Può apparire paradossale eppure gli “arresti domiciliari” voluti dal coronavirus nascondono un’opportunità che, nel male o nel bene, può essere accolta.
Effettivamente a spazi ristretti corrispondono tempi diversi, nel senso che, riducendo lo spazio vitale siamo costretti ad affrontare un tempo che scardina le abitudini, restringe le possibilità di azione e dilata la durata del dover guardare negli occhi il silenzio del vuoto che ci circonda.
Il fatto è che questo vuoto, tanto temuto perché indicatore di cambiamento, non è altro che quella parte di noi, quella ombra a cui attribuiamo tutte le caratteristiche negative per noi inaccettabili che però rappresentano gli attivatori della rimessa in discussione.
Le abitudini quotidiane sono alienanti per certi versi. Il quotidiano costringe ad un fare costante gestito da automatismi. Tutto questo consente di non connetterci con le nostre emozioni e quindi la mente è libera di fantasticare mentre il corpo agisce in automatico.
Adesso il processo si ribalta. Sono costretto a non fare o a fare diversamente e quindi mi trovo nella condizione di leggere cosa non va con me stesso, nella mia relazione con il partner o nella gestione dei figli.
Qualcuno ha modo di vivere un tempo prolungato a contatto con i figli e poter così affrontare ruggini e dissidi che per tanto, troppo tempo, erano state accantonati.
E’ il momento di vivere in presenza quello che per molto era stato delegato ad altri: insegnanti di scuola, istruttori di palestra, amicizie, ecc. Adesso si tratta non di trascorrere il tempo facendo qualcosa insieme ai figli nel fine settimana ma di VIVERE il tempo insieme con tutte le conflittualità del caso.
Forse è il momento di affinare quella capacità che di solito viene un po’ messa da parte per far risonare meglio la propria voce: si tratta dell’ascolto. Saper ascoltare è una pratica difficile perché desidera la messa da parte del proprio Ego.
Significa farsi “piccoli” per un tempo più o meno lungo in modo da facilitare l’espressione dell’altro.
Ciò che spesso rende difficile la relazione, sia di natura educativa che di natura sentimentale, è proprio la difficoltà ad ascoltare. Dall’altra parte, il sentirsi non compresi genera chiusure e senso della distanza e l’insorgere di emozioni come rabbia e tristezza. Porsi in ascolto empatico significa riuscire a cogliere il vissuto dell’altro, le sue ragioni, senza far intervenire il giudizio.
Ma per riuscire in questo occorre ritagliarsi uno spazio interiore necessario per provare ad allentare alcune “cerniere” psicologichei che costringono a rimanere fermi su determinate posizioni ed inclinazioni.
Un modo per rigenerarsi può essere proprio quello di provare a sospendere il giudizio verso se stessi, verso il voler essere efficienti ad ogni costo. Si tratta di non giudicarsi se si abbandona per un po’ di tempo il controllo sull’ambiente e sugli altri intorno. Cedere al bisogno di controllo può significare dire addio ad ansia, paura e panico, ad esempio.
Allontanare per un po’ il doversi sentire all’altezza per senso del dovere. Ecco, tutto questo può aiutare a non rimanere imprigionati nella morsa della frustrazione e della rassegnazione.
L’impotenza e la fragilità possono essere smorzate semplicemente accettando il fatto che non possiamo essere quello che vorremo. Si tratta di accettare se stessi abbandonando l’ideale dell’Io, ovvero il dover essere.
Anche il doversi sacrificare sempre per i figli, per il partner, per i genitori anziani, può con il tempo creare l’illusione di poter essere felici con se stessi mettendo da parte spazi, emozioni e tempi personali a favore degli altri. Con il tempo emergono rabbia ed aggressività. La tendenza a voler essere sempre buoni, non concedersi arrabbiature, non permettersi il “lusso” di deludere gli altri può creare ossessioni legate al desiderio di perfezione.
Una volta fatto i conti con queste inclinazioni (dalle quali generalmente rifuggiamo perché i cambiamenti spaventano sempre) è possibile ritrovare quell’equilibrio fra le parti interne così importanti per favorire l’accoglienza dell’altro ed un ascolto autentico.
Credo che in seno a questi momenti difficili sia possibile accettare quelle parti di noi scomode, provando a scorgerne le indicazioni per un possibile cambiamento.
La scomodità generalmente tendiamo ad allontanarla nell’illusione di poter vivere meglio. In realtà incrementiamo il conflitto fra noi per come siamo e quel noi che vorremmo essere.
Legittimarsi la rabbia, la delusione o la tristezza significa regalarsi la possibilità di comunicare in maniera autentica ciò che proviamo verso se stessi gli altri.
Un ascolto empatico allora, necessita di un desiderio autentico di ascolto ma anche di essere ascoltati. Tutto questo non può che partire da se stessi, dal cambiamento del proprio modo di porsi attraverso l’ascolto di sé e l’accettazione incondizionata. L’errore più frequente è quello di pensare che sia la realtà esterna a dover cambiare regalandoci l’illusione che con il tempo i figli o il partner capiranno.
In realtà quello che ne deriva sono solo frustrazione ed aspettative deluse.
Esistono specifiche pratiche bioenergetiche atte a favorire il contatto con il proprio respiro e la scoperta progressiva di tutte quelle tensioni e blocchi muscolari che impediscono di prendere coscienza di specifiche emozioni.
Il trattenere le emozioni impedisce alla persona di prendere coscienza di se stessa in maniera autentica e progressivamente essa si distanzia da se stessa innescando un processo di anestesia emotiva. Tendono magari a rimanere vive emozioni legate a rabbia e tristezza impedendo però alle altre di emergere.
Ecco perché esiste la possibilità di seguire online training bioenergetici psicoemozionali, al fine di favorire il rilassamento, l’autoconsapevolezza e l’espressione di sé, attraverso il gesto, il respiro e le fantasie guidate.
A cura di Andrea Guerrini, psicologo e pedagogista
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