Ogni giorno attuiamo delle strategie controproducenti che ci allontanano dal presente e inibiscono la nostra crescita personale. Vaghiamo in una vita dove il passato e il futuro sostituiscono il presente e finiamo per prendere le distanze dalle nostre emozioni.
Cosa sono le emozioni?
Si tratta di una domanda che potrebbe richiedere una risposta complessa e articolata: la descrizione di cosa accade nel nostro cervello e nel nostro corpo quando le sperimentiamo, la descrizione dalla loro natura relazionale interpersonale, della loro valenza sociale e di rapporto con l’ambiente. Sarebbe tutto corretto e molto utile da sapere.
Ma l’aspetto fondamentale delle emozioni riguarda il loro valore informativo e comunicativo: le emozioni ci informano e comunicano qualcosa di importante, ci spingono a fare qualcosa, ad agire nell’ambiente e nella relazione.
Rappresentano un modo primordiale e radicale di percepire il mondo – relazionale e non – intorno a noi, in termini di minaccia o di opportunità.
Opportunità di completezza e soddisfacimento di un bisogno, oppure minaccia di perdita di qualcosa che per noi è importante.
Il passato e il futuro si sostituiscono al presente
Sta di fatto che non le possiamo eliminare – per fortuna – né negare. Ma spesso facciamo finta di non provarle, le nascondiamo, le mascheriamo da qualcosa di diverso, oppure – in alcuni casi – impariamo a “non sentirle”. Come si fa? Si alza un muro di negazione, di distanza, di controllo ipertrofico attraverso la razionalizzazione, ci si distrae da esse. E’ il momento in cui il pensiero si vuole sostituire al sentire, il passato e il futuro si sostituiscono al presente.
Allora le emozioni scendono direttamente nel corpo senza passare per la conoscenza ossia senza poter essere ri-conosciute nel loro ruolo informativo, senza poter ricevere l’accoglienza della consapevolezza, diventando così direttamente sintomo somatico, triste e separato dal contesto che ci unisce al resto del mondo. Divengono così una sorta di misteriosa manifestazione, incontrollabile ed enigmatica, di qualcosa di altro, non interpretabile e non conoscibile ma solo sperimentabile. Ecco allora che arrivano la tachicardia improvvisa, i mal di testa, i problemi intestinali o gastrici, le tensioni muscolari irrisolvibili e dolorose, le dermatiti imbarazzanti, il sudore, il tremore, la testa vuota, che spaventano e preoccupano.
Ma quali sono le emozioni che non vogliamo sentire?
Di solito sono quelle dolorose, che ci provocano sensazioni spiacevoli e si legano a pensieri negativi: collera, disgusto, tristezza, paura, vergogna… Ma a volte sono anche le emozioni cosiddette “positive” – cioè piacevoli e indicative della presenza di una opportunità – a non voler essere davvero sentite, perché in qualche modo portano con loro la paura.
Non è infrequente infatti avere paura di sentire un sentimento profondo di gioia o di amore o sperimentarlo seguito subito da emozioni di paura e preoccupazione; ciò accade perché si teme di perdere quella condizione piacevole che rappresenta un arricchimento o l’ottenimento di una condizione desiderata. Ecco dunque che alla gioia segue la paura, alla soddisfazione segue l’ansia, all’amore seguono il dubbio e l’inquietudine.
La nostra cultura, iperrazionale ed iperefficiente, ci ha insegnato a sopravvalutare il potere del pensiero e della logica razionale a discapito della potenza informativa delle emozioni, che chiedono semplicemente di essere ascoltate ed accolte, considerate e vissute per ciò che sono: messaggeri e guide.
Ecco allora che, invece di concederci di sentire il dolore, la paura o la tristezza, spostiamo i contenuti della coscienza dalla “pancia” alla “testa”, al livello mentale, nel tentativo di controllarli, annullarne l’effetto, prevedere le conseguenze di possibili eventi futuri (per loro natura spesso non prevedibili e non controllabili) e soprattutto con l’intento di NON SENTIRE.
Cibo, alcol e altre distrazioni “per non sentire”
È naturale per ogni essere vivente rifuggire il dolore e ricercare il piacere ma, a volte, questa reazione automatica verso le nostre emozioni spiacevoli ci pone nella condizione di soffrire di più, più a lungo e in modo peggiore perché ci porta a mettere in atto condotte di negazione, razionalizzazione e controllo (pensiero ossessivo, worry e rimuginio), distrazione attraverso l’uso di sostanze esterne come cibo, alcol o droghe o comportamenti compulsivi che diventano dipendenze, come lo shopping compulsivo, il gioco, l’uso compulsivo del cellulare, le relazioni di dipendenza affettiva ecc..
Ci porta a prendere le distanze dal nostro sentire e dal nostro “cuore” fino al punto di non sapere più cosa davvero ci diverte, ci piace, ci realizza e ci rende felici.
Ci si lascia talmente stordire dalle mille distrazioni cui possiamo ricorrere per “non sentire”, che alla fine ci troviamo completamente distratti da noi stessi e incapaci di costruire quel legame salvifico di consapevolezza profonda e silenziosa con noi stessi, con il nostro spirito, la nostra anima, il nostro vero Sé (o come preferiamo chiamarlo), che rappresenta invece una fonte infinita di ricchezza, vitalità e creatività.
Questa distanza coatta devitalizza e lascia morire di sete la nostra psiche, privandola della fonte di vita e nutrimento principale che è quella che passa attraverso il fuoco delle emozioni e, attraverso di esse, si purifica, si rafforza, si arricchisce e prende forma diventando desiderio, consapevolezza, pienezza di senso, azione finalizzata a nutrire.
Nella pienezza e nel coraggio del sentire non esistono più il vuoto, la noia e l’assenza di motivazione, di indirizzo e di desiderio profondo. Nel sentire non c’è spazio per i pensieri inutili, per le preoccupazioni distruttive, per le finte soluzioni e per le illusioni pericolose.
Nel sentire c’è solo il presente
Nel sentire c’è solo il presente, con la sua immensa ricchezza. Nel sentire ci siamo pienamente noi.
Torniamo a sentire senza paura; facciamolo gradualmente, pian piano nella nostra vita di tutti i giorni, imparando a riportare dolcemente la nostra attenzione su di noi in ogni istante, con curiosità, gentilezza, compassione e senza giudizio. Torniamo a chiederci, come faremmo con un buon amico:
- “come stai in questo momento?”
- “cosa senti?”
- “cosa stai provando?”
- “perché ti senti così?”
- “in quale parte del corpo provi certe sensazioni?”
Sono solo alcune semplici domande, in grado di ricondurci costantemente a quel “ricordo di sé” che rappresenta la strada maestra verso una vita più ricca di senso, coerente e semplice.
Il resto verrà pian piano, affiorando alla coscienza come un fiore di loto…e porterà con sé il prezioso dono della consapevolezza e della conoscenza. Ma soprattutto, ci insegnerà a fare a meno di tutte quelle strategie dannose e controproducenti che mettiamo in atto per NON SENTIRE e fare finta così, che vada sempre tutto bene, quando invece avremmo davvero bisogno di sentirle la nostra tristezza o la nostra rabbia, il nostro dolore, la nostra vergogna, la noia… e di chiederci dolcemente: “Dimmi: cosa posso fare per te? Come ti posso aiutare?”.
A cura di Annalisa Barbier, psicoterapeuta
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