Sulla Pagina Facebook di Psicoadvisor.com, abbiamo pubblicato una citazione di Marilyn Monroe ed è subito stata polemica. La critica: come può una pagina di psicologia riportare le parole di una “donnetta che si è suicidata”? Commenti come questo sono la dimostrazione di quanto sia forte lo stigma sociale legato alla salute mentale e di quanto influiscano sul nostro giudizio gli stereotipi di genere.
Ogni critica distruttiva che possiate rivolgere a chiunque racconta di un vostro vissuto, di un vostro limite o pregiudizio. Ogni essere umano, anche il più semplice e umile, potrebbe avere qualcosa da insegnarci… se solo non fossimo così distratti dalle credenze interiori! In occasione dell’anniversario della scomparsa di Marilyn Monroe, abbiamo deciso di pubblicare la Lettera che spedì al suo psichiatra quando era internata presso “l’Ospedale dei Grandi Disturbati”.
Marilyn Monroe è nata il 1 giugno 1926 e si è uccisa il 5 agosto 1962, all’età di soli 36 anni. Un anno prima del fatale evento, il Dottor Kris temendo che l’attrice passasse all’azione, la internò in un ospedale psichiatrico. Fu il peggiore degli incubi per l’attrice, come lei stessa racconta in questa lettera mandata al suo psichiatra californiano, Ralph Greenson. Ultime parole da un inferno istituzionalizzato e legalizzato (il manicomio o ospedale psichiatrico).
2 marzo 1961,
Caro Dottor Greenson,
ho chiesto a May Reis (l’assistente personale di Marilyn Monroe) di battere a macchina questa lettera per me, poiché la mia scrittura non è chiaramente leggibile, ma ho anche incluso queste note e capirà cosa voglio dire.
M.M.
1 marzo 1961,
Ho appena guardato fuori dalla finestra dell’ospedale e ormai, laddove la neve aveva ricoperto tutto, tutto è un po’ verde: l’erba e i piccoli germogli, quelli che non perdono mai le foglie (anche se gli alberi non sono ancora molto incoraggianti), i rami nudi e lugubri annunciano forse la primavera e sono forse segno di speranza.
Lei ha visto Gli Spostati? In una delle scene, potrà vedere fino a che punto un albero possa apparirmi strano e nudo. Non so se si vede distintamente nello schermo… Non amo la maniera in cui certe scene sono state montate. Da quando ho cominciato a scrivere questa lettera, ho pianto quattro lacrime silenziose. Non so veramente perché.
La notte scorsa sono rimasta di nuovo sveglia tutta la notte. A volte mi domando a cosa serva il tempo notturno. Per me praticamente non esiste, e tutto mi sembra come un lungo e spaventoso giorno senza fine. Ed ho anche provato ad approfittare della mia insonnia in modo costruttivo e ho cominciato a leggere la corrispondenza di Sigmund Freud. Aprendo il libro per la prima volta, ho visto la fotografia di Freud e sono scoppiata in singhiozzi: aveva l’aria molto depressa (quella foto deve essere stata scattata poco prima della sua morte), come se fosse morto da uomo disilluso…
Ma il Dottor Kris mi ha detto che soffriva molto fisicamente, cosa che avevo già letto nel libro di Jones. Ma penso anche di avere ragione, mi fido della mia intuizione perché percepisco un triste tedio sul suo viso. Il libro prova (anche se non sono sicura che si dovrebbero pubblicare le lettere d’amore di qualcuno) che era ben lontano dall’essere impacciato!
Mi piace il suo senso umoristico dolce e un po’ triste, il suo spirito combattivo che non l’ha mai lasciato. Non sono ancora andata troppo avanti nella lettura perché sto leggendo allo stesso tempo l’autobiografia di Sean O’Casey (le ho già detto che un giorno mi ha inviato una sua poesia?). Questo libro mi sconvolge molto, nella misura in cui si può rimanere sconvolti da questo genere di cose.
