La rabbia è un’emozione fondamentale, primaria e, in molti casi, culturalmente osteggiata. L’educazione moderna tende spesso a considerare la sua espressione come pericolosa, disadattiva e sbagliata.
L’abitudine che può crearsi è quella di associare la sua esternazione ad un conseguente senso di colpa per aver infranto una regola sociale, infatti, anche a scuola non sono rari gli interventi educativi basati sul precetto che non si deve litigare e che occorre andare sempre d’accordo.
Le due facce della rabbia: funzionale o distruttiva
Eppure la rabbia ha una sua importante funzione: aiuta a far rispettare i propri confini, ad affermare la propria autonomia ed è il motore dell’assertività, ovvero della capacità di far valere le proprie ragioni attraverso la persuasione, orientando le scelte personali e arrivando ad ottenere il consenso degli altri.
L’esperienza della rabbia è nota a tutti, è un qualcosa che si agita internamente, procurando un eventuale blocco allo stomaco ed un nodo alla gola, impedendo di riuscire ad analizzare con lucidità il contesto e le cause che l’hanno portata a manifestarsi.
La rabbia investe tutto il corpo, provocando tensioni e preparando l’organismo a reagire, verbalmente e fisicamente. Pur essendo un’emozione fra le tante, la rabbia ha la caratteristica peculiare di poter essere distruttiva per sé e per gli altri, ecco perché occorre imparare a gestirla.
L’altra faccia della medaglia della rabbia è che può essere utile, canalizzandola in attività costruttive, consentendo l’espressione di atteggiamenti necessari per imporsi e far valere le proprie ragioni. Il mancato riconoscimento della rabbia e della sua espressione può trasformare la persona in una sorta di pentola a pressione che accumula costantemente tensioni fino ad arrivare al punto di rottura. A quel punto la pressione della rabbia è tale che non può essere gestita ma solo sfogata con conseguenze dirompenti e soltanto distruttive. Questa modalità comportamentale fa oscillare la persona fra il senso di impotenza/frustrazione quando accumula la rabbia e il senso di colpa quando avviene l’esplosione incontrollata, soprattutto nelle situazioni in cui è diretta verso gli altri.
Rabbia verso se stessi
Se non è l’altro ad attivare in noi la rabbia in modo compulsivo può darsi che si attivi un meccanismo in cui questa emozione sia diretta verso noi stessi soprattutto nelle situazioni in cui ci attribuiamo la colpa per il manifestarsi di situazioni spiacevoli che sfuggono al nostro controllo.
La rabbia contro se stessi è deleteria perché tende ad accrescere progressivamente innescando un pericoloso meccanismo autodistruttivo soprattutto quando inizia a prendere in mano le redini della nostra vita e ci costringe a comportamenti impulsivi ed incontrollati. La risoluzione della rabbia e la sua gestione sono la cura contro l’autodistruzione e per farlo occorre cogliere gli insegnamenti che ci sono alla base, o meglio, le indicazioni che possono dirigerci verso i nostri irrisolti, verso quegli echi che probabilmente appartengono al passato, ad un’infanzia lontana.
Sono le aspettative tradite, le delusioni, i sogni infranti, le violenze subite che, in qualche modo, si riattivano nel presente quando si manifestano situazioni particolari atte ad innescare il meccanismo di accensione.
Saper leggere dentro di noi il processo di attivazione della rabbia vuol dire dirigere l’osservazione e l’accettazione di tutti quei sentimenti di inferiorità, tendenza alla perfezione, mancanza di sostegno e senso di inadeguatezza che possono aver caratterizzato i nostri vissuti trascorsi.
Accogliere la rabbia invece di accumularla o di sfogarla in modo reattivo significa riconoscerla, fermarsi, prenderne consapevolezza, riflettere ed orientarla per canalizzarla nella maniera migliore possibile per sé ed il contesto.
Se sappiamo osservare la rabbia capiremo su cosa e come lavorare per migliorare il suo utilizzo.
La rabbia può portare anche al congelamento, al blocco delle reazioni per paura di perdere il controllo. La conseguenza può essere il rimuginio continuo sui problemi e sulle difficoltà entrando in una mentalizzazione a scopo difensivo, impedendo di correre i rischi di un’eventuale espressione dell’ira.
