La situazione attuale del Covid-19 ha posto al centro dei nostri pensieri la salute fisica e il nostro benessere, facendoci riscoprire fragili e vulnerabili. Preserviamo oggi, nel restare distanziati e spesso isolati, un valore assoluto, il benessere fisico che però non comprende anche il nostro benessere psicologico messo a dura prova dalla situazione incerta attuale.
Ed ecco che il nostro Essere già provato dalle inquietudini generali della nostra esistenza e delle nostre relazioni si trova oggi a fare i conti con emozioni contrastanti e spesso non facilitanti e non risolutive.
Le informazioni mediatiche non chiariscono la situazione e non ci offrono certezze nei riguardi del nostro futuro relazionale e lavorativo.
Ecco un primo problema: il cervello ha necessità di significati, deve inquadrare in una cornice il problema, ha necessità di certezze, non decifra messaggi incerti.
Questo fenomeno è stato ben studiato dagli innumerevoli esperimenti sulla percezione. Il cervello preferisce conoscere la risposta e pur sbagliando cognitivamente aggiunge o elimina elementi, o li distorce pur di trovare l’informazione mancante.
Il cervello vuole nutrirsi e vuole stare bene per cui si premia dando un significato e cercando di attivare ormoni come la dopamina che lo ricompensano e gli creano benessere.
Il punto è che ciò che pensiamo e immaginiamo sostituiscono la realtà e non ci permettono più di capire cosa è reale. Questo meccanismo funziona se innestiamo meccanismi potenzianti, che ci aiutano e alimentano la nostra motivazione intrinseca al raggiungimento di obiettivi e conseguenti risultati con conseguenti emozioni piacevoli come la gioia o lo stupore, non funziona, invece, se costruisce credenze depotenzianti e nocive che ci limitano:
- la preoccupazione per la possibile perdita di persone che amiamo,
- la solitudine,
- il pensiero della mancata o ritardata affermazione personale,
- la minaccia al proprio status economico o sociale,
- le possibili sanzioni o punizioni,
- la delusione,
- la frustrazione dei propri bisogni emozionali.
Tutti questi pensieri sbilanciano il nostro stato emotivo e attivano ansia, angoscia o paura. Queste ultime se non consapevolizzate e bilanciate con emozioni opposte possono metterci sotto sequestro o disturbare il nostro quotidiano benessere.
Analizziamo queste emozioni e le loro conseguenze: l’ansia è una forma di angoscia ed è spesso una paura senza oggetto, una paura senza via d’uscita che perdura nel tempo. Si manifesta sotto forma di reazioni psichiche ma coinvolge anche il nostro fisico.
L’angoscia è un’emozione che possiamo provare in alcuni momenti della nostra vita ma può diventare anche una temibile malattia, la più diffusa tra le malattie psichiche, più frequente anche della depressione. Questo duplice aspetto dell’angoscia, ce la rende familiare ma anche incomprensibile.
Ci illudiamo di conoscere questo stato emotivo, perché lo sentiamo sovente ma finisce sempre con sorprenderci. E’ normale e patologica, inibitrice e stimolante, necessaria e invadente. Può manifestarsi sotto forma di insonnia, palpitazioni, ronzio delle orecchie, incapacità di fare qualsiasi cosa.
L’angoscia è da sempre non solo un problema individuale ma anche collettivo e non deve essere vissuta come qualcosa di cui vergognarsi, poiché la prima tappa nell’uscirne consiste proprio nel riconoscerla e capirla.
Ansia e angoscia possono essere seguite dalla paura un’emozione arcaica che ci ha permesso di sopravvivere e di evolverci, ma che spesso viene attivata in maniera immotivata, quando non serve.
A livello biologico queste emozioni, che sono ritenute spiacevoli, smuovono il nostro cervello rettiliano, in particolare una piccola componente chiamata amiglada, ossia quella parte del cervello primario responsabile del sistema di allarme e che ha aiutato nel tempo l’essere umano a proteggersi dai pericoli, presunti o reali.
Questa parte del cervello mette in circolo degli ormoni, come la noradrenalina o il cortisolo che eccitano il nostro organismo e ci proteggono dalle situazioni di pericolo.
La paura è come un farmaco in certe dosi è utile perché ci fa attivare reazioni di autoprotezione che ci salvano ma ad alte dosi, se dura troppo a lungo o è troppo intensa, ci crea reazioni dannose per il fisico e la psiche. Il comportamento tipico della paura è l’attacco o la fuga e questo provoca reazioni fisiologiche evidenti:
- il respiro si accorcia,
- i muscoli si contraggono,
- aumenta il ritmo cardiaco,
- la pressione del sangue aumenta
- aumenta l’ossigenazione muscolare,
- aumenta la sudorazione per contrastare il surriscaldamento dell’attività fisica e la contrazione muscolare;
La mente è totalmente concentrata sul pensiero dominante del pericolo in atto, tutto il resto passa automaticamente in secondo piano.
Questo carico emotivo riempie i nostri pensieri di immagini negative, spesso disastrose e minacciose. La situazione da affrontare ci sembra faticosa e accumuliamo anche stress.
Comportamenti disfunzionali in risposta all’ansia
Ci sono 4 tipi di comportamento che, invece, solitamente attiviamo per reagire all’ansia, tutti questi non aiutano a risolvere i suoi disturbi:
- Evitamento: mi sottraggo ad una situazione che provoca ansia
- Inibizione/ blocco: ci si sente incapaci di svolgere qualsiasi attività. Evito sforzi fisici, psichici ossia mentali o sociali.
