Importanti pratiche marziali come il Bagua (otto simboli) e le pratiche bioenergetiche come il Qigong (forza del respiro), possono essere scardinati dal loro significato originale per riadattarli su un piano psicologico anziché su quello del combattimento e del mantenimento della salute fisica.
Riadattarli significa utilizzare gli spunti gestuali ed intenzionali per andare a lavorare sui bisogni del soggetto che si manifestano nel momento attuale.
Il Bagua per lavorare sui propri bisogni
Il Bagua, ad esempio, prevede camminate in cerchio intorno ad un palo fisso a terra, il cambio della posizione delle braccia stese nella direzione del palo all’altezza degli occhi e la rotazione del busto. Il praticante orbita intorno ad un centro fisso, quindi, analogamente il soggetto ruota intorno al proprio centro ristabilizzandosi.
E’ possibile in sintesi attraverso la rotazione fissare un punto con lo sguardo, con le mani che tagliano la traiettoria dello sguardo stesso. Le rotazioni continue, le inversioni del senso di marcia e il cambio delle posizioni delle braccia accompagnate dalle torsioni laterali del busto, consentono di ridefinire costantemente l’angolazione fisica intorno ad un fulcro, ricordando a se stessi dove si è in questo preciso istante e riportando la consapevolezza del corpo in relazione ad un qualcosa esterno a se stessi. La consapevolezza corporea è particolare in questa pratica perché non deriva dall’autopercezione immediata ma è derivata dal proprio essere in relazione a qualcosa che si trova ad una determinata distanza.
Ruotando ed invertendo il praticante può iniziare ad interrogarsi:
- come mi sento in questo senso di rotazione?
- Quali tensioni avverto e dove?
- Provo smarrimento o disorientamento quando inizio a cambiare senso di rotazione?
- Cosa cambia quando inverto la posizione delle braccia?
(Durante la rotazione un braccio è leggermente piegato all’altezza degli occhi con il palmo aperto ruotato verso il fulcro, l’altro braccio, invece, è più giù all’altezza della bocca dello stomaco, sempre leggermente piegato e con il palmo rivolto nella stessa direzione).
Il ruotare a ritmi ed intensità diversi consente di smarrirsi e di ritrovarsi, ovvero di sperimentare la presenza a se stessi stando in una dinamica continua, cercando di trovare la propria stabilità in un continuo cambiamento di posizione e di prospettiva.
- Come mi sento passando da una situazione di equilibrio instabile ad un’altra?
- Sono abituato al cambiamento continuo?
- Come mi fa stare il dover continuamente rimettere a fuoco il mio obiettivo e riprogrammare la mia direzione?
- Mi è più familiare la staticità o il ritmo spezzato da velocità diverse?
- Il movimento centrifugo mi aiuta a fissare il fulcro o sono distratto dal movimento stesso?
Sono domande utili che permettono di ricentrarsi attraverso il decentramento del movimento e a ridefinirsi perdendo e scardinando la definizione statica di se stessi mediante un incessante cambiamento di prospettiva.
Il congelamento finale del corpo, l’immobilizzazione dopo le camminate, consentono di riportare a sé tutte le sensazione avvertite a livello corporeo. E’ importante abbandonare le tensioni rilassando il corpo stando in piedi , abbandonando le braccia lungo i fianchi ed ascoltando il respiro ad occhi chiusi.
Dopo dieci minuti, una volta ritrovati se stessi dopo lo smarrimento dovuto ai cambi e alle camminate in direzioni diverse , dopo aver sperimentato la possibilità di trovare equilibri nell’incessante dinamismo, è possibile passare ad una fase successiva in cui sperimentare la possibilità di visualizzare l’obiettivo, fissarlo con lo sguardo e provare a coglierlo attraverso la pratica statica del “Tendere l’arco”.
Aprendo le gambe grosso modo come l’apertura delle spalle, con le ginocchia leggermente piegate è importante ruotare la testa a destra o a sinistra e fissare un punto all’altezza dei propri occhi. Quel punto è il mio obiettivo.
- Cosa voglio per me?
- Dove devo dirigere le mie energie?
- Che forma ha il mio scopo?
Cerco di rendere la visualizzazione il più nitida possibile. Se mi è impossibile farlo, chiudo gli occhi per altri cinque minuti e. attraverso l’ascolto del respiro, vado ad indagare dentro di me il mio bisogno attuale, ciò che sento in questo momento come importante per me. Non è detto che vi sia una chiarezza immediata. In questo caso va bene anche un colore, una vibrazione percepita, un’immagine sfocata di qualcosa che, in qualche modo, sentiamo che riesce a farci vibrare.
Sentire l’obiettivo e l’intensità del bisogno da soddisfare
Una volta focalizzato ciò che voglio andare a colpire, ovvero l’obiettivo verso il quale voglio tendere, appoggio davanti a me l’indice e l’anulare di una mano sul pollice dell’altra che sta chiusa a pugno.
La mano chiusa simboleggia il sfilo dell’arco’, ciò che mi consente di scoccare la freccia del mio desiderio da raggiungere. Il pugno chiuso è l’arco che mi permette di realizzare la possibilità di soddisfare il bisogno immaginato.
Quando inizio a tendere, il braccio con le due dita sollevate si distende in direzione dello sguardo mentre l’altro braccio rimane piegato e procede nel suo tragitto fino a che non immaginiamo di aver teso abbastanza il filo.
Quando tendo abbasso il peso piegando le ginocchia, cercando di avvertire internamente la tensione dello sforzo. Il corpo però rimane rilassato. Sforzo interiore compensato dal rilassamento muscolare. La freccia viene scoccata con il braccio teso in avanti e lo sguardo nella stessa direzione. Si scocca separando le due dita. Una volta scagliata la freccia, il corpo si rilassa distendendo le braccia lungo i fianchi e rilassando le gambe.
La testa viene riportata al centro. E’ importante scoccare la freccia sia a destra che a sinistra, in modo da percepire la differenza e l’intensità del bisogno da soddisfare.
Il nostro obiettivo può essere sentito in modo più o meno intenso in base anche a quanto sentiamo il respiro in quel preciso istante. La respirazione ed i suoi possibili blocchi possono fare da spia a quanto ancora non sentiamo pronti per raggiungere ciò che desideriamo o, forse, può indicare che ciò che abbiamo mirato non è esattamente quello che sentiamo come importante ma è solo frutto di una convinzione che non ci appartiene a livello emotivo.
A cura di Andrea Guerrini, psicologo e pedagogista
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