Quando si vive una precarietà emotiva si è in bilico tra felicità e tristezza. Non si tratta di bipolarismo, nonostante se ne senta parlare spesso, soddisfare i criteri diagnostici per questo disturbo richiederebbe una serie di condizioni che vanno ben oltre a degli sbalzi d’umore.
Sentirsi in balia degli umori, irritarsi per poco, intristirsi per piccoli eventi obiettivamente di facile soluzione, inseguire una gioia basata su situazioni effimere, che dura poco più di un attimo, riconduce a una precarietà emotiva.
Questa incompiutezza trova spazio nella propria irrealizzazione, si nutre di ansia da prestazione o più in generale della paura per il futuro.
Caratteristiche della precarietà emotiva
All’origine c’è sempre una forte insicurezza personale che non porta ad affrontare i propri limiti o a perseguire i propri obiettivi, come se ci si fosse arresi ad un destino che non si può cambiare. Spesso si finisce per accettarlo (non posso ambire ad un lavoro migliore, una relazione gratificante, a soddisfare i miei desideri), uniformandosi ad un sistema che in realtà non si è mai scelto e di cui non ci si assume neanche le responsabilità (è colpa della società, il lavoro non c’è, ormai sono grande).
È proprio questa mancanza di speranza che in realtà contribuisce al proprio malessere. Si finisce col sentirsi in uno stato di precarietà costante a cui di solito si cerca di non dare ascolto, occupandosi il più possibile:
- con il lavoro, anche se non soddisfa da tempo, purché ci si tenga impegnati,
- con relazioni extraconiugali, per non affrontare il peso della scelta di una separazione,
- occupandosi di qualcun altro, figli, partner, familiari.
Purtroppo tutto questo rimanda l’attenzione altrove, ci si occupa così poco di se stessi che poi non si riescono a capire umori e reazioni, come se fossero estranee.
Da questa ulteriore difficoltà si può partire a ricercare una presa di coscienza, per cui decidere di prendere in mano la propria vita, o continuare a perpetrare la fuga dalle proprie responsabilità, seppellendole sotto strati di attività e impegni con lo scopo di confondere le scelte.
Perché auto-limitarsi?
Si tratterebbe a tutti gli effetti di un auto sabotaggio. Perché auto limitarsi? È possibile che non si perseguano i propri interessi?
Sembra razionalmente incomprensibile, anche a chi attua questi meccanismi, ma la propria insicurezza predomina a tal punto da intervenire sugli esiti dei risultati.
Ciò che viene a mancare è la speranza per il futuro, percepito come incerto e disastroso. Risulta più sostenibile la rinuncia, anche se a volte, non avendo chiarezza dei propri desideri, non è avvertita come tale.
I confini della propria identità sono sfumati, ci si può adeguare a varie situazioni continuando a trascurare se stessi e le proprie esigenze a lungo.
Molto spesso il contesto in cui si vive è determinante per creare questa instabilità: la precarietà del lavoro, relazioni fugaci che non affondano radici profonde, sembra che da un momento all’altro tutto possa svanire e quando ci si identifica con ciò che si fa piuttosto che con ciò che si è, tutto questo può risultare insostenibile.
Come uscirne
Dover affrontare le proprie paure e superare le insicurezze è un lavoro che non tutti sono disposti a intraprendere. Succede a volte che dopo le prime sedute di psicoterapia ci si senta pervasi da un senso di confusione, preoccupati per ciò che sembra irraggiungibile e rammaricati per ciò che non si è fatto fino a quel momento.
Alcune persone, non riescono ad affidarsi a un nuovo percorso, preferiscono tornare a quello precedente che se pur insoddisfacente almeno risulta conosciuto.
Proprio quando inizia ad affiorare una nuova consapevolezza vuol dire che i comportamenti adottati in passato non bastano più a camuffare i propri sentimenti. Si inizia ad avvertire l’esigenza di nuovi traguardi da raggiungere e quindi occorre valutare dei cambiamenti.
Per cambiare i propri atteggiamenti bisogna rinunciare a quelli precedenti anche se sembrano più confortevoli. Passare da un senso di precarietà a una nuova stabilità richiede più un cambiamento di pensiero, “ci si abitua a stare male”, uscirne richiede una rottura di schemi e connessioni in cui negli anni ci si è incastrati, come un filo ingarbugliato di cui non si vede l’origine e la fine. Solo chi ha il coraggio di affrontare un nuovo percorso può arrivare a nuovi traguardi.
Lucia Cavallo, Psicoterapeuta
specializzata in terapia Familiare Sistemica Relazionale
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