Alla clinica Paine Whitney mancava del tutto l’empatia, il che mi ha fatto molto male. Sono stata interrogata dopo essere stata messa in una cella (una vera cella in cemento e tutto il resto) per persone veramente disturbate, i grandi depressi, (solo che avevo l’impressione di essere dentro una sorta di prigione per un crimine che non avevo commesso).
Ho trovato questa mancanza di umanità peggio ancora che barbara. Mi hanno chiesto perché non stavo bene qui (tutto nella stanza era chiuso a chiave: le lampade elettriche, i cassetti, il bagno, gli armadietti, c’erano delle sbarre alle finestre… le porte delle celle erano come finestre così che i pazienti fossero sempre visibili, si vedevano sui muri le tracce delle violenze dei pazienti precedenti).
Ho risposto: “Eh beh, dovrei essere svitata per farmelo piacere.” Poi delle donne si sono messe a urlare nella loro cella, e credo urlassero perché la vita gli era diventata insopportabile… In quei momenti, mi sono detta che uno psichiatra degno di questo nome avrebbe dovuto parlare con loro. Per alleggerire la loro miseria e la loro pena, anche solo per un momento. Penso che loro (i medici) potrebbero anche insegnargli qualche cosa… Ma non sono interessati che a quello che hanno studiato nei libri. Ero sorpresa perché sapevano già tutto questo. Forse però potrebbero imparare qualcosa in più ascoltando degli essere umani vivi e sofferenti. Sento come se si interessassero più alla loro disciplina e lasciassero cadere del tutto i loro pazienti dopo averli fatti “piegare”.
Mi hanno domandato di mescolarmi agli altri pazienti, di fare terapia di gruppo. “E per fare cosa?” ho domandato loro. “Potrà cucire, giocare a dama, o a carte, o fare la maglia“. Ho provato a spiegargli che il giorno in cui io farò delle cose simili, avranno veramente una svitata in più tra le braccia. Sono le ultime cose che mi va di fare. Mi hanno chiesto se mi sentivo “diversa” (dagli altri pazienti, suppongo) e mi sono detta che se erano talmente stupidi da fare simili domande, dovevo dargli una risposta bella semplice, quindi ho detto: “Sì, lo sono“.
Il primo giorno ho incontrato un’altra paziente. Mi ha domandato come mai ero così triste e mi ha suggerito di chiamare un amico per sentirmi meno sola. Le ho risposto che mi avevano detto che non c’era un telefono a questo piano. A proposito di piani, sono tutti chiusi a chiave: nessuno può entrare o uscire; lei mi è parsa shoccata e sorpresa e mi ha detto: “Lasciate che vi porti al telefono“. Aspettando il mio turno per il telefono, ho notato una guardia (l’ho riconosciuta dall’uniforme grigia) e quando stavo per alzare la cornetta me l’ha strappata dalle mani e mi ha detto con durezza: “A lei non è permesso telefonare“.
E si vantano pure dell’ambiente “casalingo”. Gli ho domandato (ai medici) che cosa volessero dire con quell’espressione. Mi hanno risposto “Beh, al sesto piano, abbiamo della moquette per terra e l’arredamento è moderno“, al che io ho risposto “Bene, è il genere di cose che un qualsiasi architetto d’interni può fornire, una volta che ha i fondi necessari“, ma per occuparsi di esseri umani, perché non si rendono conto di quello che rende veramente un interno più umano? La ragazza che mi ha parlato del telefono aveva l’aria così vaga e patetica. Dopo l’incidente con la guardia, mi ha detto: “Non sapevo che l’avrebbero fatto“. Poi ha aggiunto: “Sono qui a causa delle mie turbe mentali… Mi sono tagliata la gola e i polsi più volte“, ha detto di averlo fatto tre o quattro volte. La sola cosa che avevo in testa nell’ascoltarla era un ritornello:
“Mescolatevi gli uni agli altri fratelli miei,
a meno che non siate nati solitari“
Alla fine, gli uomini cercano di raggiungere la luna ma non sembrano molto interessati al cuore che batte nell’essere umano. Quand’anche potessimo cambiare, non per forza si dovrebbe volerlo. Questo a proposito, è il tema degli Spostati, ma nessuno se n’è reso conto. Immagino sia a causa delle modifiche al copione e dei cambiamenti imposti dalla sceneggiatura…
Scritto più tardi:
So che non sarò mai felice, ma magari almeno contenta! Vi ricordate che Kazan fingeva che fossi la ragazza più gaia che avesse mai conosciuto, e credetemi che ne ha conosciute molte! Ma mi ha amata per un anno e, una notte in cui ero piena d’angoscia, mi ha cullata fino a farmi addormentare. Mi aveva anche consigliato di fare un’analisi e più tardi ha voluto che lavorassi con il suo professore, Lee Strasberg. È Milton che ha scritto: “Le persone felici non sono mai nate“? Conosco almeno due psichiatri che cercano un approccio più positivo alle cose.
