Tagliarsi per sentirsi meglio: l’autolesionismo

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor
“La violenza esercitata su di noi da altri è spesso meno dolorosa di quella che ci infliggiamo da soli.” FRANÇOIS DE LA ROCHEFOUCAULD
“La violenza esercitata su di noi da altri è spesso meno dolorosa di quella che ci infliggiamo da soli.”
FRANÇOIS DE LA ROCHEFOUCAULD

Tagliarsi non è un modo per cercare attenzione. Non è una manipolazione. É un meccanismo per affrontare i problemi, punitivo, gradevole, potenzialmente pericoloso, ma efficace. Mi aiuta a sopportare le forti emozioni che non so come gestire. Non ditemi che sono malato, non ditemi di smettere. Non cercate di farmi sentire in colpa, mi accade già. Ascoltatemi, sostenetemi, aiutatemi.” Tratto dal libro “Un urlo rosso sangue” di Marilee Strong”

Questo pensiero rende appieno il concetto di autolesionismo, una problematica che colpisce il 5% della popolazione, che può manifestarsi come sintomo associato a molti altri disturbi quali l’anoressia, la bulimia, la depressione, il disturbo borderline di personalità.

Di fronte al malessere emotivo profondo ognuno di noi reagisce in maniera diversa: c’è chi si chiude in camera per giorni, chi si butta sul lavoro e su divertimenti alienanti, c’è chi si dedica al volontariato per espiare, e c’è chi purtroppo si toglie la vita. C’è anche chi si fa del male: è la sindrome da autolesionismo ripetuto.

In cosa consiste l’autolesionismo?

La tipica manifestazione di questo disturbo è il“tagliarsi”. Si comincia di solito casualmente: un graffio accidentale o che ci si procura in un maniera impulsiva genera subito un immediato sollievo. Ecco che il gesto casuale comincia a diventare un rituale. Chiusi nella propria stanza, in un bagno pubblico, in un luogo isolato si attraversa la pelle con un oggetto tagliente, si vede apparire un filo rosso di sangue e si avverte subito uno stato di benessere.

Autolesionismo: cutting, burning e branding

Si ricorre al coltello, al rasorio, al temperino, alla lametta, perfino alla punta di una matita o alla parte tagliente di un foglio di carta: è il caso del cutting. Ma ci sono casi in cui si preferisce colpirsi, bucarsi la pelle, darsi colpi in testa, rompersi le ossa, non lasciare che le ferite si cicatrizzino, bruciarsi con le sigarette (burning) o marchiarsi a fuoco la pelle con un laser o un ferro rovente (branding) o grattarsi sino a farsi uscire il sangue per autolesionarsi.

Perché si sente il bisogno di tagliarsi? Genesi dell’autolesionismo

I primi segni di autolesionismo iniziano nell’adolescenza, intorno ai 9/10 anni: questa problematica coinvolge soprattutto le ragazze. Tagliarsi, consente, in assenza di strategie più mature e funzionali, di ristabilire un equilibrio, di ricollocarsi nella propria vita, di esprimere la propria indipendenza affettiva dai genitori o una sfida nei confronti delle regole che questi ultimi vogliono imporre.Osservare il processo di cicatrizzazione può rappresentare una simbolica ricomposizione delle ferite interiori e la cessazione del dolore morale rappresentato da quello fisico.

L’adolescente tenta così di affermare se stesso, utilizzando l’unica cosa su cui gli sembra di potere esercitare un controllo: il suo corpo. Nel romanzo di Paul Murray “Skippy muore” c’è una descrizione interessante e coinvolgente di cosa provi chi giunge a farsi male. Vi rimando alla pagina di Amazon dove potete trovare le recensioni sul libro: Skippy muore

In ogni caso, non c’è una sola spiegazione del perchè una persona può decidere di tagliarsi. Alcuni si tagliano per controllare e interrompere, in modo indiretto, un dolore mentale troppo forte, un’angoscia troppo intensa e insostenibile: preferiscono soffrire nel corpo che psicologicamente, preferiscono il dolore fisico al dolore mentale e fanno in modo che il dolore fisico prenda il posto di quello mentale. Le ferite inflitte al corpo sono un mezzo estremo con cui lottare contro la sofferenza psicologica.

Per altri, tagliarsi è un modo per percepire di esistere ed essere vivi: meglio un dolore fisico che non sentire niente o sentirsi vuoti e inutili.

C’è poi chi si taglia per trovare una sorta di sollievo come se dai tagli fuoriuscissero finalmente le emozioni che non si riescono a tollerare dentro di sé: la disperazione, la tristezza, il sentirsi rifiutati, la solitudine. Ci si taglia anche per  rabbia verso qualcun altro da cui si sente di dipendere e che si teme si allontani. È una rabbia che diventa odio contro se stessi e la propria incapacità nel gestire una data situazione: è il caso dei sensi di colpa.