- Controllo: controllare attraverso i rituali ossessivi, azioni ripetute che calmano momentaneamente. I rituali di controllo (verificare) di pulizia, di ordine
- L’iperattività, fare tante cose insieme per vincere l’ansia, agitarsi forsennatamente.
L’ansia, angoscia e stress sono emozioni naturali e necessarie, sono spesso informazioni che possono attivare anche energia per proteggerci nel caso della paura, o un impulso a fare di più nel caso dell’ansia.
Ma queste emozioni però possono avere diversi risvolti non piacevoli:
- Le preoccupazioni ansiose creano difficoltà di concentrazione e insonnia;
- Diventano meccanismi mentali a circuito chiuso, il passato non ci aiuta e il futuro è un pericolo maggiore.
L’ansia ad esempio ci chiude in noi stessi e ci rende meno ricettivi agli altri.
Si nasconde la propria sensibilità o si interpreta come un pericolo. Si diventa molto irritabili perché più sensibili a livello psichico, c’è meno barriera tra stimoli esterni e ripercussioni emotive che gli stimoli scatenano, così diminuisce la soglia di tolleranza alla contrarietà. Siamo più vulnerabili e ostili ai nostri simili.
Per cui l’ansia chiama in causa un’altra emozione che è la rabbia o l’irritazione. Occorre quindi prestare attenzione anche al nostro vissuto emotivo che potrebbe portarci nel tempo a modifiche dei nostri comportamenti con gli altri e ad accentuare la parte peggiore di noi.
Comportamenti protettivi in risposta all’ansia
L’ansia e la paura più grande di ammalarsi e contagiarsi, oggi, crea il pericolo di aumentare patologie psichiche esistenti come la nosofobia cioè l’ansia che si concentra sulla paura della malattia, attivando alcuni dei comportamenti descritti, per evitare il contagio. Ne era afflitto il famoso cantante Michael Jackson.
Ma Aristotele diceva se c’è una soluzione perché ti preoccupi? Se non c’è la soluzione perché ti preoccupi?
Eccoci arrivati al punto, appropiamoci nuovamente degli altri colori emotivi:
- la sorpresa di poter tornare a sorridere,
- la calma,
- la serenità di un istante piacevole,
- l’interesse del tempo libero ritrovato,
- la fiducia,
- la speranza che tutto scorre e tutto può risolversi.
Occorre attivare i meccanismi protettivi fisiologici e imparare a svolgere attività creative che rilasciano gli ormoni del benessere: serotonina ed endorfine, permettendoci anche di vedere il bicchiere mezzo pieno e di riattivare l’ottimismo.
I Vecchi saggi dicono “anche nel disagio più grande c’è un punto di te non coinvolto“, un punto di noi che può provare la gioia e il buon umore.
Seneca ci insegna: “Non esiste alcun bene duraturo all’infuori di quello che l’animo trova dentro di se.”
Impariamo quindi a riprendere il timone della nostra vita con coraggio e a consapevolizzare le nostre emozioni, anche quelle più spiacevoli. Iniziamo a conviverci per prima cosa imparando a riconoscerle e a capire quale parte del corpo colpiscono.
Poi non proviamo a fermarle o evitarle ma ad accettarle e ad attenderle in maniera naturale. Stiamo fermi e accogliamo il disagio quando arriva.
Navighiamo l’ansia, navighiamo la paura e aspettiamo che il picco emotivo si abbassi, solo in quel momento attiviamo le nostre nuove immagini, quelle che ci calmano e stabilizzano. Attiviamo i nostri sensi, riportiamo alla mente profumi affini, sensazioni di benessere e di pace. Cambiamo i pensieri.
Occorre sapere cosa serve alla nostra psiche
Jung diceva che la psiche ha bisogno di immagini. Occorre sapere cosa serve alla nostra psiche.
Impariamo così ad utilizzare le nostre risorse: la creatività, disegnare, dipingere, fare lavori con le mani, la ceramica, lavorare con il das; dedicarsi a cucinare: fare torte, piatti salati, rustici, pizze; curare le piante, mettere nuovi semi che sboccieranno…. Rilassarsi colorando un Manadala, ne esistono diversi di diversi temi. Scrivere di se stessi, di ciò che si osserva; scrivere storie, fiabe. Ad ognuno il proprio hobby piacevole.
Seneca diceva: “Niente dura sempre, poche cose a lungo; varia solo il loro modo di essere fragili, il loro modo di finire, ma tutto ciò che ha avuto un inizio avrà anche una fine”.
L’Autore: Massimo Perciavalle – coach e psicologo
Note sull’autore
Coach PCC, riconosciuto da International Coach Federation Trainer esperienziale – Psicologo del lavoro iscritto all’albo professionale del Lazio dal 1998
Sono il fondatore della Società di consulenza e formazione Make it So, mi occupo di sviluppo del potenziale umano e opero da più di 15 anni nell’ambito delle risorse umane. Sono trainer esperienziale e coach, specializzato nello sviluppo delle soft skill, come intelligenza emotiva, comunicazione, team building e leadership. Sono coautore del testo “Farsi assumere in Tempo di crisi” e “Offline è bello” e autore di “Ottieni il lavoro che vuoi” tutti presenti nelle librerie nazionali editi dalla Franco Angeli.