Oggi viviamo nell’era del virtuale, del sesso virtuale, dell’amicizia virtuale e dell’amore virtuale. Allo stesso modo odio, abuso e violenza possono assumere una conformazione virtuale e non per questo meno dannosa di quella tradizionale.
Luca, 17 anni, assieme ad altri tre ragazzi a scuola si diverte a tirare il cancellino ad Andrea, un compagno di classe. Lo accerchiano a ricreazione e all’uscita dalla scuola gli urlano: “brutto ciccione!”, gli sputano e gli tirano spintoni, mentre uno dei ragazzi filma la scena col cellulare.
Luca torna a casa e dopo aver inserito una canzoncina come sottofondo al video, minaccia la sua vittima di diffonderlo sulla chat dei compagni di calcio. E così nel week end, non perde occasione per intimidirlo o invaderlo via chat o sms.
Luca è un bulletto e il suo essere cyberbullo lo rende ancora più violento perché insiste e incalza torturando il suo compagno non soltanto quando ha occasione di incontrarlo, come a scuola, ma in ogni istante e luogo in cui egli sia connesso.
Si aggrega come è sempre accaduto, anche ai tempi in cui la rete non esisteva. Picchia e umilia, come avveniva prima della nascita del web, ma ai nostri giorni si fa regista delle immagini, documentandole e diffondendole affinché possano essere viste, condivise e magari anche apprezzate.
Oggi la violenza è nelle mani di chi la compie, ma anche negli occhi di chi la osserva.
Con questa nuova cyber-forma la rete mostra il lato oscuro, quello che si allontana dall’ottimismo, dal progresso e dalle potenzialità delle nuove tecnologie.
Dunque, la rete intesa come contenitore di violenza condivisa, in cui pestaggi a morte e abusi sessuali diventano oggetto voyeuristico e di divertimento delle serate alcoliche di gruppi di adolescenti.
In realtà, si tratta soltanto di nuove forme. Non c’è nulla di inedito, non è la rete a far l’uomo violento, ma è l’uomo stesso a costruirne le maglie tramite nuovi strumenti. Internet può rappresentarne una versione amplificata, ma non dissimile, rispetto a quanto accade nella vita offline.
Cyberbullismo: caratteristiche
Ci sono tuttavia tre caratteristiche della rete che incidono in maniera significativa su questa nuova forma di cyber-violenza.
1. Il cyberbullismo è semplice e veloce
La prima è la facilità con cui si accede, attraverso internet, a contenuti di ogni tipologia e natura. Sul web l’accesso ad immagini violente è semplice sia per chi le ricerca, sia per chi le inserisce con il piacere di diffonderle.nSemplice e veloce! Fra un impulso e un click passano solo pochi centesimi di secondo e quest’assenza di tempo non permette alle azioni di passare attraverso alcuna forma di pensiero, riflessione o valutazione. L’accesso alla violenza è rapido in entrambe le direzioni, che il soggetto ne sia il protagonista o lo spettatore.
2. La rete disinibisce i bulli
In secondo luogo la rete è scarsamente regolamentata. In assenza di norme, gli individui possono sentirsi più disinibiti. Quando le azioni (o parole) diffuse in rete hanno poca probabilità di subire delle conseguenze, c’è il rischio che anche il soggetto più timido e inibito, si lanci in comportamenti insoliti persino ai propri occhi.
Così facendo, quindi, il web invita alla disinibizione e facilita i comportamenti violenti o devianti che, come detto, non sono certo figli di questo secolo.
3. Il cyberbullismo è un male nascosto
Infine, c’è una terza componente. Quando per ragioni professionali parlo con genitori preoccupati perché sono all’oscuro di come i figli trascorrano il tempo in rete, non posso far altro che comprenderli.
Difatti, nella maggior parte dei casi di suicidio giovanile legati al cyberbullismo, i genitori non conoscevano le umiliazioni subite dal figlio, lo stesso discorso vale per i genitori di coloro che le infliggevano. Quindi, ecco il terzo fattore: la rete, un luogo non luogo, aiuta il sintomo (in questo caso la violenza, agìta, subita o assistita) a divenire “invisibile”.
Se un tempo, un atto violento (agìto o subìto) in un contesto scolastico, in una palestra o in un gruppo, prima o poi incontrava gli occhi di chi ne coglieva la gravità o la sofferenza, per esempio un insegnante o il genitore stesso, oggi il medesimo atto compiuto o subìto in rete difficilmente incontra lo stesso destino.
Quindi, per Luca, il cyberbullo, il web diventa lo spazio privilegiato dei suoi agìti, un luogo in cui diffondere violenza senza scrupolo e con poche probabilità di subire conseguenze.
E per Andrea, la vittima, il web diviene un luogo silente, portatore di insulti e soprusi che rende pressoché impossibile l’intervento di chi potrebbe proteggerlo.
Dunque, preso atto della facilità con cui la violenza può circolare in rete, diventano ancora più importanti i ruoli della scuola e dei genitori.
La prima è chiamata ad impartire un uso consapevole della rete e i secondi sono chiamati ad essere presenti, non tanto attraverso un atteggiamento iper controllante, che spontaneamente attivano nei confronti di un figlio che naviga sul web, quanto attraverso una vicinanza emotiva e la capacità di ascoltarli e vederli per davvero. Questo aiuterà la vittima a sentire che accanto a sé ci sono degli adulti a cui si può chiedere aiuto in caso di bisogno e il genitore del carnefice a cogliere i segnali di disagio che attraverso i comportamenti violenti il figlio sta mostrando.
Cristina Radif, psicoterapeuta
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