Esiste anche una forma di autolesionismo spostato indiretto e consiste come accennato già in una forma inconscia di autosabotaggio. Si tratta di soggetti che non riuscendo a trasdurre il loro malessere in dolore fisico spostano il loro malessere in una sofferenza emotiva autodistruttiva.
Sono soggetti che si danno alle droghe, che si imbattono in azioni delinquenziali. Che si innamorano delle persone narcisiste o non corrisposte.

Come mi accorgo di avere questo problema?

  1. Ti provochi deliberatamente del male fisico causandoti danni ai tessuti (tagliando la pelle, facendoti dei lividi, lasciandoti segni che durano più di un’ora?)
  2. Metti in atto questo comportamento come modo per affrontare emozioni, pensieri o situazioni spiacevoli o opprimenti?
  3. Ci pensi spesso anche quando sei relativamente calmo e non lo stai facendo il quel momento?

Se si risponde sì almeno alle prime due domande, probabilmente si ha questo problema.

Cosa posso fare quando mi viene l’impulso di tagliarmi?

In questi casi non serve la buona volontà, spesso chi ha voglia di tagliarsi o altro sà che sta facendo qualcosa di sbagliato, ma non riesce a farne a meno. Se ritenete che i vostri genitori o i vostri amici non possano capire quello che provate, cercate intorno a voi una persona di cui avete stima e fiducia e chiedetele aiuto.

Nel momento in cui sentite l’irresistibile impulso di farvi del male, provate a scaricare quello che sentite in modo alternativo: per esempio prendete a pugni un oggetto morbido, uscite immediatamente di casa per una lunga passeggiata, datevi ad un’attività fisica oppure spostate l’attenzione verso qualche ricordo piacevole del passato. In questo caso, non dovete farvi trovare impreparati: c’è qualcosa che sapete vi fa stare bene? Ecco, questo pensiero dovrà essere il vostro antidoto.

Cosa posso fare se conosco qualcuno che si fa del male?

Non è semplice trovarsi vicino a qualcuno che si provoca delle lesioni ma ci sono delle cose semplici che si possono fare. La più importante è quella di ascoltare, senza giudicare o essere critici. Questo può essere molto difficile se si è sconvolti o arrabbiati per quello che sta succedendo. Bisogna concentrarsi sull’altra persona, piuttosto che sui propri sentimenti, anche se questo può essere difficile.

Cosa fare:

  • Parlare con lui/lei quando ha voglia di farsi lesioni. Cercare di capirne i sentimenti, e quindi spostare la conversazione su altre cose.
  • Cercare di comprendere meglio le ragioni dell’autolesionismo, aiutando anche la persona vicina a scoprire cosa sia l’autolesionismo magari utilizzando internet o la biblioteca locale.
  • Scoprire dove e come cercare aiuto, andando anche con la persona interessata a parlare con qualcuno, come il medico di famiglia.
  • Aiutare a pensare all’autolesionismo non come un segreto vergognoso, ma come un problema da risolvere.

Cosa non fare:

  • Cercare di essere il suo terapeuta
  • Aspettarsi di risolvere tutto in una giornata: il cammino è difficile e richiede tempo e impegno
  • Reagire con forza, con rabbia, dolore, o turbamento – è probabile che lo/la farete sentire peggio. Si può parlare sinceramente dell’effetto che ha su chi osserva, ma va fatto con calma e in un modo che mostri quanto si abbia cura del proprio amico o parente
  • Lottare con lui o lei quando sia in procinto di farsi del male
  • Estorcere promesse del tipo “Non lo farò più”
  • Dire che non lo/la vorrai più vedere se non la smette con questi comportamenti
  • Sentirsi responsabili per l’autolesionismo degli altri

Sono pronto/a sconfiggere il mio nemico?

Se riuscite a rispondere SI alle domande qui sotto significa che siete pienamente predisposti a sconfiggere il vostro peggior malessere.
1) sono consapevole di fare qualcosa di sbagliato?
2) E’ sbagliato giustificare il mio gesto?
3) Ci sono almeno due persone che sono disposti ad aiutarmi a fermarmi?
4) Ho qualcuno che sà del mio autolesionismo, dal quale posso andare se sono disperato/a?
5) Ho trovato almeno due modi alternativi sicuri che riducono i sentimenti che mi inducono all’autolesionismo?
6) Sono in grado di dire a me stesso, e credere, che voglio smettere di farmi male?
7) Posso riuscire a tollerare i sentimenti di frustrazione, disperazione e paura?
8) Conosco un professionista che anche mi può dare sostegno e aiuto in caso di crisi?
9) Penso che l’autolesionismo possa invalidarmi la vita?
10) Ho motivo per credere che riuscirò a guarire?

Se queste indicazioni sono troppo difficili da mettere in atto per voi, e soprattutto se questi comportamenti si ripetono nel tempo diventando sempre più frequenti, rivolgetevi  senza esitazione, timore e vergogna ad uno psicologo… sappiate che non siete gli unici a vivere questo disagio e che qualcosa per aiutarvi si può fare.

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