QUESTA MATTINA, 2 MARZO
Anche questa volta non ho dormito tutta la notte. Ho dimenticato di dirle alcune cose ieri. Quando mi hanno messa nella prima camera, al sesto piano, non mi avevano detto che si trattava di una sezione psichiatrica. Il Dottor Kris mi aveva detto che sarebbe venuto a trovarmi il giorno successivo. L’infermiera è entrata, dopo che il dottore (uno psichiatra) mi ha fatto un esame medico, compreso uno del seno, per assicurarsi che non avessi dei noduli mammari.
Ho protestato, ma senza violenza, spiegando che il medico che mi aveva fatta entrare, un imbecille di nome Lipkin, mi aveva inflitto un check-up completo meno di un mese prima. Ma quando l’infermiera è entrata, ho notato che non c’era alcun modo di chiamarlo, anche solo con un campanello. Ho chiesto delle spiegazioni, e lei mi ha detto che ero in una sezione psichiatrica. Dopo che se n’era andata, mi sono spogliata ed è a quel punto che, nell’ingresso, ho incontrato la ragazza del telefono.
Stavo aspettando davanti alla porta dell’ascensore, che assomiglia a tutte le altre porte, con la maniglia ma senza i numeri (vedete, li hanno tutti tolti). Dopo che la ragazza mi ebbe parlato di quel che si era fatta, sono tornata nella mia camera consapevole del fatto che mi avevano mentito riguardo al telefono e mi sono seduta sul letto pensando a quello che avrei fatto in questa situazione se si fosse trattato di un’improvvisazione teatrale. Allora mi sono detta, meglio non oliare la serratura finché non scricchiola. Riconosco che mi sono spinta abbastanza in là con questa metafora, ma ho preso l’idea in La tua bocca brucia, un film in cui ho recitato molto tempo fa.
Ho preso una sedia non troppo pesante e l’ho spinta volontariamente contro il vetro, e non è stato semplice perché non avevo mai rotto nulla in vita mia. Ho dovuto riprovarci più volte per ottenere una piccola scheggia di vetro; in seguito, ho nascosto la scheggia nella mia mano e mi sono seduta tranquillamente sul letto aspettando che arrivassero. Sono arrivati e gli ho detto che se mi trattavano come una pazza, mi sarei comportata da pazza.
Ammetto che il seguito è grottesco, ma l’ho fatto veramente come mi fossi trovata nel film, solo che là era con una lama di rasoio. Gli ho fatto capire che mi sarei tagliata i polsi se non mi avessero lasciata uscire – cosa che non avrei mai fatto come voi sapete bene, Dottor Greenson, sono un’attrice, e non mi procurerei mai volontariamente un segno, una ferita, sono troppo vanitosa per farlo. Vi ricordate, quando avevo provato a uccidermi, l’avevo fatto con molta attenzione con dieci compresse di seconal e dieci di tuonal che avevo inghiottito con sollievo (o almeno è quello che sentivo in quel momento).
