A quanto pare la verità assoluta non esiste, nessuno mente. Il titolo dell’articolo potrebbe sembrare provocatorio, tuttavia è il modo per introdurre un concetto piuttosto controverso: la verità può avere diversi punti di vista? Vi è mai successo di trovarvi in disaccordo su delle esperienze condivise con altre persone? E’ andata così no è andata in quest’altro modo. Tu non ricordi bene, tu menti ecc. Discussioni su fatti che ognuno ricorda in modo diverso. Fino ad arrivare all’impossibilità di riconoscere una verità univoca condivisa da tutti.
Certamente avrete avuto occasione di ascoltare la stessa storia da diverse persone e sarete sorpresi di come alcuni dettagli non coincidono. Addirittura, se chiedeste ad un amico di raccontarvi un esperienza che avete vissuto insieme, sareste sorpresi di vedere quanto la sua versione è diversa dalla vostra. E se la verità non fosse assoluta ma relativa?
Si tratta dell’effetto Rashomon, un fenomeno provocato dalla soggettività nel quale le persone raccontano la stessa storia in modo diverso. Tuttavia, questo non significa che una delle versioni sia falsa ma semplicemente che viene filtrata attraverso la percezione individuale.
Era il 1951 quando il regista giapponese Kurosawa portò Rashomon in Europa, dimostrando che la Verità non esiste, non ce n’è mai una sola, ognuno ha la sua. Ecco l’effetto Rashomon e la sua sfida alla pedagogia: narrazioni, incomprensioni, punti di vista che divergono o coincidono, vite e trame che si intrecciano tra loro.
Cos’è l’effetto Rashomon?
Questa soggettività nello descrivere la realtà nella psicologia della testimonianza viene definita come effetto Rashomon nome che deriva come vi ho già accennato dal film diretto da Akira Kurosawa nel 1951 premiato con l’Oscar come miglior film straniero e vincitore del Premio della Critica di Venezia.
Dove i testimoni di un omicidio descrivono i fatti i modo diverso e contradditorio: un boscaiolo, un monaco e un passante, che sono stati testimoni in tribunale, si fermano a parlare di un caso di omicidio avvenuto qualche tempo prima.
La vittima è un samurai, ucciso da un brigante che avrebbe anche abusato della moglie di lui. I tre uomini danno tre versioni diverse dell’accaduto, facendo apparire responsabile di volta in volta il samurai, la donna o il brigante. Alla fine, nessuno è in grado di dire cosa è veramente accaduto.
All’epoca, fu chiaro a tutti che il film recepiva gli echi della cultura occidentale. Meno chiaro fu che esso era saldamente ancorato all’interpretazione buddista della vita come illusione, e ancora meno che i personaggi del dramma, il samurai, la donna, il brigante, sono tutti e tre affetti da un mostruoso egocentrismo, per cui ciascuno falsifica la realtà a vantaggio del proprio onore, gettando fango sugli altri. Essi, però, non sembrano consapevoli della falsificazione: tentano di ingannare, ma al tempo stesso ingannano se stessi, sembrano assolutamente convinti di quello che testimoniano.
Chi di loro ha ragione? Chi dice la verità? Chi mente? Tutti mentono o tutti dicono una verità? Da cosa deriva la distorsione della realtà?
Possiamo definire l’effetto della soggettività della percezione per cui gli osservatori di un evento sono in grado di produrre sostanzialmente versioni diverse ma ugualmente verosimili. Ovvero possiamo osservare che in luogo a una vicenda ci sono tante differenti realtà; quanti sono coloro che hanno partecipato al fatto.
Ma com’è possibile questo fenomeno?
Siamo portati a pensare in modo erroneo che un fatto sia o vero o falso ma spesso il vero o falso viene costruito su delle basi soggettive. Soggettive appunto, diverse da individuo a individuo che interpreta il fatto in modo diverso dagli altri. In base all’intensità emotiva del momento alle esperienze maturare e altri fattori fisici e percettivi come la prospettiva, l’angolazione, il rumore di fondo che possono in qualche modo condizionare l’esperienza.
Dal momento che siamo abituati a pensare in termini di “bianco e nero”, è normale che si metta in discussione l’affidabilità di ogni spettatore, ma se pensiamo alla realtà come ad un continuum che vediamo attraverso le nostre lenti individuali, allora non risulta strano capire perché uno stesso fatto possa venire vissuto e raccontato in modi diversi.
Nell’Effetto Rashomon influiscono diversi fattori che vanno dall’intensità delle emozioni al momento in cui stavamo vivendo l’evento fino alle nostre esperienze precedenti o le aspettative che abbiamo. Per questo motivo, alcuni possono considerare inguardabile un film che per altri è un opera maestra. Le scene ed i dialoghi sono gli stessi ma le aspettative, la conoscenza della settima arte e le nostre emozioni sono diversi.
Le esperienze sono la chiave per intendere questo fenomeno. In pratica, l’esperienza è l’insieme di ciò che viviamo (gli stimoli ambientali) e come percepiamo e analizziamo questi stimoli (una percezione e un analisi che allo stesso tempo saranno determinati dalle nostre esperienze anteriori e dalla nostra psicologia). Per dirlo in parole semplici, è come se ogni persona vedesse la stessa realtà ma attraverso una finestra unica per lei nel mondo. Così che la sua percezione della situazione sarà diversa.
Ed allora la questione si apre ad altre innumerevoli problematiche: quello che percepisco è quello che è? Se non lo è, quello che racconto è suscettibile dei criteri di verità e falsità?
Come si può immaginare, non si può fare riferimento al fatto che una percezione sia più adeguata rispetto all’altra, sono semplicemente diverse. Ovviamente, dal punto di vista scientifico, mentre meno emozioni e aspettative siano in gioco più nitidamente potremo percepire la realtà.
A questo punto sicuramente vi starete chiedendo come potreste applicare l’Effetto Rashomon alla vostra vita quotidiana. A questo proposito, è importante che vi rendiate conto che le persone che vi stanno intorno non vi mentono quando vi raccontano la loro versione dei fatti. Così, forse, potrete evitare molte discussioni con i vostri cari.