possiamo prendere la mira benissimo quando scocchiamo una freccia, ma dobbiamo essere consapevoli del vento per evitare di andare troppo lontano dal centro. Quindi diventa importante conoscere le Motivazioni al Parenting, le loro possibili funzioni sane e disfunzioni, i motivi che possono portarci da un estremo all’atro. Dopo la conoscenza un po’ di auto-osservazione non guasta. Mettiamo da parte l’orgoglio e le nostre sicurezze e cerchiamo di auto-osservarci quando interagiamo con i nostri bambini.
Come agire nel breve periodo
In tempi ristretti non sarà possibile modificare l‘imprinting delle nostre esperienze precoci nel determinare come oggi ci comportiamo come genitori, mentre potremmo gestire, prima ancora che modificare, gli aspetti meno ancestrali come l’apprendimento storico o recente. Possiamo scegliere bene il contesto in cui andare (ad esempio frequentare un parco giochi con genitori che non conosciamo, se questo riduce il senso di giudizio che proviamo), creando dei limiti chiari fin dall’inizio e condividendoli con il bambino (“staremo mezz’ora al parco giochi, poi andiamo dai nonni” cercando di mettere dopo un’attività piacevole per i bambini, non i compiti!).
Gestire le scelte
Per superare la fatica di cambiare in corsa le scelte fatte, cerchiamo di valutare prima che cosa è meglio fare, quale comportamento desideriamo avere, immaginiamoci più volte mentre lo mettiamo in atto. Così nel momento di valutare che cosa fare sarà semplice e veloce recuperare questa decisione già fatta, invece che iniziare una scelta ex-novo.
Evitare di sfinirsi
Inoltre è importante non arrivare mai al limite (di stanchezza, di stress, frustrazioni, ecc.) trovando aree di ricarica, creando pause, alternandosi con l’altro genitore o parenti, ecc. È meglio togliere un’ora alla settimana ai figli per andare a correre che stare con loro un’ora in più e avere comportamenti dovuti solo al nostro logorio.
Sviluppi futuri della ricerca
Considerati i risultati interessanti emersi da questa ricerca abbiamo deciso di protrarla nel tempo, chiedendo ai partecipanti di fare ulteriori approfondimenti a 6 mesi, 1 e 2 anni. Stiamo monitorando le evoluzioni dei loro comportamenti e le modalità con cui riescono più efficacemente a cambiarli o a controbilanciarne gli effetti a posteriori.
A cura di Fabio Sinibaldi, ricercatore ed sperto di Neuroscienze e PsicoNeuroEndocrinoImmunologia. Membro della British Psychological Society (Divisione di Neuropsicologica e Sezione di Psicobiologia)
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