Non ho voluto collaborare con loro perché non potevo approvare il loro modo di fare. Mi hanno chiesto gentilmente di avvicinarmi ma ho rifiutato di muovermi e sono rimasta sul letto. Allora si sono messi a quattro, due donne e due uomini molto robusti per trasportarmi al piano superiore. Devo ammettere che hanno avuto la decenza di portarmi con la testa rivolta verso il pavimento. Almeno, vede, non avevo il viso scoperto. Ho solo pianto silenziosamente lungo tutto il cammino e mi hanno chiusa nella cella di cui le ho parlato e la grassa vacca, una di quelle che mi avevano trasportata nella camera, mi ha ordinato di farmi un bagno. Le ho spiegato che ne avevo appena fatto uno e lei mi ha detto con un tono che non ammette repliche: “Ogni volta che cambiate piano, dovete farvi un bagno“.
Il direttore dello stabilimento, che sembrava un preside di liceo, anche se il Dottor Kris lo chiama “amministratore”, mi ha interrogato come fosse un analista. Mi ha detto che ero una ragazza molto molto malata e che la ero da anni. Quest’uomo disprezza i suoi pazienti e le dirò perché tra poco. Mi ha chiesto come riuscivo a lavorare in uno stato depressivo così profondo. Voleva sapere se questo aveva delle ripercussioni sulla mia recitazione e me l’ha chiesto con un tono sicuro e definitivo. In effetti lo presentava come un fatto più che come una possibilità, così io gli ho fatto notare che anche Greta Garbo, Charlie Chaplin e forse Ingrid Bergman avevano lavorato a volte in stato depressivo. Gli ho detto che era stupido quanto affermare che un giocatore del livello di Di Maggio non potesse colpire una palla quando era depresso. È semplicemente ridicolo.
A questo proposito ho delle belle novità, in qualche maniera, perché credo di essere stata utile a qualche cosa, così almeno dice. Joe dice che gli ho salvato la vita consigliandogli uno psicoterapeuta di cui mi aveva parlato bene il Dottor Kris. Joe dice che si è ripreso dopo il divorzio, ma dice anche che se fosse stato al mio posto, anche lui l’avrebbe richiesto. Per Natale, mi ha inviato un intero campo di stelle di Natale. Ho chiesto chi me le avesse inviate tanto ero sorpresa (il mio amico Pat Newcomb era presente quando me le hanno consegnate). Mi hanno detto: “Non lo so, il biglietto dice solo: “I MIGLIORI AUGURI JOE”“. Gli ho risposto: “Non c’è che un solo e unico Joe“. Dato che era la sera di Natale, l’ho chiamato e gli ho chiesto perché mi aveva mandato i fiori. Mi ha detto: “Per prima cosa, perché ho pensato che mi avresti telefonato per ringraziarmi, e poi perché chi altro potrebbe mandartene? Non hai che me al mondo“. Ha aggiunto poi: “So che quando ero sposato con te, non mi hai mai fatto arrabbiare“.
Per farla breve, mi ha proposto di prendere qualcosa da bere con lui uno di questi giorni. Gli ho fatto notare che non beveva mai. Mi ha detto che beveva qualche volta, allora gli ho detto che ero d’accordo a condizione di andare in un posto molto molto buio. Mi ha chiesto cosa avrei fatto per Natale; gli ho detto: “Nulla di speciale, sono sola con un’amica“. Mi ha domandato se poteva unirsi. Ero felice che venisse, anche se devo dire che ero depressa e che piangevo senza sosta, allo stesso tempo ero contenta del suo arrivo.
Penso che sia meglio che mi fermi qui, perché voi avrete sicuramente altro da fare. Grazie di avermi ascoltata per qualche momento.
Marilyn M.
ps: mentre pronunciavo il nome di una certa persona avevate l’abitudine di lisciarvi i baffi e di guardare il soffitto. Sapete di cosa parlo, non è vero? Per me è stato (in segreto) un tenero amico. So che non mi crederete, ma dovete fidarvi della mia intuizione. Era un genere di breve passata. Non ne avevo mai avute prima ma ormai è fatta. È molto attento a letto.
Non ho alcuna notizia di Yves, ma non m’importa perché ne custodisco un ricordo talmente forte, tenero e meraviglioso.
Sono quasi in lacrime…
Fonte della lettera: Fragments. Poèmes, écrits intimes, lettres, Le Seuil