Lontani ma vicini: la terapia online ai tempi della quarantena

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L \\\'Autore di questo articolo è uno psicologo o psicoterapeuta.

La psicoterapia online è un argomento che negli ultimi anni, con l’incremento dei sistemi di comunicazione, è diventato sempre più attuale. Gli studi condotti parlavano di concreti benefici raggiunti da coloro che ne avevano usufruito, ma la maggior parte dei miei colleghi ed io in prima persona, ritenevamo che nulla potesse sostituire il contatto umano che si stabilisce in una seduta “tradizionale”.

Il contatto telematico è pertanto stato “cassato” come inadatto nella maggior parte dei casi e mi è sempre piaciuto ricevere i pazienti in studio, dove potevo vedere se erano disposti a recarsi di persona e dove potevo accoglierli, come dicevano i miei maestri, come una “buona padrona di casa”.

E adesso?

In questi giorni, la questione è tornata alla ribalta. Ora che non è più questione di libera scelta, ma di assoluta necessità, dobbiamo scegliere con che modalità fornire assistenza. Che cosa ne pensiamo? E’ possibile fare qualcosa di efficace anche stando davanti ad uno schermo?

In prima battuta, in accordo con molte delle persone con cui si stava lavorando, abbiamo deciso di prendere un “piccolo momento di pausa” in attesa della riapertura degli spostamenti e del miglioramento della situazione generale. Il sentimento predominante era quello di pazientare, distanziando un po’ la regolare cadenza degli incontri.

La letteratura scientifica e l’esperienza riportano che, a seconda della fase terapeutica, affrontare delle pause (per motivi noti o per eventi imprevisti), può essere molto utile. In questi momenti le persone hanno occasione di sperimentarsi, alla luce di quello che è stato il loro percorso, con le nuove conoscenze e le risorse acquisite.

Trovarsi a fronteggiare un’emergenza come quella attuale è, in qualche modo, più accettabile per la nostra mente, perché si ha a che fare con un nemico esterno, comune a tutti; piuttosto che con un nemico interno con cui combattere da soli.

Dopo le prime settimane però, la situazione ha iniziato a mutare. Siamo ancora davanti ad una grossa crisi, che accenna a migliorare, ma ci porrà ancora limitazioni per molto tempo.

In più, aumentando il tempo trascorso in casa, siamo stati esposti senza tutela alcuna a continue immagini, trattazioni, disquisizioni su eventi gravi e preoccupanti. Gli unici che potevano proteggerci da questo bombardamento mediatico eravamo e siamo noi.

Gli unici che, tra l’incertezza per il presente e i dubbi per il futuro possono scegliere e capire se hanno bisogno di riprendere la terapia o di avviarne una, siamo noi.

In questo periodo è mutata anche la mia visione della situazione, ho ripreso diversi contatti in forma telematica e ho provato a valutarne pro e contro.

Dal punto di vista “tecnico” ho riscontrato due aspetti che possono essere utili: la possibilità di vedere l’altro, ma anche se stessi durante la conversazione e quella (in determinati casi) di registrare l’incontro.

In stanza di terapia ciò non è possibile, ma durante la formazione è stato molto utile che gli incontri (a seguito di adeguata segnalazione e in accordo con i pazienti) fossero registrati.

Il beneficio per il terapeuta è quello di poter rivedere la seduta e rivalutare se qualche aspetto può essere meglio o diversamente affrontato. Il valore aggiunto è che, in questo caso, può farlo anche il paziente. E’ possibile rivedersi nell’espressività e certe riflessioni cui si giunge possono essere portate con sé tramite la registrazione.

Dal punto di vista emotivo, invece, quello che mi ha maggiormente sorpreso è stato il sentire arrivare e trasmettere messaggi forti tanto quanto in stanza di terapia.

Certo, non posso più valutare la motivazione di una persona vedendo se si reca in studio nonostante altri mille impegni, ma posso capire se vuole lavorare e rispetta l’impegno preso. Non posso preparare un setting (ambiente di lavoro) mio in cui accogliere i pazienti, ma posso preparare un contesto raccolto e stabile e aiutare chi è dall’altra parte a fare altrettanto. Non posso stringere la mano od offrire un bicchiere d’acqua quando ci si saluta o si affrontano momenti delicati, ma possiamo esserci. Esserci e creare un canale di ascolto e riflessione.

Questo canale può partire come uno sfogo, un momento di raccoglimento e di confronto, ma quello che porta con sé è sempre lo stesso: un’esperienza evolutiva per la persona che si trova in difficoltà. E poco conta se avviene attraverso uno schermo.

Questo tempo ci sta insegnando a non procrastinare, a partire adesso, dove si è, con quello che si ha e facendo ciò che si può. Quello che abbiamo sono strumenti tecnologici a sufficienza per mantenere una connessione; dove siamo è a casa nostra, in un ambiente raccolto e protetto; quello che abbiamo sono la voglia e il bisogno di affrontare ed elaborare difficoltà e sentimenti in subbuglio.
E’ rassicurante sapere che il filo di collegamento non è stato interrotto, che siamo sempre noi anche a distanza “fisica” di sicurezza.

In psicoanalisi si dice che un buon terapeuta è quello che sa accogliere i tempi del silenzio. Nel silenzio si trasmettono le emozioni, il rispetto, le perplessità, i dubbi, anche i limiti della comunicazione attraverso le parole.

In questo momento ciascuno di noi, nella propria casa, può sperimentare una costrizione al silenzio che potrebbe riportarci a un rapporto migliore con noi stessi e con gli altri.” – Luigi Cancrini

Autore: Stefania Canil, psicologa (psicoterapia e nutrizione)
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