Mi capita, molto spesso, di leggere, sui vari social network a cui sono iscritto, post, in genere di donne (ma, in minor misura, anche di uomini) in cui, a fronte di una definitiva rottura del rapporto di coppia, accusano, con ogni, eventuale, esagerazione di sorta, l’ex compagno/a di essere finanche un narcisista…
Insomma, sembra andare, odiernamente, di moda, non senza frequente palese ignoranza delle cose ed evidente malafede, voler imputare, ad ogni costo, la rottura di un rapporto di coppia esclusivamente all’altro…
La verità, a modesto parere di uno che ha fatto della psicologia, e della conoscenza interiore, ragion di vita, è che molto spesso voler, non obiettivamente e non oggettivamente (quando, ovviamente, di questo trattasi) addossare, a tutti i costi, colpe solo all’altro potrebbe, al contrario (a parte i casi di mera malafede), rilevare la presenza di un vero disturbo di personalità (‘vittimismo cronico e/o sindrome del deresponsabilizzato‘) proprio (o almeno anche…) nell’accusatore…
Ed è proprio di questo che avrò premura di parlare in questa sede, volendo escludere le circostanze (le quali sono la maggior parte) in cui trattasi di mera malafede (da parte dell’accusatore), e quelle (le quali rappresentano un numero esiguo rispetto ai casi lamentati) in cui lo stesso (ovvero l’accusatore) sia davvero stato vittima di comportamenti narcisistici da parte dell’accusato.
Partendo dall’oggettivo presupposto che per esserci una vittima deve, dunque, esserci un carnefice, e che, ovviamente, il mondo è pieno di veri carnefici e di vere vittime anche nei rapporti di coppia, nel presente articolo, ci soffermeremo nell’argomentare, invece, sulla complessità della realtà, altrettanto vasta, ma poco discussa e poco conosciuta, delle finte vittime e dei finti carnefici.
Il vittimismo patologico, in una coppia, danneggia chi lo subisce, ovvero il finto carnefice, ma anche chi ne è portatore (ovvero la finta vittima).
La finta vittima, o vittimista cronico, non finge di soffrire, anzi, e crede davvero alle accuse che rivolge all’altro, in pratica, semplicemente, adotta, quasi del tutto inconsapevolmente, tale subdola e manipolatoria strategia accusatoria per evitare, appunto, la propria complessa sofferenza interiore cercando di trovare, a tutti i costi, un colpevole/carnefice a cui addossarla.
La finta vittima affinerà, dunque, nel tempo, una peculiare capacità manipolatoria al fine di colpevolizzare sempre, e comunque, il proprio compagno/a, il quale sarà, al contrario, e paradossalmente, accusato di essere lui un manipolatore, ove cercasse, anche nei modi più consoni, di far vedere la realtà oggettiva delle cose…
La finta vittima, la quale, evidentemente, si caratterizza per avere una bassa autostima, difatti distorce la realtà, non è in grado di fare una obiettiva autocritica, si autogiustifica sempre e comunque, ama lamentarsi in continuazione, e non è per nulla avvezza alle scuse…, anzi tenderà a creare nell’altro (nel finto carnefice) le circostanze per le quali è essa stessa a dover, invece, perdonare qualcosa a lui.
E’ un complicato circolo vizioso, in cui la finta vittima, a fronte del proprio ed evidente disturbo di personalità (le cui possibili cause sono da ricercarsi in una, eventuale, carente o deficitaria elaborazione, nella propria infanzia, della relazione con uno dei due genitori o, in ogni caso, a evidenti complessità di tipo emotivo), continuerà a distorcere e manipolare la realtà al fine di scaricare le proprie responsabilità sempre sull’altro (sindrome del deresponsabilizzato), con continue critiche, denigrazioni, e offese, mettendo, in pratica, all’opera una vera e propria continua violenza psicologica, verbale, e finanche fisica, al fine di sminuirlo, innescando un pericoloso circolo vizioso in cui, ove il finto carnefice dovesse reagire, anche con modi consoni, si ritroverebbe a rappresentare più ampiamente la figura di carnefice (finto) dalla finta vittima addebitatagli.
Per chi soffre di vittimismo cronico e di sindrome del deresponsabilizzato non vi è altra strada che affrontare le proprie complessità attraverso una congrua psicoterapia, la quale dovrà essere volta (più facile a dirsi che a farsi con questi soggetti, in particolare, vista la loro forte chiusura a fare una corretta autocritica) alla personale comprensione ed elaborazione del proprio malessere strutturatosi in lunghissimi anni.
Se si ha come compagno/a una persona affetta da questo disturbo di personalità c’è poco da fare, o la si convince, il più presto possibile, ad affrontare le proprie complessità interiori attraverso una psicoterapia, oppure bisognerà allontanarsi, in quanto l’eventuale convivenza potrebbe prendere delle pieghe molto contrastanti e finanche pericolose.
Credo che equilibrio, obiettività, e oggettività, delle proprie idee, convinzioni, e credenze, assumendosi sempre, dunque, le proprie reali responsabilità in ogni cosa, siano l’unico vero parametro valutativo, in tal senso, chiarificatore…
Difatti, non è poi così difficile riconoscere le finte vittime e coloro che nella cerchia di parenti, amici, e conoscenti (anziché tentare un preciso aiuto con onestà e obiettività) a tale evidente falsa realtà si piegano, ai danni del finto carnefice, assumono, conseguentemente, la veste di complici, seppur in parte ignari, di qualcosa di veramente iniquo e ingiusto.
In conclusione, si può affermare che un rapporto di coppia, oltre che, evidentemente, sull’amore e sul bene, si deve, necessariamente, fondare anche sull’equilibrio psicologico.