Può subentrare la paura di perdere il controllo e di mandare in frantumi l’ equilibrio familiare costruito negli anni, ad esempio, impedendo alla persona di prendere posizione. Tutto questo può essere generato da una rabbia percepita a livello corporeo e repressa in maniera costante nel tempo.
Gestire la rabbia con l’approccio psicocorporeo e bioenergetico
L’approccio psicocorporeo e bioenergetico integrato può essere utile per consentire alla persona per sperimentare l’espressione della rabbia all’interno di un luogo protetto, al sicuro, lontano dai rischi e dalla fantasia che possa danneggiare qualcuno.
Scopo del lavoro è quello di far sì che la sperimenti la possibilità di esprimere ciò che sente rendendosi conto che questo è un suo diritto che forse è stato negato per troppo tempo.
Esprimere la rabbia significava rendersi conto che è possibile finalmente permetterselo e che questo non comportava in nessun modo un pericolo per sé e per gli altri. Anzi. Liberando questa tensione è possibile riacquisire un respiro più completo, una maggiore distensione muscolare e sicuramente la consapevolezza che la rabbia è una componente della vita di ognuno e che solo accettandola può cambiare modo di porsi verso se stessi e gli altri.
Utilizzando delle clave, i pugni e i calci contro un materasso ed un cubo di stoffa, la persona ha modo di sperimentare la protesta, la possibilità di liberare la rabbia in maniera istintiva e liberatoria, accompagnando l’azione con suoni, mimica e verbalizzazione.
Capita che il soggetto possa finalmente permettersi di inveire contro la madre o altre figure significative, urlare frasi come: “adesso basta!, mi devi lasciare perdere!, Non puoi sempre dire quello che devo fare!, Sei invadente!. O contro amici e colleghi: Ma chi ti credi di essere? Non vali niente!, Sei solo viziato!, ecc.
Possono essere integrati esercizi per esplorare e sbloccare la rabbia repressa a livello della mandibola utilizzando la pressione dei denti, come mordere un asciugamano arrotolato, oppure provare a stringerlo con le mani come per strizzarlo con tutta la forza di cui dispone, tenendolo alzato davanti agli occhi per insultarlo e schiaffeggiarlo.
Tutto questo può favorire non soltanto il dissolversi del nodo che talvolta viene avvertito all’altezza allo sterno ma anche accettare l’evidenza del fatto che la rabbia espressa in un luogo protetto e controllato non uccide nessuno e che la sua libera espressione può finalmente consentire di non essere più “il bravo bambino” che deve essere sempre e comunque rispettoso dei doveri.
In alcuni casi l’espressione della rabbia può essere la via maestra per consentirsi di “infrangere la regola”, rimettendo in discussione convinzioni antiche dettata dalla necessità di essere in un certo modo per potersi sentire accolti ed accettati dalle figure di riferimento.
Il sentire nella propria voce arrabbiata parole contro la figura materna, simbolo di devozione e massimo rispetto, può lasciare una strana sensazione, come se adesso la persona non si riconoscesse più e si percepisse in qualche modo diverso ai propri occhi. L’espressione della rabbia può aprire le porte verso un sentire più autentico, scardinando quei blocchi emotivi che impediscono di provare emozioni più vere. Spesso i precetti educativi, le costrizioni, le regole imposte, la distanza emotiva delle figure genitoriali e le delusioni corazzano ed anestetizzano le emozioni più autentiche che rimangono intrappolate nel corpo.
La loro libera espressione sembra impossibile ed il senso di colpa frena ogni tentativo di libera espressione di sé. La rabbia allora può essere qualcosa che non possiamo permetterci di sentire, di contattare, come fosse una forza che non solo rischia di annientare equilibri faticosamente raggiunti ma anche di farci sentire in colpa nel momento in cui iniziamo a pensare di poterla esprimere. Eppure la rabbia ha proprio questa virtù: la capacità, se saputa riconoscere e gestire, di rompere quegli schemi, quegli equilibri dolorosi che spesso sono frutto di erronee convinzioni e di antichi fantasmi buoni soltanto ad allontanarci da noi stessi e dal nostro sentire più autentico.
A cura di Andrea Guerrini, psicologo e pedagogista
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